(da Lerici In di febbraio 2016)

Nel mese di dicembre scorso, con l’aiuto dei ragazzi del laboratorio di giornalismo, abbiamo condotto una ricerca sull’alimentazione dei lericini che poi può essere lo specchio delle abitudini degli italiani in genere. Sono state riempite 219 schede di campioni casuali la cui interpretazione viene fornita di seguito, dal punto di vista statistico e, nelle pagine seguenti, dal giudizio della nutrizionista dr.ssa Alessandra Di Sibio.

Il margine di errore, in base al numero delle schede, non dovrebbe essere superiore al 5 %, quindi sufficiente per un giudizio ponderato.

Età degli intervistati.

In età scolare da 10-18 anni, femmine 35, maschi 24, totale 59;

in età lavorativa, da 18-60 anni, femmine 60, maschi 51, totale 111;

con più di 60 anni, femmine 26, maschi 23, totale 49.

Attività: studenti 64, lavoratori 91, pensionati 44, non occupati 5, casalinghe 15.

Dai dati sopra riportati si può subito notare che le nostre schede possono essere utilizzate solo per dare un giudizio sull’alimentazione di un ceto con reddito medio quale è quello che compone la popolazione di Lerici senza punte di grossi squilibri dal punto di vista della povertà o della ricchezza.

Un tessuto sociale sostanzialmente “omogeneo”, fortunatamente molto diverso dalle realtà di cui sono composte delle grosse città e il resto del Paese.

La colazione della mattina sono in pochi a saltarla, giovani o anziani, è solo il 10%, senza distinzione di sesso. Quello che distingue è il contenuto: i maschi propendono più per la colazione dolce, il 70%, mentre le femmine per quella salata, il 65%. Sarà per questione di “linea” o di gusto?

Alla colazione di metà mattinata sfuggono in pochi, dall’età scolare alla pensione.

È sicuramente un modo per prendere una pausa dallo studio o dal lavoro. Non è forse un caso che negli uffici è meglio evitare le ore centrali della mattinata. Siamo a una percentuale dell’82%. La composizione mette d’accordo i due sessi: per il 70% è salata. Dopo l’età lavorativa, in pratica, sparisce dalle abitudini alimentari.

Alla domanda quale pasto è più abbondante, si notano punte vicine al 100% per il pranzo nei soggetti di età scolare e post lavorativa mentre, sia per maschi che per femmine in età lavorativa il pranzo resta quello più abbondante solo per il 62% degli intervistati. La causa maggiore è forse dovuta all’orario di lavoro che prevede una pausa pranzo breve ma anche al bisogno di non sovraccaricare troppo la digestione dovendo poi riprendere subito a lavorare.

Quanto alla dieta sembra che vegani e vegetariani siano a livelli statisticamente irrilevanti. Gli onnivori infatti toccano il 92%.

Che dire? Pensavamo di meno. Comunque anche tra gli onnivori ci sono delle distinzioni molto ampie e si va dai patiti della carne o del pesce a coloro che ne mangiano solo saltuariamente.

Il consumo del pesce è, in rapporto alla carne, di circa la metà. Un due per cento dichiarano di consumare in tutti i pasti o carne o pesce. Il 12% lo fa da 8 a 13 volte la settimana. Da 4 a 7 volte il 72% delle persone mentre da una a tre volte il 14%.

Il 35% consuma prevalentemente carne rossa, il 62% prevalentemente carne bianca e il restante 3% prevalentemente insaccati.

Nella fascia più bassa del consumo di carne e pesce si attestano (per necessità o per principio?) il 22% delle persone onnivore che affermano che la spesa alimentare mensile supera la metà del reddito. Per il restante 78% la spesa alimentare è inferiore alla metà del reddito.

La pasta o il riso sono prevalenti rispetto a verdure e frutta per il 74% degli intervistati mentre un dolcetto a fine pasto è consumato dal 32% di maschi o femmine quasi in egual misura.

