(da Ameglia Informa di luglio 2020)

Il due luglio è l’80° anniversario del tragico naufragio della nave inglese Arandora Star, requisita e trasformata in nave da  trasporto allo scoppio della seconda guerra mondiale.

La Arandora Star era una nave della Blue Star Line di 14.694 tonnellate, costruita nel 1927, lunga 156 metri, larga 21 metri con 2 eliche, potenza 2.078 HP e velocità massima 16 nodi che poteva trasportare 518 passeggeri in classe unica per crociere in Norvegia, capitali del Nord, Mediterraneo, Antille, Panama, Cuba e Florida.

Alla dichiarazione di guerra italiana all’Inghilterra del 10 Giugno 1940, il primo ministro Winston Churchill ordinò alla Polizia di rastrellare tutte le persone maschili dei paesi nemici (tedeschi, austriaci ed italiani) anche se residenti da anni in Inghilterra o se avevano prestato servizio militare per gli inglesi, nemici della patria e possibili spie, negando i diritti civili e politici, confiscando i loro beni ed imprigionandoli per essere inviati in Canada od in Australia. L’ordine comprendeva anche gli ebrei emigrati per fuggire alle leggi razziali.

A Liverpool il 27-30 giugno 1940 furono imbarcati 734 internati italiani tra i 16 ed i 75 anni, 479 internati tedeschi, 86 prigionieri di guerra tedeschi e 200 guardie militari e l’equipaggio di 174 persone. Il 1 luglio 1940, la nave sotto il comando di Edgar Wallace Moulton salpò da Liverpool senza alcuna scorta, facendo rotta verso il Canada per trasportarle in un campo di prigionia. La nave trasportava 1.673 persone.  

La nave era sovraccarica (3 volte i normali passeggeri), senza istruzioni di emergenza e con solo 14  lance di salvataggio e 90 zattere, insufficienti per salvare i passeggeri, oltre ad essere inacessibili dai ponti per la presenza di filo spinato. I prigionieri furono ammassati nelle cabine o dormivano sul pavimento delle sale delle feste.

La nave era stata ridipinta di grigio e dotata di un cannoncino a prua ed uno a poppa, diventando di fatto un mercantile armato della marina britannica.

Alle 4.00 del 2 luglio 1940 a circa 75 miglia al largo della costa nord-ovest dell’Irlanda, venne rilevata dall’U-Boot U-47 del famoso comandante Günther Prien, cheil 14 Ottobre 1939 entrò nel porto inglese di Scapa Flow, affondando la nave da battaglia HMS Royal Oak. Stava rientrando dopo una missione ed usò l’ultimo siluro rimasto perchè considerato difettoso. Esplose sul lato di dritta, inondando il compartimento del motore di poppa e mettendo fuori uso le turbine, i generatori principali e di emergenza, spegnendo tutte le luci e le comunicazioni. La nave sollevò la prua in aria e affondò abbastanza rapidamente.

Persero la vita 805 persone, 5 lance furono danneggiate dall’esplosine  o durante la discesa in mare ed altre 4 scesero con pochi passeggeri rispetto alla reale capienza, ma vennero lanciate in mare 45 zattere.

Il comandante Otto Burfeind della nave tedesca Adolph Woermann era tra i prigionieri, ma rimase a bordo della nave fino all’ultimo, organizzando l’evacuazione e perdendo la vita.

I naufraghi furono avvistati dopo 2 ore da un idrovolante Sunderland che lasciò cadere i sacchetti a tenuta stagna contenenti kit di pronto soccorso, cibo, sigarette. Intervenne l’incrociatore canadese St. Laurent che portò in salvo 586 opersone. Molti di loro furono deportati nelle colonie britanniche dell’Oceania. I famigliari delle vittime non hanno mai ricevuto scuse ufficiali, né un risarcimento.

I 446 caduti italiani erano di tutte le estrazioni sociali e avevano una età che andava dai 16 ai 68 anni. Il paese di Bardi, in provincia di Parma, ha avuto il più alto numero di vittime in questa tragedia: 48 capifamiglia, quasi tutti arrestati in Galles, dove si erano stabiliti diversi decenni prima divenendo parte integrante della società britannica.

Nel luglio del 1990, cinquantenario della tragedia, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga nominò cavalieri i circa venti sopravvissuti ancora vivi.

Flavio Testi