(da Lerici In di settembre 2013)

Bruce McAllister alle Cinque Terre

Bruce McAllister, un ragazzo americano che frequentò la scuola media di Lerici, nei primi Anni ’60, crescendo è divenuto un affermato scrittore ma non si è mai dimenticato della bellezza del Golfo.  E ora con il romanzo“The Village Sang to the Sea: A Memoir of Magic” (Aeon Press Books, 2013, pp. 170, $ 4,95), una storia fantastica, quasi autobiografica, del suo soggiorno lericino, entra a far parte di diritto del “Club” degli scrittori del “Golfo dei Poeti”.

Alunno alla scuola media di Lerici

Il suo libro su Lerici, fresco di stampa, è già un successo internazionale nei paesi anglofoni. Noi l’abbiamo subito contattato a seguito della segnalazione dt Maria Pons del B&B “Il Lizzo” di Pozzuolo, dove l’autore ha soggiornato per una recente  “rimpatriata” con la moglie Amelie, coreografa e insegnante di danza. Grazie alle possibilità di Internet abbiamo potuto instaurare con lui un rapporto epistolare attraverso il quale è stato ristabilito un legame, sino ad ora saltuario, che speriamo invece possa restare duraturo, tra lo scrittore e il suo “passato” italiano, o più precisamente lericino.

Ci ha anche assicurato un’intervista per il prossimo numero.

Tanto per citare una delle tante recensioni, Barry Malzberg, uno dei più grandi autori statunitensi contemporanei e curatore editoriale, ha scritto: “Come ogni grande opera d’arte, lavora su più livelli, il che significa che è più di ciò che appare. Scende in profondità, in oscuri contrappunti; la storia nascosta si rivela come la conclusione in sei parti dell’Ottava sinfonia di Bruckner. Sharp and lingering…”.

Ma veniamo al romanzo che, come abbiamo detto, è un “flashback” autobiografico del suo “passato” lericino.

La copertina del libro di Bruce mcAllister

Il personaggio di “The Village Sang to the Sea: A Memoir of Magic” è Brad Lattimer, un ragazzo americano di 13 anni, che nel periodo della Guerra Fredda si trova con la sua famiglia in un villaggio di pescatori sul mar Ligure. Non è un villaggio normale perché eventi misteriosi vengono presi per scontati dai suoi abitanti. Il padre di Brad è un ufficiale della Marina Militare americana che è stato destinato a dirigere il centro di guerra antisottomarina della Nato (Saclant) che si trova nel vicino porto della Spezia.

La madre è un’insegnante che ama le altre culture e vuole che suo figlio frequenti la scuola del villaggio in modo che possa conoscere meglio i suoi abitanti. Molti di loro sono comunisti e, altrettanti, persone devote e compassionevoli. In questo villaggio i ragazzi più grandi non sono mai cattivi verso i più giovani e Brad è accolto come un cugino venuto da lontano. 

A scuola (Our School) il suo insegnante è un gobbetto dall’aspetto burbero ma dai modi gentili. Il ragazzo scopre tra i boschi di ulivi (witch’s hut) le streghe che vogliono avvelenare il suo gatto e un borgo piccolo piccolo (the village of Magusa) con porte rosse troppo basse per persone normali e strade così strette che è difficile passarci. Di notte quei vicoli sono frequentati da creature che non dovrebbero esistere.

Nel villaggio vi è un vecchio ospedale tedesco (Old German Hospital) dove una donna, che morì anni fa, aiuta chi si è fatto male. Dalla parte opposta in una piccola baia (Livia’s Beach), dietro al castello che domina il villaggio (Old Castle), siede sulla sabbia una ragazza che declama le poesie di Shelley e chiede ai passanti di affogare con lei nel punto in cui Percy affogò un secolo fa (Where poet Shelley drowned).

Brad apprese che questo villaggio, chiamato Lerici, era lo stesso villaggio dove Mary Shelley ebbe un sogno che si materializzò in Frankenstein. In questo villaggio anche Brad comincia a fare strani sogni e a scrivere le sue prime storie.

Dopo tre anni si ammala a causa della magia permeata dal villaggio e che fa presa su di lui (una specie di sindrome di Stendhal). Egli vorrebbe divenire qualcos’altro che non possa lasciarlo mai. Mentre ritorna negli “States” per curarsi, la magia fa ancora presa su di lui e lui continuerà a scrivere per sempre storie su quel villaggio.

Sandro Fascinelli

Bruce McAllister, lo scrittore che canta la magia di Lerici

(da Lerici In di dicembre 2013)

I luoghi dove si svolgono i fatti del romanzo

Nel numero di settembre di Lerici In abbiamo parlato dello scrittore americano Bruce McAllister e del romanzo “The village sang to the sea” la cui storia è ambientata a Lerici. Poiché è il primo scrittore straniero a dedicare a Lerici un intero romanzo (di Byron, Shelley, Lawrence, ecc. non abbiamo che poesie, brani, lettere) riteniamo di dover ritornare sull’argomento con un’intervista al- l’autore che è stato, nel lontano 1960, alunno delle scuole medie di Lerici. Non sappiamo quale posto occuperà McAllister nella letteratura mondiale, ma noi non vogliamo perdere questa occasione come non l’avrebbero persa i nostri avi se, all’epoca di Lawrence, vi fosse stato un giornale come il nostro.