Beve esclusivamente acqua a pasto il 67% delle persone, beve esclusivamente vino o birra il 9% (se escludiamo però i minorenni la percentuale sale al 13%). Beve misto, acqua-vino, il 17% degli intervistati, compresi i ragazzini/e (riteniamo con un rapporto minimo di vino supervisionato dai genitori).

Il cibo biologico è acquistato normalmente dal 32% degli intervistati.

Sul cibo non si risparmia, infatti ben l’86% tiene conto prevalentemente della qualità. Infine solo il 27% degli intervistati ammette di acquistare in prevalenza cibi conservati o surgelati mentre il restante 73% dichiara l’acquisto di ingredienti freschi per i pasti in casa.

Per ultimo abbiamo chiesto quante volte al mese le persone pranzano o cenano fuori casa. Dalla ricerca abbiamo rilevato che dopo i 65 anni pranzi e cene fuori si diradano sino ad azzerarsi mentre alcune anomalie risultano in diversi soggetti lavoratori, dove si toccano mensilmente anche 30 pasti fuori casa (riteniamo si tratti dei pasti alla mensa aziendale, non avendoli preventivamente esclusi) quindi li eliminiamo dalla statistica. Ci sta che per i lavoratori il pranzo sia sostituito da uno spuntino veloce al bar, in pizzeria o in “paninoteca”.

Di quello che resta, il 21% dichiara di non andare mai al ristorante. Il 44% pranza o cena fuori da uno a tre volte al mese, il 23% da quattro a sei volte e il 12% più di sei volte. Delle persone che cenano fuori il 15% di loro si limita alla cena in pizzeria mentre delle restanti, l’80% ripartisce in modo variabile il pranzo al ristorante e la cena in pizzeria e il 5% si reca esclusivamente al ristorante.

Ora la dr.ssa Alessandra Di Sibio ci commenta i risultati di questa ricerca in qualità di esperta nutrizionista.

Sandro Fascinelli

Opinioni alimentari a confronto

Perché sono vegana

Non ho mai amato particolarmente la carne; ho iniziato a mangiarne sempre meno quando su You Tube iniziavano a mettere i primi video di chi lavorava nei macelli o negli allevamenti e di nascosto riprendeva ciò che accadeva dentro a questi luoghi di morte e tortura.

A parte i video, il giorno in cui ho detto basta è stato quando ho visto con i miei occhi un vitello che veniva portato via a forza dalla madre. Le urla della mucca legata nella stalla che chiamava il figlio che gridava, gli occhi terrorizzati del vitello che veniva spinto a forza… La paura in quegli occhi non la scorderò mai”.

Le persone non si chiedono come mai allevamenti intensivi e macelli siano fuori dai centri abitati: è perché non si sente e non si vede nulla di quello che sta realmente accadendo; le persone vivono nell’ignoranza, il consumo di carne non diminuisce e chi vuol guadagnare continua a guadagnare sulle spalle di animali innocenti.

Paola Auzas

Perché sono vegana

Sono vegana perché sono cresciuta in una famiglia in cui non si sgarrava dalla “buona cucina tradizionale” e quindi ho ingerito una quantità di grassi e proteine animali che basterebbero per tre vite.

Sono vegana perché non vedo e sento differenza tra gli animali che scodinzolano contenti o fanno teneramente le fusa nei nostri confortevoli salotti e quelli che vengono macellati, affettati, spezzettati per non parlare di tutto il resto…

Sono vegana perché da quando ho cambiato alimentazione mi sento molto meglio, ho molte più energie e se tutti, almeno, consumassimo poca carne, ci sarebbe da mangiare per tutto il mondo… Sarebbe un sogno troppo bello!?

Sono vegana perché sono anche golosa e quello che mangio è delizioso e ci può essere comunque convivialità, che è importantissima.

