Tra loro don Mario Devoto parroco di San Terenzo

(da Lerici in di gennaio 2025)

Tra novembre 1944 e la fine del marzo 1945, proprio mentre la guerra volgeva finalmente al suo termine e i regimi nazifascisti andavano incontro al loro inesorabile crollo, nove sacerdoti della diocesi spezzina rimasero per diversi mesi prigionieri nel carcere genovese di Marassi. Sia nel corso delle operazioni di arresto da parte delle brigate nere, il 21 novembre, sia nelle “tappe” successive di un vero e proprio calvario furono picchiati, torturati, ricattati.

Solo l’intervento deciso sulle autorità tedesche del vecchio ma coraggioso arcivescovo di Genova, il cardinale Pietro Boetto, riuscì a salvare loro la vita e, infine, a ottenerne la liberazione. Altri due sacerdoti, arrestati sempre a novembre, furono deportati in Germania, riuscendo poi fortunosamente a liberarsi e a tornare a casa prima della fine della guerra.

Queste vicende, che ebbero come incolpevoli protagonisti diversi parroci della città di Spezia e dei dintorni, e inoltre il parroco di San Terenzo don Mario Devoto, e assieme al canonico sarzanese monsignor Ferruccio Casabianca, cancelliere della Curia, furono – a guerra di fatto ormai perduta dal nazifascismo – il momento più buio dell’offensiva nei confronti del clero cattolico italiano. Benché fortunosamente gli arresti sopra ricordati e le violenze perpetrate nei confronti del clero non avessero portato alla morte di alcuno di loro, è possibile dire che, sul piano di una “lettura” storica dei fatti, si trattò di episodi ancora più significativi rispetto all’uccisione di due sacerdoti avvenuta negli ultimi mesi di guerra.

Don Emanuele Toso, parroco di Lavaggiorosso presso Levanto, fu infatti ucciso più per un capriccio dei suoi persecutori, la famigerata divisione “Monterosa” della Repubblica sociale italiana, che per vicende di guerra.

Quanto poi a don Giovanni Battista Bobbio, parroco di Valletti, che apparteneva allora alla diocesi di Chiavari, era da tempo nel mirino delle brigate nere locali capeggiata da Vito Spiotta, poi processato e fucilato egli stesso  a guerra finita.

Ma un rastrellamento per così dire “a tappeto” di sacerdoti, quasi tutti parroci, non aveva precedenti  in Liguria. È possibile dire, con il senno di poi, che fu la rabbiosa conferma che anche i repubblichini erano ormai consapevoli di aver perduto la guerra, e che si accanivano contro chi – il clero cattolico, così come altre figure del tempo, quali i medici ospedalieri, i maestri elementari, i sottufficiali dei carabinieri – altro non faceva che prestare il proprio servizio, ognuno secondo la propria missione o professione, a beneficio di una popolazione ormai stremata da cinque anni di conflitto, e negli ultimi mesi da una terribile guerra fratricida.

Nessun’altra accusa reale veniva portata nei loro confronti, e persino alcuni degli ufficiali delle SS – in base alle testimonianze rimaste – se ne resero conto. Ottant’anni dopo la memoria di quelle vicende è anche occasione di ricostruire la storia di una diocesi, e così è avvenuto nelle settimane scorse proprio anche nelle parrocchie dei sacerdoti che furono arrestati e torturati.

Così a San Terenzo è stata presentata, curata dal giornalista Riccardo Bonvicini per conto della parrocchia, una riedizione del diario del parroco di allora, don Mario Devoto, uno dei nove arrestati. Quel diario non è nuovo, essendo già stato pubblicato nel 1979 nel volume “Sacerdoti cattolici nella Resistenza”, curato alla Spezia da Franco Franchini per conto dell’APC-FIVL, l’associazione dei partigiani cristiani.

Ma quel pregevole volume, che contiene molte altre testimonianze importanti sul ruolo cattolico durante la lotta di liberazione, è oggi praticamente introvabile. Di qui la volontà dei parrocchiani di rendere omaggio, ottant’anni dopo la sua persecuzione, al parroco di allora. Don Devoto, nato nel 1908, era un giovane prete, di trentasei anni. Nativo di Levanto, era stato inviato parroco a San Terenzo nei primi anni di guerra. Tornato al suo incarico a guerra finita, morì poi nel 1957, a soli quarantanove anni, si ritiene anche a causa dei postumi delle torture ricevute.

Il diario, scritto ovviamente al momento del rientro a casa ma con mente lucida e con dovizia di particolari importanti, porta la data del 12 luglio 1945. Un lungo tempo è passato, molte ferite certamente si sono rimarginate, e quei poveri sacerdoti – così come quasi tutte le altre persone arrestate e deportate (alcuni erano ragazzini) – non sono oggi più tra noi.

Ma sarebbe un errore dimenticare. Per questo, anche nella altre parrocchie, e in particolare in quella di piazza Brin dove venne arrestato il parroco don Antonio Mori, si sono tenuti incontri rievocativi e occasioni per discutere. Ottant’anni sembrano tanti, ma non sono mai sufficienti per impedire che fatti di violenza così crudele (che quasi ogni giorno purtroppo vediamo riproporsi in altre parti del mondo) possano in qualche modo tornare. La libertà è un bene  troppo grande perché non si faccia di tutto per conservarla e, anzi, per ampliarla.

Egidio Banti