La domenica del Corriere del 1° dicembre 1940 con il marò Ciaravolo che saluta il comandante Borsini (in evidenza sopra)

storie di Marina a cura del comandante Sergio Di Gregorio

(Lerici In di luglio e agosto 2020)

1°) I turisti italiani che, attirati dalla bellezza delle sue scogliere coralline e dai mille colori dei suoi fondali marini, oggi frequentano le località del Mar Rosso apprezzandole nelle vacanze estive, forse ignorano, quasi sempre per questioni anagrafiche, che da quelle parti, precisamente lungo le coste eritree in corrispondenza delle isole Dalhak, (125 fra isolotti e scogli), nel primo mattino del 21 ottobre del 1940 affondava con i suoi 200 uomini di equipaggio il cacciatorpediniere Francesco Nullo (patriota garibaldino), a bordo del quale si svolgeva un episodio letteralmente incredibile con due protagonisti: il comandante Costantino Borsini (vedi foto sopra – MD) e il suo marò Vincenzo Ciaravolo.

2°) Alcune notizie preliminari per inquadrare il fatto nel suo contesto storico. L’Eritrea, l’Etiopia e la Somalia formavano dal 1936 l’Africa Orientale Italiana, rappresentata ufficialmente dal suo acronimo A.O.I.; così era indicato l’insieme dei possedimenti coloniali italiani nel Corno d’Africa. Si trattava di un territorio vastissimo. scarsamente popolato, poco strutturato, geograficamente lontano dalla madrepatria. Il suo perimetro era formato completamente da nazioni nemiche e dalla lunga fascia costiera del Mar Rosso; poiché tutto il neonato Impero era privo di risorse, dipendente quindi dall’estero per ogni sorta di approvvigionamenti, ne scaturiva che la sua difesa territoriale, anzi la sua stessa sopravvivenza risultava problematica. L’Esercito era numeroso ma male armato, poco motorizzato, con scarsa preparazione;
per quanto riguarda la Marina, a presidio della presenza italiana lungo le poche rotte commerciali nel Mar Rosso, era stato istituito a Massaua, prima capitale, un Comando Superiore e, nella zona portuale ricavata una base navale, con qualche officina per le prime necessità di un raggruppamento poco consistente di navi leggere, tutte di costruzione non recente e tecnologicamente superate: quattro caccia (tra cui il Francesco Nullo) da 1.100 tonn., tre ex esploratoriavvisi scorta, una nave coloniale, mas e motosiluranti, alcune unità militarizzate, numeroso naviglio ausiliario. Inoltre Massaua era la base provvisoria anche di una flottiglia di otto sommergibili di cui sei oceanici, in attesa della realizzazione a Chisimaio di quella definitiva. Con queste premesse, é facile intuire come i Comandi della Regia Marina, particolarmente quelli operativi, soffrissero tutti in misura più o meno marcata di alcuni gravi problemi, quali: a) la cronica carenza di combustibili, di pezzi di rispetto e di attrezzature in genere; inoltre l’impossibilità di potersene agevolmente rifornire rendeva assillante il controllo del suo consumo e, di conseguenza, ne risentiva l’addestramento delle truppe e degli equipaggi così come, d’altro canto, l’efficienza degli apparati di bordo e di terra che dipendeva dalla reperibilità dei pezzi di rispetto; b) il clima torrido di Massaua e dintorni influiva sull’efficienza fisica degli equipaggi imbarcati, che era messa a dura prova dalle condizioni ambientali (alta temperatura e umidità) createsi fin dalle prime ore del mattino in alcuni locali di bordo. Sul sommergibile Perla, uno dei due sommergibili dislocati in quella sede, fu rilevata la temperatura di 60 gradi in occasione di un’avaria all’impianto di condizionamento. Gli uomini, specialmente quelli dalla carnagione chiara, poco resistenti ai raggi infuocati del sole ne risentivano in modo particolare. In questa atmosfera di generale precarietà, il 10 giugno del 1940 iniziò per l’Italia il secondo conflitto mondiale; il compito principale delle nostre unità divenne quello d’intercettare i convogli inglesi che provenienti dall’oceano Indiano si riadunavano ad Aden per risalire fino a Suez.

Anche il Nullo, unità del 1927, comandato da pochi giorni dal capitano di corvetta Borsini, partecipava, insieme alle altre unità della 3ª squadriglia Battisti, Manin e Sauro, a queste missioni d’interdizione, tutte fino ad allora senza successo, e a bordo nelle fila del suo equipaggio cominciavano a serpeggiare i primi segnali di sfiducia. Borsini, nato nel 1906 a Milano da una famiglia della borghesia lombarda, aveva iniziato il periodo di permanenza a Massaua imbarcando pochi mesi prima su Nave Eritrea; poi era passato sul Nullo e gli era stato assegnato come attendente,(così era chiamato il marinaio addetto alla persona) il marò Vincenzo Ciaravolo, nato a Torre del Greco in una famiglia di marinai della marina mercantile; tra i due si era instaurato subito un rapporto di corretta familiarità.

