In occasione della Festa della Donna vogliamo ricordare la figura di don Lorenzo Milani che, arrivato nel 1954 “in punizione” a Barbiana per le sue idee troppo progressiste, realizzò invece l’embrione di un’esperienza educativa che sarà di esempio per un cambiamento epocale: far studiare le femmine al pari dei maschi dando loro strumenti concreti per una parità sostanziale non solo formale. A parlarcene è la prof.ssa Chiara Bertani  del liceo Montessori di Marina di Carrara                                   S F

Un aspetto poco conosciuto della scuola di Barbiana è quello relativo alle bambine di don Milani. Se le immagini diffuse fino ad oggi ci hanno indotto a pensare che a frequentare quella scuola fossero solo alunni maschi, oggi grazie alla raccolta di testimonianze e lettere inedite sappiamo invece che erano presenti anche alcune bambine che don Milani volle con forza coinvolte nelle sue lezioni e laboratori.

Questo materiale è oggi accessibile grazie al testo di Sandra Passerotti, Le ragazze di Barbiana. La scuola al femminile di don Milani, pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina.

Ma ad aprire per me la conoscenza di quella realtà è stato un incontro inaspettato, ma letteralmente provvidenziale, presso la scuola di Barbiana, proprio con una di quelle bambine.

Ormai due anni fa ho partecipato ad un viaggio riservato agli insegnanti di Religione cattolica per conoscere e vedere con i propri occhi quella piccola località ormai nota. Barbiana non può essere definito un paese, ma più semplicemente un agglomerato di case, oggi facilmente raggiungibile in automobile, ma all’epoca soltanto a piedi sfidando un sentiero che si inerpica erto. Quel giorno ci era stato chiesto di percorrere quel vecchio cammino per provare la fatica e le difficoltà della salita. Sebbene mi fossi ben organizzata per l’occasione con abbigliamento comodo e scarpe adatte, la mia proverbiale pigrizia e la paura delle salite mi avevano indotto ad approfittare con sollievo della macchina messa a disposizione dai volontari. Ciò che non potevo sospettare è che su quella macchina sarebbe salita insieme a me una delle bambine di don Milani, che ci avrebbe accompagnato poi durante la visita: la signora Fiorella Tagliaferri. E, cosa ancora più straordinaria, che nell’attesa degli altri avrei avuto a disposizione una quarantina di minuti per un colloquio personale e privato con la signora Fiorella proprio nei locali di quella scuola.

Della signora Fiorella ricordo ancora l’emozione negli occhi di chi è stata testimone di un incontro che ha cambiato la propria vita. Spesso deve interrompersi perché le lacrime scorrono e ha bisogno di un attimo per poter riprendere il racconto. Mi restituisce il ritratto di un uomo che ha amato quei bambini come un padre. Lo definisce costantemente “il mio priore”, facendomi capire che in quel “mio” c’è tutta la relazione personale di cura che don Milani ha instaurato con i suoi alunni: quell’“I care” (sei importante per me) dipinto su una porta della scuola di Barbiana è tutto lì, incarnato in quella relazione che mi viene ora mediata da Fiorella.

E le sue parole non lasciano spazio ad alcun dubbio: “L’unica persona intelligente che mi stimava era il mio priore” tanto da farle scoprire per la prima volta cosa fosse l’autostima. E ricorda: “quante volte in sagrestia mi metteva sulla seggiola e mi diceva che non dovevo sentirmi meno di mio fratello, che anch’io avevo un cervello uguale a lui e dove c’è scritto che la femmina non deve avere la cultura e che si deve sposare e avere figli?”. In quelle parole si rivela sorprendentemente tutta la modernità dello sguardo di don Milani sull’emancipazione della donna e il suo ruolo nella società negli Anni ’50 e ’60 del 1900.