Sono vegana perché mi sono approfonditamente informata sui benefici per la salute e sui danni che può provocare un’alimentazione tradizionale ed è un vero peccato che ci siano ancora tanti pregiudizi e tanta ignoranza.

Sono vegana perché così insegno alle mie figlie che siamo sempre liberi di scegliere responsabilmente ed è possibile discostarsi dal conformismo.

Informiamoci, proviamo…

Francesca Pegazzano

Perché sono vegetariana

Sono vegetariana da più di quattro anni e ho deciso di smettere di mangiare carne e salumi per motivi di salute.

Mi sottopongo annualmente a controlli medici per la prevenzione del tumore al seno e il medico che mi ha in cura mi ha consigliato di seguire una dieta priva di carni perché esse contengono delle sostanze che possono aumentare il rischio della comparsa di un tumore.

Inizialmente pensavo che sarebbe stato difficile rinunciare soprattutto ai salumi di cui ero golosa, ma poi ho imparato a sostituire le proteine animali con quelle vegetali consumando un maggior numero di legumi, verdure e frutta. Ho continuato a mangiare pesce perché, nonostante sia una carne, contiene gli Omega 3 che fanno molto bene alla salute.

Sono una vegetariana felice e convinta perché ho imparato a mangiare diversamente e penso di farmi del bene.

Valentina Bosello

Perché sono vegetariana

Per me essere vegetariana è soprattutto una scelta etica. Etica nei confronti degli altri esseri umani perché per produrre le carni che vengono disinvoltamente divorate da una minima percentuale di persone (più che altro il ricco Occidente, per intenderci) si utilizzano a pascolo grandi estensioni di terreno strappandole a una produzione agricola che consentirebbe di sfamare gran parte del resto della popolazione mondiale; etica nei confronti degli animali, perché gli allevamenti intensivi sono veri e propri lager; ma anche etica perché produrre carne aumenta l’inquinamento.

Una testimonianza importante a questo proposito è quel-la contenuta nel documentario “Cowspiracy” sponsorizzato da Leonardo Di Caprio e arrivato in Italia a ottobre del 2015.

Essere vegetariani è poi un fatto non trascurabile di salute, poiché ormai è ampiamente comprovata la correlazione fra l’abuso di una dieta carnivora e alcuni tipi di tumore come quelli all’intestino o la leucemia; si tratta di una percentuale di rischio statisticamente impressionante, che sfiora una differenza del 45%.

Capisco come per tante persone cambiare abitudini alimentari sia una cosa difficilissima: è un andare contro una mentalità consolidata, contro secolari tradizioni; però penso che il poco sia già meglio del niente: cambiare piano piano, aumentando da una parte e diminuendo dall’altra, in una spirale di processo virtuoso.

In Italia non è ancora radicato un tipo di cultura come quelle vegetariana e vegana, però abbiamo il vantaggio che la dieta mediterranea è già di per sé ricca di cereali, verdura e frutta. Personalmente non amo i fondamentalismi: mi sono trovata all’estero in una circostanza in cui, per non mettere in imbarazzo o addirittura offendere i miei ospiti, ho mangiato senza batter ciglio un ripieno di carne e ogni tanto mi concedo, come eccezione, qualche piatto a base di pesce.

Maria Luisa Eguez

Perché sono onnivoro

Sono onnivoro perché la mia famiglia di origine, a Piacenza, cucinava e consumava moltissima carne. Così sin da piccolo mi sono abituato a questo regime alimentare e ora mi sembra di non poter fare a meno di mangiare carne. Amo molto il formaggio (soprattutto il Gorgonzola) e i salumi. Man-gio volentieri anche il pesce. So che frutta e verdura fanno molto bene alla salute ma le mangio più occasionalmente.

Mi piace cucinare soprattutto per le feste. I miei piatti forti sono: tortelli, torte sia dolci che salate, risotti. Mi ritengo anche un discreto intenditore di vini e in casa mia non manca mai una buona bottiglia d’annata. Mangiare, bere e cucinare sono secondo me delle arti. Nella vita sarei disposto a rinunciare forse con molta fatica al fumare ma mai a una bella bistecca.