3°) La sera del 21 ottobre, due sezioni di caccia, il Nullo e il Sauro, il Pantera e il Leone della 5ª flottiglia uscirono da Massaua, attraversarono l’arcipelago antistante seguendo il canale segnalato per le navi mercantili con l’ordine d’intercettare il convoglio britannico BN7 che, composto da 32 navi provenienti da Bombay, fortemente scortato, uscito da Aden avrebbe cercato di arrivare a Suez. Il passaggio del convoglio al traverso di Massaua era previsto per mezzanotte.

Il Pantera fu il primo ad avvistarlo alle 02.19, a 100 miglia circa a est di Massaua e, seguito dal Leone, partì subito all’attacco con il siluro ritenendo (sbagliando) di aver centrato un bersaglio, avendo visto da lontano dei lampi. Anche il Nullo attaccò alcuni mercantili del convoglio e poi si allontanò respinto dall’incrociatore leggero Leander, assegnato alla Newzealand Division della Royal Navy, armato con otto pezzi di calibro superiore. Da quel momento, le unità furono impegnate fino al mattino in una serie di manovre per portarsi al tiro da una posizione favorevole, seguite da veloci disimpegni coperti da cortine fumogene con rientri nei canali. A un certo punto, il timone del Nullo andò in avaria e la nave, senza controllo, compì pericolosamente due giri su se stessa. Eliminata l’avaria, il Nullo tornò al combattimento e mentre navigava isolato nei pressi dell’isolotto di Harmil, il più a settentrione delle Dalhak, alle 05.30 venne centrato da due colpi del Kimberly, uno dei caccia britannici più attivi, che si avvicinava sempre di più continuando a sparare senza essere efficacemente contrastato, mentre a bordo del Nullo era scoppiato anche un incendio. La situazione a bordo precipitò allorché il caccia italiano, nell’effettuare una manovra, andò a toccare uno scoglio corallino e iniziò a imbarcare acqua attraverso una falla creatasi su un fianco. Borsini, valutando i gravi danni subiti dall’unità quasi immobilizzata, decise di portare la nave già compromessa a incagliarsi sul vicino isolotto, dove era stata installata la batteria italiana Giulietti con una piccola guarnigione; in tal modo avrebbe permesso al suo equipaggio di salvarsi. Radunò gli uomini e ordinò di abbandonare la nave sotto i colpi del Kimberly che continuava a sparare. I naufraghi, già sistemati sugli zatterini di salvataggio aspettavano, prima di scostare le imbarcazioni dallo scafo in fiamme, la discesa del Comandante che, sebbene ripetutamente richiamato, tardava a raggiungerli.

4°) A un certo punto, si resero conto che intenzione di Borsini era quella di seguire le sorti della sua nave e invano, urlando, continuarono a incitarlo a tuffarsi. I testimoni, unanimi, raccontarono poi che videro Ciaravolo alzarsi, lasciare il suo posto sullo zatterino, scivolare in mare, con due bracciate ricoprire la breve distanza dal caccia, arrampicarsi a bordo sfruttando una cima penzolante lungo la fiancata, correre verso la plancia per raggiungere il suo comandante. In quel momento arrivò un siluro lanciato dal Kimberly e il Nullo esplose affondando e spezzandosi in due tronconi (il suo relitto è stato recentemente ritrovato a 80 metri di profondità). La notizia dell’affondamento del caccia (con 11 feriti e 14 caduti sepolti in maggioranza nel Cimitero militare di Massaua) costituiva l’ultima cattiva notizia proveniente dall’Africa, ma la fine del comandante Borsini con il suo marò destò una grande emozione in tutta la nazione; alla loro memoria fu decretata la medaglia d’oro al V.M.. Achille Beltrame dedicò alla vicenda una copertina della Domenica del Corriere, rimasta memorabile. Il poeta Marinetti cantò la loro storia in un poema.

5°) La figura del marò, diventata ormai un simbolo di altruismo, fedeltà, solidarietà umana, tornò alla ribalta dell’opinione pubblica 18 anni dopo, ingigantita da un avvenimento di cronaca nera, accaduto a Napoli, allorché in una notte di febbraio del 1958, a bordo della corvetta Pomona, all’ormeggio in quel porto, avvenne un gravissimo fatto di sangue. Un sottocapo furiere, imbarcato sull’unità, nel tentativo di sottrarre denaro contante dalla cassaforte di bordo, posta nel camerino del comandante, pensò di forzarla. L’ufficiale, il T.V. Negrotto Cambiaso, dormiva e, disturbato dal rumore prodotto, iniziò a dare segni di risveglio; il marinaio preso dal panico di essere colto in fragrante, non esitò a colpirlo ripetutamente alla testa con un’ascia fino alla morte. Nel dare la sorprendente notizia, i giornali radio della sera, su richiesta dello Stato Maggiore della Marina, richiamarono quasi per un ideale atto riparatorio, con parole accorate, la figura del marò Vincenzo Ciaravolo che, entrando così nella leggenda, aveva invece rinunciato a salvarsi per rimanere fino all’ultimo accanto al suo comandante.

Sergio Di Gregorio