(da Lerici in di gennaio 2025)
Heimat è una parola tedesca inesprimibile in italiano e altre lingue. Difatti è rimasto in originale il titolo della versione italiana del graphic novel di Nora Krug sottotitolato L’album di una famiglia tedesca (Einaudi Stile libero extra, Torino 2019, traduzione di Giovanna Granato).
Heimat è per Nora Krug prima di tutto un’anabasi, un viaggio verso l’interno di sé, alla ricerca delle proprie radici; e fuori di sé: negli archivi, nei paesi d’origine della sua famiglia. Un puzzle ricostruito attraverso rapporti riallacciati con parenti, foto e cimeli di famiglia ritrovati, dialoghi con la gente di Külsheim (di cui è originario suo padre) o di Karlsruhe (di cui è originaria sua madre), interviste ad anziani o ai loro discendenti, frequentazione dei mercatini delle pulci tedeschi e americani.
Nora Krug, che si autodefinisce «un’archivista di ricordi», pone quesiti a cui non sempre corrispondono risposte. Primo fra tutti: «Come fai a sapere chi sei, se non capisci da dove vieni?» E poi: i miei nonni erano nazisti? La mia famiglia si è macchiata di crimini contro gli ebrei?
Heimat potrebbe essere reso approssimativamente con “casa”, “borgo natio” ovvero “piccola madrepatria”, perché indica quel posto in cui ci si sente a casa propria: lì si è nati o vi si è vissuta l’infanzia o appartiene a quel modo d’esprimersi che Natalia Ginzburg ha definito Lessico famigliare (altra celebre opera autobiografica questa, come l’Heimat della Krug). È il microcosmo delle radici, fatto di suoni, sapori, profumi, miti, riti, memorie condivise.
Esiste nella lingua tedesca anche il termine Vaterland, che però si riferisce a una dimensione culturale in senso più largo, nazionale. Dalle nostre parti diremmo «de chì, de cà», “di qui, di casa” appunto.
L’Autrice, dopo aver frequentato le scuole superiori in Germania, si è trasferita in Inghilterra dove si è laureata in progettazione grafica e scenografica, per approdare nel 2002 a New York con una borsa di studio per una specializzazione. Ha cominciato così a lavorare per le più prestigiose testate statunitensi (New York Times, The Guardian, Le Monde diplomatique, ecc…).
Ha pubblicato libri che hanno riscosso ampio successo, ma Heimat è stata l’opera principe per la quale Nora Krug ha dovuto scavare nei recessi della propria anima, mettendo a nudo i suoi sensi di colpa per il solo fatto d’essere tedesca, così come l’angoscia di non sapere in realtà quasi nulla della vita dei nonni vissuti sotto il nazismo.
Ha dovuto perciò porre dirimpetto la sua nostalgia per la Germania e il peso della storia tedesca del Novecento.
La Krug stralcia così dall’enciclopedia tedesca Brockhaus la definizione di Heimat: «Termine che definisce l’idea di un paesaggio o di un luogo reale o immaginario al quale una persona […] associa un immediato senso di familiarità. È una sensazione che […] la famiglia o altre istituzioni, o le ideologie politiche, tramandano di generazione in generazione. Nell’uso comune, HEIMAT si riferisce anche al luogo (inteso pure come paesaggio) in cui una persona è nata e dove ha vissuto le prime forme di socializzazione che plasmano in buona parte l’identità, il carattere, la mentalità e la visione del mondo».
Nora ha avuto il grande coraggio non solo di cercare la verità aldilà di un vago sentito dire in famiglia, di quanto ereditato dall’«epoca dell’oblio» (la generazione nata nell’immediato secondo dopoguerra), ma di riportarla alla luce del sole senza tentennamenti o aggiustamenti di sorta. Il risultato è stato il riconoscimento internazionale di Heimat, che è stato nominato dal New York Times, dal Guardian e da The Comics Beat “Miglior graphic novel del 2018”. Fra i tanti premi ricevuti dall’opera di Nora Krug, sono almeno da citare il National Book Critics Circle Award nella categoria autobiografie e l’elezione a “Illustra-trice dell’anno” dal Moira Gemmill Prize del Victoria and Albert Museum.
Attualmente l’Autrice è docente associata al corso di illustrazione della Parsons School of Disegn di New York. Ha sposato Steven Guarnaccia, un ebreo americano, e nei ringraziamenti finali ne ricorda il sostegno assieme al fatto che una delle prime frasi pronunciate dallo loro bambina è stata: «Mamma lavora libro». Heimat, naturalmente.
Le illustrazioni si snodano come un diario scritto a mano. Ci sono le cose tedesche di cui Nora Krug sente di non poter fare a meno: i cerotti Hansaplast, le foreste, la raccolta dei funghi, i raccoglitori ad anelli Leitz, la borsa dell’acqua calda, il pane nero, il sapone-fiele con il detersivo Persil, l’incolla-tutto UHU.
C’è l’educazione scolastica che, attraverso argomenti in apparenza scontati, inietta l’odio contro gli ebrei definiti “funghi velenosi”. C’è una raccolta fotografica molto eloquente. Ci sono i tratti netti dei disegni.
Ci sono le vacanze in Italia. Ma in Italia c’è anche la tomba dello zio Franz-Karl Krug (1926-1944), un giovane contadino spedito al fronte a diciassette anni e ucciso a diciotto. Si trova a quota 950 m s.l.m., a Firenzuola, nell’Appennino tosco-roma-gnolo vicino al Passo della Futa, e con le sue 30.683 salme è il più grande cimitero militare germanico.
Il padre di Nora, nato vent’anni dopo (1946), erediterà dal fratello maggiore lo stesso nome vivendo così all’ombra della sua memoria.
Le indagini di Nora Krug si soffermano soprattutto sul fascicolo delle autorità militari americane in Germania compilato dal nonno materno Willi Rock (1902-1988), autista e proprietario di un’autoscuola, che risulta essersi iscritto al Partito nazista già nel 1933.
Unico sì in un mare di no in un modulo contenente 313 domande. In base a questo fatto Willi Rock viene etichettato come criminale. Ma spuntano quattro testimonianze in suo favore, in particolare quella di un commerciante sposato a un’ebrea che lo scagiona da ogni accusa: «Sono disposto a garantire in ogni momento e sotto giuramento che il signor Rock non è mai stato un attivista e non ha mai preso parte a nessuna attività nazista».
Maria Luisa Eguez