Angelo Maestri

Perché sono onnivoro   

    Il termine “onnivoro” è mutuato dal latino omnis (tutto) e vorare (mangiare). Risulta, quindi, onnivoro colui che si nutre di tutto. L’apparato digerente degli onnivori è in grado di elaborare e assimilare dal cibo vari nutrimenti, oltre ad avere a disposizione una scelta variegata di ingredienti, che sovente coincide con un miglior adattamento ai cambiamenti climatici.

Bando ai sostenitori di diete diverse, rifuggiamo dalle diatribe tra vegani, vegetariani e carnivori. Taciterei le opposte fazioni, che si accapigliano per suffragare la loro visione alimentare, con le teorie di Oswald de Andrade che nel suo manifesto del Movimento antropofago brasiliano promuoveva un’azione di divoramento della cultura europea, finalizzato alla valorizzazione dell’identità latino-americana; e di tutti noi aggiungerei.

Il cibo è sostentamento e vita, necessità e piacere, madre e sangue, elemento imprescindibile per farci resistere sul nostro pianeta.

Dalla nostra cavità orale è bene, però, introitare cibi con consapevolezza. La mia esperienza nel mondo del vino dei Colli di Luni mi ha insegnato che vicino a noi possiamo incontrare realtà seminascoste che attendono d’essere scoperte. Piccole aziende artigiane che producono, nella nostra Liguria, spesso modiche quantità di buon vino, ottimo olio d’olive Taggiasche, salumi, insaccati e formaggi di gran pregio. Il nostro territorio, sovente bistrattato e poco capito, reclama rispetto soprattutto perché la nostra casa è l’ombelico della dieta mediterranea, da sempre vessillo di benessere ed equilibrio.

Manrico Stiaffini

N.d.r: Vegane e vegetariane 4 donne, onnivori 2 uomini:

sarà un caso?

Mandateci le vostre osservazioni!

Il commento e i consigli dell’esperta nutrizionista

Passo ad analizzare quanto è emerso dalla ricerca sull’alimentazione effettuata dal laboratorio di giornalismo delle scuole di Lerici:

La colazione della mattina

viene saltata da pochi intervistati, solamente dal 10% e senza differenza di sesso. Confrontando con le abitudini alimentari emerse da studi del Ministero della Salute nel 2015, tali che possono favorire anche un aumento di peso, specie se concomitanti, si evince che l’8% dei bambini salta la prima colazione e il 31% fa una colazione non adeguata (ossia sbilanciata in termini di carboidrati e proteine). I risultati ottenuti si avvicinano quindi a quelli del nostro comune, anche se riguardano diverse fasce di età.

Un pasto a cui non bisognerebbe mai rinunciare è proprio la prima colazione, perché l’organismo proviene da circa 8 ore di digiuno dovuto al sonno e, proprio per questo, ha bisogno di energia per affrontare una nuova giornata. Va anche ricordato che cominciare la colazione in famiglia prima di affrontare la giornata rappresenta da sempre un’antica tradizione da cui non bisognerebbe mai staccarsi.

Numerosi studi, inoltre, mostrano che il rifornimento di macronutrienti, micronutrienti, vitamine, minerali e oligoelementi, generalmente forniti dalla prima colazione, non viene compensato dagli altri cibi assunti nell’arco della giornata.

A questo proposito, un ruolo particolarmente importante sembra svolto dai cereali per la prima colazione, che permettono di arricchire la colazione stessa, sul piano nutrizionale, in modo significativo. Infatti, i bambini che saltano regolarmente la prima colazione hanno maggiori probabilità di incorrere in carenze di vitamina B6, vitamina A, ferro, calcio, magnesio, rame e zinco, rispetto ai coetanei che consumano invece regolarmente una colazione a base di cereali.

