(da Lerici In di luglio 2022)

“Rapporto sull’attività scientifica e tecnica del laboratorio per lo studio della contaminazione radioattiva del mare di Fiascherino, (maggio 1959 – maggio 1962)”

Punti di prelievo per gli esami della radioattività nel golfo della Spezia

(1ª parte) Questo è il titolo di un fascicolo, stampato a Roma nel novembre del 1968 a cura del Comitato Nazionale Energia Nucleare; l’ente, di natura pubblica, che sovraintendeva in Italia a tutto quel settore; il fascicolo, per la precisione, era un estratto  del  “Notiziario” del Comitato. Poiché la fortuna ha voluto che il laboratorio di Fiascherino avesse interessato la mia vita privata nei primi anni della mia permanenza a Lerici, l’ho aperto spinto dalla curiosità e ho iniziato a sfogliarlo. Redatto con numerose fotografie, vi era descritta l’attività del laboratorio fondato nel 1958 con lo scopo di studiare il fenomeno della contaminazione radioattiva del mare.

Poiché ben due referendum popolari, celebrati negli anni passati, hanno abrogato in Italia tutto ciò che riguardava il nucleare, anche quello per scopi pacifici, credevo di essere tra i pochi abitanti del luogo, non più giovani, a conoscere l’esistenza negli anni passati di questa istituzione, del suo programma di ricerca, e i motivi per cui era stata scelta come luogo di fondazione una località vicino al mare e proprio Fiascherino.

(Molte notizie, le più importanti, le ho apprese proprio dalla lettura del fascicolo, altre da alcune persone del posto, altre ancora da quelli che hanno avuto nella loro vita l’opportunità di esservi impiegati).

L’Italia nel 1958 era all’inizio di un periodo di grande espansione industriale ed economica e, per soddisfare le impellenti nuove richieste di energia, si pensò di ricorrere, a similitudine di quanto avveniva nelle altre principali nazioni, al nucleare per scopi pacifici, nuova nascente risorsa.

Grazie alla geografia fisica del suo territorio, la parte preminente di elettricità in Italia è sempre stata di natura idroelettrica; essa viene prodotta sfruttando il movimento dell’acqua raccolta in una diga o in un bacino montano, posizionati a una certa altezza sul livello del mare, che viene obbligata in condotte forzate a scendere a valle per trasformarsi in energia cinetica, che sarà sfruttata nelle turbine idrauliche, di tipo Pelton o Francis a seconda dell’altezza disponibile, per ottenere elettricità.

Quindi, nel caso si volesse installare una nuova centrale idroelettrica, è necessario prevedere la costruzione anche di numerose sovrastrutture edilizie. Da questa  sommaria descrizione si deduce che, a fronte di indiscussi vantaggi, (quali la disponibilità quasi illimitata di fonte primaria), per l’installazione di una centrale idroelettrica occorrerà prevedere la costruzione di indispensabili, e a volte preventive, infrastrutture con conseguenti appesantimenti del conto economico e dei tempi di costruzione.

Proprio vicino a noi, per costruire la diga  idroelettrica di Vagli, nelle Alpi Apuane, si è dovuto prima sgomberare un piccolo paese, allagarlo deviando il corso di un fiume per ottenere alla fine un lago artificiale da cui prelevare l’acqua da immettere nelle condotte e portarla al livello in cui si è deciso di costruire la nuova centrale.

Se si ricorre ai  reattori in cui avviene la fissione nucleare queste infrastrutture non sarebbero più necessarie, ed allora si può comprendere l’entusiasmo  con cui fu accolto l’annuncio negli Anni Cinquanta del ricorso alla nuova fonte energetica, anche se la sua introduzione comportava ugualmente oneri economici e grandi rischi.         

(segue)

Sergio Di Gregorio

Parte seconda 

(da Lerici In di agosto 2022)

Tornando al laboratorio, il suo scopo principale era quello di analizzare nei dettagli il fenomeno della contaminazione nucleare del mare (vi era anche la disponibilità di un ex-motopeschereccio, l’Odalisca, attrezzato per i prelievi).