Fiorella mi ricorda ancora che il “suo” priore proveniva da una delle famiglie più ricche di Firenze. “Considera, nel 1923, quando a Firenze c’erano soltanto sette automobili in tutta la città, due erano della famiglia Milani. Erano ricchissimi. Ma io l’ho scoperto dopo un anno che era ricco, perché aveva la tonaca tutta consumata, era tutto sgangherato come noi, mangiava male come noi. Quando siamo andati a casa sua, in visita alla Gigliola, sentendo la cameriera riferirsi a lui con il titolo di signorino, io ho chiesto: «perché lei ha chiamato signorino il mio priore? Lui non è il signorino, è il mio priore». Perché signorino si chiamava anche il figlio del mio padrone. E lei rispose: «perché è ricchissimo. È padrone della villa, della fattoria, di ventiquattro poderi, di una villa a Castiglioncello al mare, due palazzi a Firenze, un palazzo a Milano».

Io avevo sette anni e mezzo. Era circa un anno che era qui il priore. Rimasi così sorpresa che gli dissi: «Priore ma tu qui potresti star bene, mangiare tutti i giorni, c’è pure la cappella vicino alla villa». E lui mi rispose: «ma io lassù ho voi». Lui ci faceva sentire bambini desiderati, bambini importanti, anche se eravamo gli ultimi”. Questo fu lo stile di tutta la sua vita.

Nel suo testamento ha voluto scrivere ai suoi bambini e bambine: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia ascritto tutto al suo conto”, firmando quest’ultima lettera solo con il suo nome: Lorenzo.

Fiorella mi racconta poi che al momento dell’arrivo del priore frequentava la prima elementare nella pluriclasse di Padulivo, vicino a Barbiana. La scuola distava circa un chilometro da casa sua, ma non la frequentava spesso perché la maestra che veniva da Firenze era sovente assente in quanto non riusciva in inverno a raggiungere la scuola.

Mentre il fratello, più grande, andava regolarmente a scuola anche se la maestra era assente, lei rimaneva a casa dove si occupava dei lavori necessari. Aveva già imparato a mungere, fare la ricotta e il formaggio, aiutare il babbo nel lavoro nei campi. Si alzava presto la mattina per accudire le galline e le papere. La sera entrava nella stalla per mungere le vacche, dava loro la biada e quando il babbo non la vedeva metteva sempre un po’ più di fieno e meno paglia.

L’arrivo del priore e la sua volontà di aprire una scuola popolare in parrocchia aperta anche alle bambine aveva però cambiato tutto. Il priore aveva dovuto vincere le resistenze delle famiglie, composte per lo più di persone analfabete, che non comprendevano l’utilità dello studio, in particolare per le bambine. E di fronte a quelle resistenze raccomandava la disobbedienza.

(segue)

Chiara Bertani

(da Lerici In di aprile 2025)

Ricorda la signora Fiorella: “un giorno in sagrestia mi disse: «Può sembrare brutto l’insegnamento che ti do Fiorella, l’insegnamento di ribellarti ai genitori, ma i genitori non sono tutti perfetti come non lo sono i figli tutti perfetti… come non lo sono i fratelli… come non lo sono i nonni. Tu devi ragionare: se la tua mamma e il tuo babbo sbagliano, allora tu hai il dovere di ribellarti, di non dare loro retta. Se il tuo babbo e la tua mamma ti impediscono di venire a scuola perché secondo loro ho rubato un figlio… ribellati!».

Se dunque far studiare le femmine, soprattutto le figlie di contadini, era generalmente considerato poco meno che inutile, grazie a lui successe e quelle bambine furono pronte a cogliere quel cambiamento.

Tra le lettere inedite pubblicate nel volume di Sandra Passerotti, alcune sono particolarmente interessanti perché svelano le intenzioni profonde del priore. In una lettera ad Eugenia Pravettoni del 23 Luglio 1959 da Barbiana egli scrive: “Tu sai che il mio scopo principale è di fare la scuola per le bambine piccole e queste sono 6 o 7… Io penso soprattutto a loro perché l’anno prossimo voglio fare l’avviamento come ho fatto coi ragazzi, voglio educarle in tutti i modi per farne delle figliole intelligenti, furbe, sveglie, capaci di difendersi, di guadagnarsi il pane…”. E ancora in una lettera a Giuseppina Grassi Melli del 9 Maggio 1966 esclama: “Cara Giuseppina, mi rivolgo a te perché come sai l’unica differenza tra i maschi e le femmine è che le femmine capiscono qualcosa nei fatti altrui, mentre i maschi capiscono solo nei loro propri…”.