Il consumo di cereali a colazione almeno 4 volte alla settimana migliora i parametri di crescita ed i livelli di assunzione di micronutrienti anche nelle donne in età fertile e negli anziani, popolazioni spesso a rischio di carenza nutrizionale per quanto riguarda vitamine e minerali. I cereali da prima colazione rappresentano una fonte rilevante di fibra soprattutto nei bambini, che generalmente consumano minori quantità di alimenti naturalmente ricchi in fibra, come la frutta e la verdura. Studi condotti sia nei ragazzi sia negli adulti evidenziano anche l’importanza della prima colazione nel mantenimento del peso corporeo nella norma.

L’omissione della prima colazione può anche influenzare negativamente la sensibilità postprandiale all’insulina, la funzionalità cerebrale, le attività cognitive e non garantisce, in tempi brevi, la disponibilità di energia e di nutrienti dopo il prolungato digiuno notturno.

Per quanto riguarda le scelte e le abitudini alimentari, il gusto è il principale fattore che guida le scelte alimentari e le abitudini nutrizionali ovviamente con un conseguente impatto sullo stato di salute.

I dati ottenuti da LERICI IN ci dicono che le donne preferiscono il salato mentre gli uomini il dolce. Non è semplice spiegarne i motivi, in quanto scelte alimentari sono in parte determinate dallo stile di vita, dalla cultura, dalla società in cui viviamo ma sono anche in parte determinate dai nostri geni. Ogni individuo, infatti, è in grado di percepire i quattro sapori fondamentali (acido, salato, dolce, amaro) in maniera differente, questo perché la percezione è legata anche a fattori fisiologici di natura ereditaria.

Il consumo di cibo è guidato principalmente dal piacere derivante dalle proprietà sensoriali degli alimenti, come il gusto, l’odore, la consistenza, l’aspetto, e quindi la palatabilità rappresenta un fattore chiave nel determinare le scelte alimentari sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. È stata ampiamente dimostrata la presenza di una variabilità individuale nella percezione gustativa.

Gli individui presentano una differente sensibilità alla stimolazione causata dalle molecole chimiche presenti nei cibi e in alcuni casi questa determina una maggiore vulnerabilità alle pressioni alimentari dell’attuale società e pone una barriera all’adozione di diete salutari, portando per esempio a un ridotto consumo di frutta e verdura oppure a un eccessivo introito di cibo, soprattutto alimenti ricchi di zuccheri e grassi. In parte questa differenza può avere una base genetica ed essere determinata da polimorfismi dei geni che codificano i recettori gustativi.

Inoltre, apprezzare un certo gusto più di altri può portare più facilmente a consumare in eccesso gli alimenti caratterizzati da quel gusto, con un aumento del rischio di sovrappeso. Ma ad essere condizionate da questi meccanismi sarebbero soprattutto le donne.

La merenda di metà mattina

I risultati ottenuti a Lerici non convergono su quelli del Ministero della Salute, almeno per quanto riguarda gli studenti, dove viene dichiarato che solamente il 52% fa una merenda di metà mattina abbondante e il 25% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura. Infatti, dal sistema di sorveglianza del Ministero della Salute emerge ad esempio che a livello nazionale solo una minoranza di bambini consuma a metà mattina un’adeguata merenda, come ad esempio la frutta o lo yogurt, laddove vengono solitamente mangiate merendine, focacce.

La distribuzione nelle scuole di spuntini bilanciati per merenda, così come la realizzazione in ambito scolastico di ulteriori attività di promozione di sane abitudini alimentari, sembrano favorire un minor consumo di alimenti e snack eccessivamente calorici o abbondanti nelle quantità.

I dati nel nostro campione dimostrano inoltre una tendenza a scegliere alimenti salati e immagino calorici. Questo tipo di merenda mattutina potrebbe nel tempo portare a una ridotta tolleranza al glucosio, ad aumento di peso, considerando sempre il computo calorico durante la giornata. I cibi più adeguati sono quelli a basso indice glicemico, proprio per la loro capacità di modulare gli zuccheri nel sangue, e ricchi di fibre, come la frutta.