Allorché avviene uno scarico in mare, accidentalmente o non, di una sostanza chimica nucleare, alcuni radionuclidi (i nuclei instabili della sostanza scaricata sono chiamati con questo termine), se immessi in mare al di là delle massime concentrazioni ammissibili, possono ammassarsi in alcuni componenti dell’ambiente marino e, attraverso vari passaggi della catena alimentare, costituita essenzialmente dai prodotti della pesca, possono arrivare fino all’uomo.

Gli organismi componenti il fitoplancton (l’insieme dei microrganismi organici capaci di sintetizzare anche i materiali inorganici grazie ai raggi solari) costituiscono il primo gradino della catena.

L’istituzione del laboratorio era quindi più che giustificata; l’Italia in quegli anni si avviava, infatti, a ricoprire il terzo posto nella classifica delle nazioni produttrici di energia elettronucleare. Era stata prevista la costruzione delle prime tre centrali programmate dal piano P.E.N.1 scaturito dalle varie indagini tecnico economiche ordinate dal Governo:

a) una alle foci del Garigliano (anni di costruzione 1961-1965), 120 MW di potenza (vicino al mare);

b) una in provincia di Latina, precisamente a Borgo Sabotino, quindi non in ambiente marino, raffreddata ad anidride carbonica (anno di costruzione 1961 e nel ’63 cominciò l’erogazione di energia elettrica);

c) una a Trino Vercellese;

per una potenza complessiva  superiore a 600 MW.

Le prime tre centrali erano nate soprattutto per  scopi di studio. Altre, di potenza maggiore, erano in fase di  progettazione.

Oltre al laboratorio, era indispensabile dotarsi anche di un gruppo di ricercatori capaci di acquisire nel tempo la competenza necessaria nello studio della radiocontaminazione del mare, che potrebbe essere causata da  imprevisti (incidenti nelle centrali elettronucleari) o controllate (scarichi di rifiuti a bassa intensità radioattiva) o infine da concause.

In considerazione della complessità della ricerca, il personale addetto, anche proveniente da nazioni estere, era suddiviso in vari  gruppi, specificatamente in: biologia, microbiologia. geologia, zooplancton; ognuno studiava lo stesso fenomeno sotto i vari aspetti.

Per la sede del Laboratorio, il C.N.E.N. aveva scelto un sito marino perché esso è ritenuto il più idoneo per l’installazione di una centrale elettronucleare, sia per la disponibilità di grandi masse di acqua (mare), necessarie per il raffreddamento degli impianti sia per la facilità di scaricarvi eventualmente i rifiuti a bassa intensità radioattiva. Inoltre, la grande quantità di calore, originata dalla fissione controllata potrebbe essere sfruttata per la dissalazione dell’acqua di mare. Sulla scelta di Fiascherino hanno influito vari fattori tra cui, stando al fascicolo, la possibilità di raggiungere in poco tempo alti fondali, e quindi, mari meno inquinati.

Ma l’argomento nucleare ha da sempre rivestito in Italia un carattere ideologico, dividendo l’opinione pubblica in due campi fortemente contrapposti (la divisione si ripresenta ciclicamente quando torna a farsi sentire, come in questi ultimi tempi, la carenza delle fonti primarie d’energia o il loro costo diventato insostenibile).

Nel frattempo in Italia era cresciuta la parte contraria allo sfruttamento dell’energia nucleare per scopi pacifici (il referendum abrogativo san-cirà definitivamente l’uscita dell’Italia da questo settore).

Le tre piccole centrali furono chiuse, mentre rimasero attivi solo alcuni piccoli reattori, esclusivamente per scopi di ricerca a livello universitario.

La sede di Fiascherino fu abbandonata allorché fu costruito negli Anni ’80 a Santa Teresa, un nuovo edificio e fu installato un altro laboratorio di ricerca, sotto l’egida dell’ENEA (ente pubblico con finalità diverse), così gli studi sulla contaminazione nucleare del mare pian piano si fermarono. Oggi, la fisionomia della zona è notevolmente cambiata.

A testimonianza nel recente passato dell’esistenza di quel laboratorio e del lavoro svolto, rimangono, oltre ad alcune pubblicazioni presenti tuttora su Internet, firmate peraltro da  alcuni nomi a me noti per averli sentiti nominare spesso in casa, alcune foto e la testimonianza di poche persone della zona che vi hanno prestato la propria opera.

Sergio Di Gregorio