L’attenzione di don Milani per le bambine andava però anche al di là del mondo della scuola. Nel libro della Passerotti è raccontato un episodio che svela la sensibilità del priore e l’attenzione verso il femminile: Luana Fiacchini, parrocchiana di don Milani a Calenzano, ricorda infatti che oltre alla scuola aveva premura per tutti i bisogni dei propri parrocchiani. Racconta ad esempio che quando andava a Barbiana, c’era una bambina con i capelli crespi, che per lei erano un cruccio. “Don Milani pregò l’Adele (Adele Corradi, insegnante di scuola media statale che dal 1963 dedicò le sue energie alla scuola di Barbiana, senza lasciare l’insegnamento pubblico) di portarla dal proprio parrucchiere per farglieli aggiustare. Don Lorenzo era tutto per i suoi allievi maschi e femmine. Per loro era il prete, il maestro, il dottore, il babbo e la mamma”.

La sua cura per le bambine fu tale che riuscì nell’impresa di organizzare per alcune di loro un soggiorno a Londra per imparare l’inglese. Rispetto ai compagni maschi, per loro don Lorenzo si preoccupava di sistemarle in famiglie affidabili e di garantire un viaggio sicuro, prediligendo voli aerei. Chi ha vissuto quei momenti ci ricorda incredulo: “Ma per esempio il fatto di essere riuscito a mandare la Carla in Inghilterra, accidenti se era una rivoluzione a Barbiana!”.

L’attenzione di don Milani per il femminile si rivelava non solo nel rapporto con le bambine, ma anche con le donne di cui si circondava per essere aiutato nelle sue attività o con le parrocchiane. Bisogna infatti sottolineare la presenza di donne adulte che diedero la loro forte impronta femminile alla scuola di Barbiana: donne presenti già nella precedente esperienza pastorale di don Milani negli anni di San Donato a Calenzano. Non solo Giulia ed Eda che da Calenzano si trasferirono con lui a Barbiana, ma ad esempio Eugenia, milanese, che aveva sposato uno dei suoi alunni più stimati e a cui don Lorenzo aveva chiesto di trasferire le sue competenze di abile sarta alle bambine di Barbiana, non solo per un “avviamento professionale” analogo a quello a cui si preparavano i maschi in altri ambiti, ma con l’esplicito messaggio che unabilità sartoriale provetta avrebbe potuto eman-cipare quelle bambine attraverso un lavoro non subalterno e garantire loro l’indipendenza economica.

Alcuni avevano l’impres-sione che il priore fosse scostante con le donne, ma non è vero, ci dicono le testimoni: semplicemente non voleva creare la possibilità di far sparlare, di pensare male o far nascere critiche, avendo di mira solo e unicamente il rispetto della donna. Aveva cura di non entrare mai in casa di donne sole e anche in canonica lasciava sempre la porta aperta durante i loro incontri.

La stessa delicatezza emergeva, ricorda Fiorella, anche nelle aule scolastiche: ad esempio, mentre si leggeva il giornale e c’era una parola che non si conosceva o era difficile e chiedeva che cosa volesse dire, se nessuno lo sapeva faceva delle scenate terribili ai maschi, mentre alle bambine non ha memoria che lo facesse.

Da queste importanti testimonianze sappiano dunque oggi che, in una società patriarcale e isolata come quella della Barbiana di quegli anni, in cui nascere femmina era quasi una disgrazie per la famiglia e dove le bambine potevano intravedere il futuro solo come spose, madri, casalinghe, contadine e dove per loro non era necessario studiare, don Lorenzo è riuscito a scombinare tutto. Ha voluto fortemente educare anche le figlie dei contadini perché crescessero nella parità dei diritti, nella loro emancipazione e perché diventassero, come amava ripetere loro, “cittadine sovrane”.

Chiara Bertani