(da Lerici In… di luglio 2021)

Di imminente pubblicazione ad opera dalla casa editrice Prometheus di Milano e illustrato dalla italo-giapponese Mikiko Moriguchi, è il libro La Cella del MonacoL’enneagramma raccontato di Maria Luisa Eguez, alla quale abbiamo chiesto qualche anticipazione per Lerici In.

D.: Cominciamo dal titolo. Perché  La Cella del Monaco?

R.: Perché così si chiama il capitolo che sta un po’ al cuore di questo lavoro, quello dell’incontro desiderato e allo stesso tempo temuto con il nostro io più profondo.

D.: Cos’è l’enneagram- ma e cosa significa il sottotitolo, “L’enneagramma raccontato”?

R.: In poche parole è uno strumento psicologico e spirituale, una decodificazione per comprendere se stessi e gli altri che funziona senza distinzioni di sesso, etnia, epoca, credo filosofico o religioso, cultura o posizione sociale. Ho scelto di “far parlare l’enneagramma” piuttosto che più semplicemente di “parlare dell’enneagramma” per permettere a chiunque, anche se non lo conosce ancora, di capirne le enormi potenzialità.

 D.: Ovvero: come trovarsi raccontati dentro una stella a nove punte. E chi si sentisse invogliato ad usarlo?

R.: A questo scopo ho messo una parte per così dire teorica, prima di quella più propriamente narrativa. Ognuno può scegliere da dove preferisce cominciare.

D.: In che modo un lettore può allora lasciarsi prendere per mano lungo questo percorso?

R.: Ognuno ha il suo passo e il suo bagaglio appresso. Se nella bisaccia c’è già una buona familiarità con l’uso dell’enneagramma, allora si potrà senz’altro accedere direttamente da soli alla fonte narrativa, dal capitolo terzo in avanti. Se ce n’è una appena bastante, sarà invece opportuno attrezzarsi prima attingendo all’arma-mentario teorico iniziale.

Se, infine, non si è mai posseduta questa mappa concettuale, il consiglio è di procedere in una sorta di movimento d’avvicinamento circolare: prima si presta ascolto alla voce narrante, poi se ne setacciano gli elementi di quella che è, a tutti gli effetti, un’unica narrazione suddivisa in più tappe successive; quindi vi si ritorna per esplorarne gli strati più profondi. Sono possibili infatti interpretazioni a diversi livelli che dipenderanno non solo dall’età anagrafica del leggente o ascoltante, ma soprattutto dalla sua voglia -più o meno conscia – di farne opera di scavo.

D.: Età anagrafica? Mi stai dicendo che è un libro per tutte le età?

R.: Perché ti meravigli tanto? Pensa alle fiabe, alle favole e ai miti. Sono narrazioni seguite con trepidazione dai più piccini ma fatte dai più anziani che vi riversano la saggezza accumulata in tutta una vita. Sono messaggi in bottiglia che contengono le mappe di tesori nascosti che sono lì a nostra disposizione se ci piace almeno un po’ l’avventura, se non abbiamo troppa paura del drago addormentato in noi…

D.: Mi chiedevo anche, difatti, il perché del cavaliere armato e del drago in copertina, mentre mi sarei aspettata piuttosto una cella monastica…

R.: L’autrice, Luisa Del Campana, mia quasi coetanea, è una fra gli artisti più originali del panorama contemporaneo; le sue opere sono tutte pervase da un’intensa spiritualità che parla attraverso il colore e le allusioni a una temporalità che non può definirsi “che fu” perché “è da sempre”. Recupera un’antica sapienza e la dona alla nostra umanità spaesata come viatico per uscire dal labirinto del Caos in cui siamo precipitati.

Un filo d’Arianna, un’operazione in definitiva analoga a quella dell’enneagramma, tant’è vero che Luisa è un’ac-cesa sostenitrice della neuroestetica. Ho un debito di gratitudine verso il direttore editoriale Francesco Solitario per avermela fatta conoscere e proposta per questa copertina.

D.: Se ho ben capito, lei si muove in un ambito di ricerca psicologica nell’ar-te e tu nella letteratura…

 R.: Mettiamola così. Sono rimasta sorpresa anch’io dalle tante affinità che ci accomunano…

D.: La prima caratteristica – che salta agli occhi- di questo libro è che sembra sfuggire ad una immediata collocazione di genere letterario ma ciò può essere considerato come il suo specifico punto di forza. Sei d’accordo?

R.: Sì; o almeno lo spero. La parola “contaminazione” riguardo alla coesistenza in un unico testo di più generi (poesia, narrativa, saggistica) non rende giustizia, per la sua prima connotazione in negativo, a tale operazione che permette invece una visione a più ampio raggio o, per così dire, caleidoscopica.

Del resto la classica, rigida ripartizione di radice platonica, che ha tenuto banco per oltre due millenni, è stata nel secolo scorso apertamente contestata anche da un Benedetto Croce che la considerava – come davvero può essere, ed in molti casi in effetti è – una limitazione alla creatività dell’autore.

Prendiamo un grosso esempio: il Diario di un seduttore di Søren A. Kierkegaard. Cos’è? Un’opera autobiografica, poetica, filosofica? O la sintesi di tutti e tre gli aspetti assieme in un lavoro di introspezione spirituale? Ma potrei citarti anche Vorrei parlarti del cielo stellato di Alessandra Tarabochia Canavero…

D.: E tracce autobiografiche tue qui ce ne sono?

R.: Ogni autore lascia giocoforza in ogni sua opera frammenti diversi di se stesso. Per una donna, per sua natura abituata sin dalle caverne o dalle palafitte a confrontarsi in contemporanea con tre o quattro ambiti d’azione completamente differenti fra di loro, il problema della contaminazione di genere di cui si stava parlando non si pone perché fa parte dell’elasticità della sua forma mentis. La sua risposta al quesito è lapalissiana: «Per-ché no?». E considera un valore aggiunto anche una eventuale contaminazione iconografica come in questo caso l’interpretazione di Mikiko. «Perché no?»: ecco, in tutto questo mi ci ritrovo molto.

Barbara Sussi