Per quanto riguarda gli adulti, naturalmente, la scomparsa di una pausa durante la mattinata può portare a un introito eccessivo di calorie nella pausa pranzo, che, se fatta magari molto distante dalla colazione e fuori casa, può indurre a scelte nutrizionali prevalentemente ricche di carboidrati, come il classico panino, e di grassi, come il formaggio e i salumi.

Il pasto più abbondante

Nei soggetti in età scolare e nelle persone in età post lavorativa il pasto più abbondante risulta il pranzo, mentre per chi lavora no e quest’ultimo sarà sicuramente più veloce, ricco di grassi e carboidrati.

Un esempio di pasto di mezzogiorno che consente una digestione molto rapida può essere un’insalata mista con aggiunta proteine vegetali, ossia i legumi, o di germogli e un pizzico di frutta secca con un pezzettino di parmigiano, oppure un piatto di pasta, preferibilmente integrale, o riso o farro condita in maniera semplice, come con il pomodoro o con le verdure.

La bevanda da preferire deve essere sempre l’acqua. La frutta, di cui le linee guida ci dicono che dobbiamo consumare almeno due porzioni al giorno, si può lasciare come spuntino del pomeriggio.

Questo stacco pomeridiano è un mini-pasto molto importante, perché permette di continuare ad avere energia durante le ultime ore di lavoro e di non arrivare troppo affamati a cena cominciando a spiluzzicare, momento in cui si possono assumere calorie in eccesso proprio per il rilassamento seguente al ritorno a casa e, se si è fatto un pranzo non adeguato, la cena potrebbe risultare ancora più ricca di grassi.

Alessandra Di Sibio – Biologa nutrizionista

(da Lerici In di aprile 2016)

Segue dal numero di febbraio scorso dove abbiamo pubblicato i risultati del sondaggio sui gusti alimentari dei lericini.

La dr.ssa Alessandra Di Sibio ha iniziato a commentare, dal punto di vista di esperta nutrizionista, le conclusioni della nostra indagine. In questo numero pubblichiamo la seconda parte del suo articolo. Il numero di febbraio di Lerici In, per chi non lo avesse letto, è visibile e scaricabile sul sito del Comune e dell’Istituto Comprensivo di Lerici.

Onnivori, vegetariani e vegani, consumo di pasta, frutta e verdura.

Per quanto riguarda questo argomento è importante tenere presente che durante l’accresci- mento è necessaria un’alimentazione onnivora, cioè ricca e varia, non monotona, come sembra essere quella dello studio. La dieta sana deve seguire le linee guida della nuova piramide alimentare e la dieta mediterranea, dieta considerata patrimonio immateriale da parte dell’Unesco è sempre al centro di numerosi studi scientifici.

Gli studi scientifici dimostrano che la dieta mediterranea:

▪ è protettiva per il cervello (fonte scientifica: Scarmeas et al.), e riduce la possibilità di sviluppare Alzheimer e Parkinson (fonte sc.: Sofi et al.);

▪ ha un impatto positivo sulla riduzione di stati infiammatori (fonte sc.: De Lorenzo et al.);

▪ riduce il colesterolo (fonte sc.: De Lorenzo);

▪ riduce l’ipertensione, protegge il cuore e previene l’arterio-sclerosi (fonte sc.: Notarbartolo et al.);

▪ riduce la possibilità di sviluppare danni renali (fonte sc.: Trovato et al.).

I suggerimenti sono di consumare, per quanto riguarda gli alimenti più ricchi in proteine, la carne non più di tre o quattro volte la settimana, e naturalmente preferire quella bianca, come pollo, tacchino, coniglio, mentre la carne rossa e gli insaccati dovrebbero essere introdotti non più di una volta la settimana; il pesce tre volte la settimana e preferire quello azzurro, come alici, acciughe etc, per proteggere il nostro sistema cardiovascolare; il formaggio e il latte non più di due porzioni al giorno, e potrebbe essere il parmigiano sulla pasta e uno yogurt magro bianco a cui aggiungere frutta fresca; infine, i legumi, proteine di origine vegetale che ancora oggi da molti sono considerati verdure.

