Le storie di Giuseppe Meneghetti e di Oronte Petruccioli, vittime del rastrellamento del 20 gennaio 1945 e di Ernesto Figoli, caduto in Toscana nel ‘44
(da Lerici In di aprile 2025)

La mattina del 20 gennaio 1945 iniziò il rastrellamento più terribile contro i partigiani della IV Zona operativa, quella spezzina e lunigianese. Era atteso e temuto da giorni: dalla Val Taro, da Pontremoli e dalla bassa Val di Vara i nazisti e i fascisti si erano venuti ammassando, pronti ad avanzare. Volevano sgominare i partigiani per liberare le strade e le ferrovie verso la Val Padana, luoghi di continui attentati e sabotaggi.
Gli ordini del Comando della IV Zona, che in quella fase aveva sede a Porciorasco di Varese Ligure, furono chiari: difesa iniziale per rallentare la pressione nemica, ricoverare armi e viveri, nascondere ogni traccia anche per evitare rappresaglie verso le popolazioni civili e poi “sganciarsi” – cioè ripiegare e occultarsi, salvando le forze – verso il monte Gottero e da lì verso la Val Taro o l’alto Pontremolese, prima dell’ac-cerchiamento. 2.500 partigiani, con armi leggere e senza equipaggiamento di montagna, contro 25.000 rastrellatori: la resistenza per lungo tempo non sarebbe stata possibile, non restava che la tattica della guerriglia.
La sera del 20 gennaio iniziò l’epopea dello “sgancia-mento”, tra la neve altissima, il ghiaccio, nell’inverno più freddo del secolo. La “battaglia del Gottero” vive in tante testimonianze. Questo è un brano del racconto di Carlo Bertolani, partigiano del battaglione Vanni, nome di battaglia “Carletto” o “Carlin”, di Romito:
“Il comando ci aveva dato un mitragliatore per difenderci meglio, in aggiunta ai mitra Bren. Combattemmo tutto il giorno, fino al tardo pomeriggio, quando arrivò una staffetta dal comando con l’ordine di sganciarsi di notte e di andare a Pieve di Zignago. Smontammo il mitragliatore per nasconderlo nel bosco, i tedeschi ci videro, avemmo dei morti: Mario Capitani di Migliarina, Oronte Petriccioli di Lerici, Giuseppe Meneghetti di San Terenzo, che chiamavamo ‘il ragazzo’ perché non aveva ancora diciotto anni, Mario Avesani” [Nota 1].
Lo scontro avvenne in località Frassaneidu di Serò di Zignago il 20 gennaio 1945 [Nota 2].
Il gruppo fu sorpreso in una casa circondata dal nemico. Alcuni riuscirono a fuggire, gli altri resistettero, ma dopo un violento conflitto a fuoco rimasero uccisi.
Ecco le biografie dei due giovanissimi lericini.
Giuseppe Meneghetti era nato a San Terenzo il 1° marzo 1926. Raggiunta l’età per la leva militare si trovò di fronte a due scelte: o aderire alla X Mas, che lo aveva contattato per arruolarlo, o fuggire e unirsi alla Resistenza. Giuseppe scelse la “via dei monti” alla fine dell’estate del 1944 e in Val di Vara entrò in contatto con le formazioni partigiane. Arruolato nelle file del battaglione Vanni, ebbe il battesimo del fuoco il 9 novembre 1944. Dopo la tragedia del 20 gennaio, il suo corpo rimase alcuni giorni insepolto. Mani pietose di donne lo portarono poi nel vicino cimitero di Serò e gli diedero sepoltura. Il padre seppe della morte del figlio qualche settimana dopo; glielo comunicò, involontariamente, una donna che incontrò per strada mentre stava andando a coltivare un piccolo terreno a Falconara, dove si era trasferito con tutta la famiglia. Giuseppe venne riportato nel-la sua San Terenzo solo dopo la fine della guerra, quando i familiari andarono a riprendere le sue spoglie e celebrarono i funerali, ai quali partecipò l’intero paese.
Insieme a Meneghetti morì Oronte Petriccioli, nato a Lerici il 25 settembre 1927, ancora più “ragazzo”. Discendeva da una antica e illustre famiglia lericina: era pronipote del latinista Giuseppe, poeta, amico di Settembrini, Mazzini e Garibaldi, combattente valoroso nelle lotte risorgimentali, volontario garibaldino decorato al valor militare con medaglia d’argento.
Studente della Scuola di Avviamento professionale di Lerici, si arruolò adolescente nella Brigata Muccini e, dopo il drammatico rastrellamento che colpì questa brigata il 29 novembre 1944, tornò a casa a San Terenzo, dove la famiglia era sfollata da Lerici perché l’abitazione di via Revellino, nel vecchio centro storico, era stata requisita dai tedeschi. I vicini erano molto preoccupati dalla sua presenza nell’edificio, temendo ritorsioni da parte dei nazifascisti. La madre, Candida Lupi, prese allora la decisione di mandarlo ad Albareto, in Val Taro, presso la sorella che qui era sfollata, pensando che in questo luogo il giovane fosse più protetto. Qui Oronte incontrò il cugino Tommaso Lupi, Commissario Politico della IV zona, il quale, malgrado la giovane età, lo inserì nuovamente nella lotta partigiana, in qualità di staffetta, verso la fine del 1944.
Oronte partì da Porciorasco il 19 gennaio, per prendere un contatto con il battaglione Gramsci, prima dell’inizio dell’ostilità. Arrivò nello Zignago quando i nazifascisti erano già in zona partigiana – va tenuto conto dello stato dei sentieri in quel periodo – e si inserì in un gruppo del Vanni. La notizia della sua morte viene comunicata pochi giorni dopo al Comando di Zona, con una lettera del partigiano Carlo Fortelli. Oronte fu sepolto nel Cimitero di Serò, insieme ai suoi compagni; dopo la Liberazione la salma venne recuperata e portata a Lerici. Anche i suoi funerali furono un’imponente manifestazione di popolo.
In questo articolo – il primo di tre dedicati ai partigiani lericini Caduti nel 1945 – ricordiamo anche Ernesto Figoli, di Tellaro. Era nato il 7 agosto 1924. Partigiano delle SAP (Squadre di Azione Patriottica) dall’agosto 1944, fu scoperto e tentò, insieme ad altri tellaresi, di passare le linee per raggiungere il territorio già liberato dagli Alleati. Il gruppo fu intercettato vicino a Pietrasanta, il 7 marzo 1945. Ernesto fu ucciso e sepolto sul posto. La sua salma rientrò a Tellaro dopo la Liberazione.
(Le fotografie sono tratte da “Lerici nella Resistenza. Calendario ANPI 2015”. – Nell’ultimo numero abbiamo pubblicato la fotografia del partigiano Salvadorini con il nome Giovanni, come riportato nel Calendario ANPI 2015; in realtà il nome di Salvadorini era Giacomo, così come scritto nella lapide sita nel Comune di Lerici e in tutti i documenti da noi consultati).
Giorgio Pagano
NOTE: [1] – G. Pagano, Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2015, pp. 232-233.
[2] – Secondo alcuni il luogo della morte fu Stadomelli di Rocchetta Vara; ma molte testimonianze fanno propendere per Frassaneidu di Serò.