(da Lerici In di luglio 2020 e, a seguire, agosto 2020) articoli di Aubrey Hill (nella foto sotto)

Torna d’attualità il questionario di Sherlock Holmes

Un uomo chiama il 911 (è l’equivalente americano del nostro 112) dicendo all’operatore di essere appena tornato a casa e di avere trovato la moglie accasciata in fondo alle scale in fin di vita.

L’operatore manda i soccorsi e fa una serie di domande volte a sondare le responsabilità dell’uomo, compilando un questionario che identifica risposte e atteggiamenti sospetti di quest’ultimo. Mentre le forze dell’ordine si dirigono sul luogo dell’emergenza, ricevono il questionario compilato dall’operatore e la copia della registrazione della chiamata al 911.

Se l’uomo che ha chiamato il 911 ha spinto la moglie giù dalle scale, quali sono le probabilità che la faccia franca? Se fossi in lui, non comprerei banane verdi.

Fantascienza?

Oggi, negli Stati Uniti, grazie a due accademici, Tracy Harpster, un ex ispettore della polizia, e Susan H. Adams, un’ex-agente dell’FBI, questa storia non è fantascienza, ma realtà. Infatti, nel 2017 hanno pubblicato un libro intitolato Analyzing 911 Homicide Calls, dove analizzano le risposte date agli operatori 911 da parte di persone successivamente identificate come gli assassini di coloro che fingevano di soccorrere.

Sulla base di questo studio hanno creato un questionario chiamato 911 COPS Scale Questionnaire che considera la probabilità di innocenza o colpevolezza di chi ha chiamato sulla base delle sue risposte al questionario.

Gli autori identificano tre domande:

· ·Chi è l’oggetto della chiamata?

· ·Di cosa tratta la chiamata?

· ·Come è stata eseguita la chiamata?

L’operatore risponde contrassegnando uno o più degli indicatori di innocenza o colpevolezza elencati sotto ciascuna domanda.

Ad esempio, se l’operatore ritiene che la chiamata sia focalizzata sulla vittima, contrassegnerà l’indicatore di innocenza Focus on Victim, mentre se pensa che la chiamata sia incentrata su chi ha chiamato, contrassegnerà l’indicatore di colpevolezza Focus on Caller.

Il questionario include ulteriori indicatori di innocenza e colpevolezza che possono essere contrassegnati dall’operatore se identificati all’interno della chiamata d’emergenza.

Una volta compilato il questionario, si tira la somma degli indicatori di innocenza e di colpevolezza. Se la seconda supera di gran lunga la prima, le forze dell’ordine procedono con un’indagine meticolosa della dinamica degli eventi e un colloquio approfondito con chi ha fatto la chiamata all’unità di soccorso.

Il questionario sviluppato da Harpster e Adams è un capolavoro perché:

· indirizza le poche risorse investigative a disposizione solo su chiamate d’emergenza sospette.

· focalizza le indagini delle forze dell’ordine sugli aspetti della chiamata che risultano sospetti.

Se Sherlock Holmes fosse vivo invidierebbe la semplicità ed efficacia di questo questionario.

Se esistesse un premio Nobel per la giustizia, non riesco a pensare a due persone più meritevoli di vincerlo che Tracy Harpster e Susan H. Adams. Nella dedica del loro testo Analyzing 911 Homicide Calls scrivono:

“Questo libro è dedicato alle vittime di omicidio e alle loro famiglie.

È stato scritto nella speranza che i professionisti delle forze dell’ordine usino la nostra ricerca per ottenere giustizia per le vittime e pace per le loro famiglie.”

Non conosco motivazione più nobile.