I Legumi dovrebbero, secondo le linee guida, essere consumati almeno tre quattro volte la settimana in sostituzione alla carne e al pesce, utilizzandoli sia come secondo piatto associati a un pezzettino di pane, per aumentarne il contenuto in aminoacidi essenziali, oppure come piatto unico unendoli alla pasta, facendo pasta e fagioli, riso e piselli, farro e lenticchie.

I dati dello studio di LERICI IN si possono avvicinare a quelli fatti per valutare quanto i consumi della popolazione italiana siano sostenibili. Da questi ultimi emerge che il consumo di frutta e verdura negli individui di età compresa tra i 15 e i 79 anni non è così frequente così come dovrebbe essere. In media gli italiani, in queste fasce di età, consumano poco più di una porzione al giorno sia di frutta che di verdura. Addirittura, il 5% dei più giovani dichiara di non consumarne mai, mentre sempre i più giovani affermano di mangiare carne rossa una o più volte al giorno.

Le linee guida però ci informano che il consumo di frutta e verdura deve essere di almeno cinque porzioni al giorno, cioè due di verdura e tre di frutta, per cui gli intervistati sono molto lontani dai consumi consigliati.

Tutti, adulti, giovani e anziani dovrebbero cercare di avvicinarsi il più possibile alle linee guida non solo per mantenere la salute nel tempo ma anche per proteggere il nostro ambiente. Le nostre scelte alimentari possono aiutare a preservare l’ambiente che paga per le nostre scelte giornaliere. Ma questo è un discorso molto più ampio che potremo sviluppare in seguito in un altro momento.

Consumo di acqua e bevande alcoliche

Il consumo di acqua, dai dati emersi, deve essere aumentato mentre le bevande alcoliche, anche se annacquate, devono essere evitate dai giovani. Solo agli adulti si può consigliare un bicchiere di vino al giorno per le donne e due per gli uomini, sempre all’interno di un pasto e mai a stomaco vuoto. Mi piacerebbe sapere quante bevande zuccherate vengono consumate durante il giorno. E su questo argomento aprire un dibattito che affronti e vi dimostri gli effetti nocivi di tutti i soft-drink.

Ma, tornando all’acqua, perché è così importante? Perché il nostro organismo è composto principalmente da acqua a ogni età, anche se la sua quantità decresce con l’aumentare degli anni. Il bambino piccolo ha un corpo più idratato, circa il 75%, mentre l’anziano tale percentuale decresce a una media di circa il 50%.

L’acqua entra nella struttura di varie sostanze e agisce da solvente per la maggior parte dei nutrienti (minerali, vitamine idrosolubili, aminoacidi, glucosio, ecc.), svolgendo un ruolo essenziale nella digestione, nell’assorbimento, nel trasporto e nella utilizzazione degli stessi nutrienti; è il mezzo attraverso il quale l’organismo elimina le scorie metaboliche, ed è indispensabile per la regolazione della temperatura corporea. Inoltre, l’acqua agisce come lubrificante e ha funzioni di ammortizzatore nelle articolazioni e nei tessuti, mantiene elastiche e compatte la pelle e le mucose, (la cui funzionalità dipende da un giusto grado di idratazione) e garantisce la giusta consistenza del contenuto intestinale.

Le linee guida ci consigliano di assecondare sempre il senso di sete e anzi tentare di anticiparlo, bevendo a sufficienza, mediamente 1,5-2 litri di acqua al giorno. Vi voglio ricordare inoltre che i bambini sono maggiormente esposti a rischio di disidratazione rispetto agli adulti. (Sull’argomento acqua ritorneremo presto)

Cibo biologico, conservato, surgelato e pasti fuori casa

Per fortuna i dati evidenziano che il 72% degli intervistati utilizza prodotti freschi per cucinare e solo il 27% prodotti surgelati e conservati. Questo dato è importante perché i prodotti conservati hanno aggiunta di sale, elemento che predispone all’ipertensione, coloranti e additivi che possono determinare allergie e intolleranze alimentari.

L’attenzione all’uso del cibo biologico può essere migliorata in quanto anche un recente studio condotto dalla Newcastle University ha scoperto che le concentrazioni di antiossidanti come polifenoli in prodotti biologici possono essere 18-69 per cento in più rispetto ai rispettivi non-organici. Ma una delle principali considerazioni nella scelta di alimenti biologici non è il maggiore valore nutrizionale, ma piuttosto la riduzione dell’esposizione ai pesticidi. Un’altra recente ricerca che ha esaminato gli effetti del cadmio sul corpo umano e i prodotti contaminati che spesso lo contengono, ha rivelato che le colture biologiche hanno quasi il 50 per cento in meno della sostanza nociva. Una riduzione del consumo di cadmio (ingerendo colture biologiche) può portare a una riduzione del 20 per cento della mortalità (a causa di un minor rischio di malattie cardiovascolari e cancro), e questo studio prevede anche una riduzione del 35 per cento del rischio cardiovascolare in base al contenuto di flavonoidi.

Questo naturalmente, non vuol dire che gli alimenti coltivati in maniera convenzionale portino a una cattiva salute, ma solo che le colture biologiche sono probabilmente molto più sane. Bisognerebbe anche portare avanti una politica di prevenzione che miri a portare sulle nostre tavole molto più spesso alimenti a chilometri zero.

Pasti fuori casa

I risultati dello studio di LERICI IN afferma che il 44% degli intervistati pranza o cena fuori da uno a tre volte al mese, il 23% da quattro a sei volte e il 12% più di sei volte. Di quello che resta il 21% dichiara di non andare mai al ristorante. Questi risultati sembrano migliori (per la percentuale totale di persone che mangia fuori casa) rispetto a quelli ottenuti dalla Fipe, federazione italiana pubblici esercizi, dove si evince che sono circa 12 milioni gli italiani che pranzano abitualmente fuori casa, e 1 su 2 frequenta bar e ristoranti. Nel Bel Paese si spendono complessivamente 76 miliardi di euro l’anno per mangiare fuori, numeri importanti se si considera anche che ci sono circa 680.000 lavoratori dipendenti in questo settore.

Diverse le tipologie dei consumatori: 13 milioni di persone consumano almeno 4-5 pasti fuori casa in una settimana, mentre 9 milioni si attestano sui 2 o 3. Questi sono i consumatori “forti”, che superano i 17 milioni che invece mangiano più spesso a casa e vanno fuori solo per 2 o 3 pasti al mese. Sono le donne di età superiore ai 64 anni che mangiano più spesso a casa, mentre gli uomini nella maggior parte dei casi sono i più assidui frequentatori di bar e ristoranti.

Fra i pasti più consumati sicuramente il pranzo: sono 12 milioni di italiani – il 66% della popolazione – a pranzare fuori dalle mura domestiche. I piatti più consumati come potrete immaginare sono panini, pizze e primi piatti, con una spesa media di circa 11 euro ciascuno. Il mangiare fuori casa aiuta la convivialità, la socialità ma al tempo stesso può determinare un aumento nell’introito calorico, soprattutto per quella percentuale del 12% del nostro campione che consuma più di sei volte la settimana pasti fuori casa.

Considerazioni finali

Ringrazio Lerici In per avermi dato la possibilità di analizzare criticamente e scientificamente la ricerca effettuata. Questa può essere un modo utile per fare prevenzione, oltre che informazione.

Alessandra Di Sibio Biologa nutrizionista