Aubrey Hill

(da Lerici In di agosto 2020)

Quando le parole svelano la scena del crimine

Il 25 ottobre 1994 a Union, nella Carolina del Sud, Susan Smith chiama la polizia dicendo che un uomo di colore le ha puntato addosso una pistola costringendola a scendere dalla sua macchina, rubandogliela con dentro i due figli, Michael di 3 anni e Alexander di 14 mesi. La polizia dà l’allerta e invia a uno specialista dell’analisi delle parole le trascrizioni delle dichiarazioni fatte alla stampa dalla donna e da suo marito.

L’analisi delle parole, conosciuta come Investigative Discourse Analysis o Statement Analysis, viene usata in America nelle indagini criminali per capire su quali parti di una testimonianza gli investigatori dovrebbero focalizzarsi per arrivare alla verità.

Nel caso in questione, lo specialista nota una differenza alquanto strana. Il padre parla dei figli al presente ad es: They’re ok. They’re going to be home soon” (Stanno bene. Saranno a casa a breve), mentre la madre parla di loro al passato ad es: My children wanted me. They needed me. And now I can’t help them”. (I miei bambini volevano me. Avevano bisogno di me. E ora non li posso aiutare.)

Lo specialista suggerisce alla polizia di interrogare Susan Smith per chiarire le ragioni di questa differenza. Gli investigatori si mettono al lavoro e dopo diverse ore di interrogatorio la donna crolla e confessa di essersi inventata tutto. Susan Smith voleva risposarsi con il suo datore di lavoro ma lui non voleva relazioni con donne che avevano figli. Il giorno del presunto rapimento, la donna aveva guidato fino al bordo di un lago, tolto il freno a mano e lasciato che l’acqua inghiottisse l’auto e i figli che erano a bordo. Successivamente il padre aveva parlato dei figli al presente perché nutriva la speranza che fossero ancora vivi e che potesse ritrovarli, la donna aveva parlato dei figli al passato perché sapeva che erano morti.

Ma non sono solo i singoli termini ad essere esaminati nell’analisi delle parole, un’altra componente è l’analisi della narrativa. Quando una persona descrive un crimine o un incidente – definito l’evento centrale della narrativa – la sua testimonianza comprende tre parti: un prologo ossia cosa è successo prima dell’evento centrale, l’evento centrale e un epilogo ossia cosa è successo dopo l’evento centrale.

Una testimonianza con una struttura veritiera (truthful in form) è bilanciata: le tre parti hanno pressoché lo stesso numero di frasi e circa la stessa media di parole per frase. Al contrario, una testimonianza con una struttura ingannevole (deceptive in form) è sbilanciata e l’investigatore concentrerà le sue domande sulla parte che è molto più lunga o molto più breve delle altre due e/o sulla parte contenente frasi molto più lunghe o molto più brevi delle altre due.

Ad esempio, la testimonianza di un incidente che inizia con l’evento centrale ad es: “All’incrocio di via X mi è venuta addosso la macchina targata …” risulta strutturalmente sospetta perché assolutamente priva di prologo. Il conducente non spiega da dove veniva, né dove stava andando e tantomeno perché. In questo caso, un investigatore potrebbe sospettare che il guidatore si sia dimenticato di creare i dettagli relativi al prologo perché nella sua mente solo l’evento centrale era importante ai suoi fini ad es: fare una truffa assicurativa.

L’analisi delle parole è uno strumento investigativo formidabile perché esamina un testo come se fosse una scena del crimine. Le parole, la loro posizione all’interno delle frasi e la struttura della narrativa acquisiscono un significato ben preciso che va approfondito a seconda del contesto.

Naturalmente, le parole da sole non possono accertare la colpevolezza di una persona ma possono aiutare gli investigatori a seguire la pista giusta, il dettaglio giusto e la persona giusta.

E se oggi questo è possibile, è grazie a due giganti dell’analisi delle parole: Don Rabon con la sua Investigative Discourse Analysis e Mark McClish con la sua Statement Analysis. Grazie alle loro ricerche migliaia di criminali sono stati incastrati dalle stesse parole che contavano di usare per nascondere i propri crimini.

Aubrey Hill