Riteniamo che il suo romanzo meriti in ogni caso interesse perché è un atto d’amore verso Lerici.

Nei prossimi numeri proporremo anche alcuni brani del libro “The village sang to the sea”, edito da Aeon press UK. Una copia del libro è disponibile presso la biblioteca di Lerici. L’intervista, preparata dalla redazione di Lerici, è stata realizzata tramite Internet e tradotta dall’inglese.

D. : Quale scorcio del territorio di Lerici ti è rimasto maggiormente impresso nella memoria e perché?

R. : Così tanti luoghi. Indelebili nella memoria. Il Castello, il molo e le sue barche da pesca, l’edificio della scuola media, Via San Giuseppe che si snoda in mezzo agli ulivi e i muretti dove stavano le lucertole, Villa Ferrari, il convento (dove abitava un amico), il piccolo cinema di fronte alla scuola, i negozi della spiaggia lungo la passeggiata, il panificio (pane piuma!) in fondo alla scalinata/sentiero da Via San Giuseppe, l’acqua chiara nella baia del Lido, e Maralunga. Questi posti sono indelebili nella memoria per me perché ero giovane, perché la vita è un’immagine vivida quando sei giovane, e perché Lerici era “magica”. Avevo vissuto in tanti posti meravigliosi – California, Florida, Virginia – ma Lerici era la più “magica” di tutti.

Tutte queste scene e luoghi rimangono vividi nella memoria perché era un mondo nuovo, ma anche perché non era un mondo moderno fatto di mega progetti, di fast food in franchising, di centri commerciali, di asfalto e cemento senza fine, di automobili e ancora automobili.

Lerici era un mondo antico. Nessuno lo aveva “progettato”.

Era semplicemente cresciuto da solo – come un albero o un essere umano. Questo poteva succedere in uno degli uliveti o in una stradina. Ogni angolino di Lerici era un mondo infinito.

D. : Con una famiglia che doveva spostarsi a causa del lavoro del papà ufficiale della Marina USA, cosa hai provato quando sei stato costretto a lasciare le amicizie e un luogo che ti era appena divenuto familiare?

R. : Sì, ci trasferivamo ogni due anni. Credo che ci siano due reazioni possibili a questi continui spostamenti: o si diventa socievoli o introversi. Ero introverso prima di vivere a Lerici, ma a Lerici, per la disponibilità e cordialità della gente (di tutte le età) sono diventato più socievole…e felice!

Trasferirsi ogni due anni è stato difficile in qualche modo, ma è così che vive la famiglia di un militare. Mio fratello ed io non avevamo una città di appartenenza – e per questo non avevamo squadre sportive da tifare, e dovevamo lasciare gli amici (amici coi quali non rimanevamo in contatto dopo) – ma avevamo la nostra famiglia e la gente che abitava nei posti dove vivevamo per quei due anni.

Sono ancora in contatto con quattro dei miei migliori amici di quei giorni alla Scuola Media di Lerici – Gian Felice Musetti (geometra ad Arcola), Antonio Tincani (ingegnere a Milano), Giorgio Pagano (comandante di navi da crociera) e Riccardo Nardi (ex sovrintendente della riserva naturale per rapaci di Roccalbenga in provincia di Grosseto.

D. : Ti sei mai sentito estraneo a Lerici?

R. : Mai. Perché era un paese, tutti si conoscevano, e così quando uno arrivava tutti lo volevano conoscere.

Ti facevano sentire il benvenuto. Avevi un posto in paese. Eri un essere umano, un individuo. Se avevi i capelli rossi, avevi i capelli rossi. Era ciò che ti rendeva quello che eri. Eri accettato. Mio fratello, Jack (Giovanni), frequentava la scuola elementare a Lerici (ha quattro anni meno di me e oggi insegna proprio in una scuola elementare) e quindi i suoi amici appartenevano sia a famiglie benestanti sia a famiglie più povere. Tutti erano accoglienti. Questo è molto raro – e lo era anche allora – negli Stati Uniti… nelle città americane e nei suoi quartieri (sebbene non nelle sue “città piccole”, che sono invece sempre state accoglienti).

D. : Perché hai aspettato 50 anni prima di mettere in un libro le tue fantasie di ragazzo?

R.: A dire il vero cominciai a scrivere dell’Italia quando ero al college. Una delle mie prime storie pubblicate era sull’Italia. Ma fu solo nel 2003 che cominciai a scrivere specificatamente di Lerici.

Perché dopo così tanto tempo? Perché ho avuto bisogno di trovare una prospettiva riguardo a ciò che Lerici aveva veramente significato per me, cosa era rispetto al mondo, la sua “magia”, la sua anima, e cosa quell’anima e le persone che ne erano espressione avevano significato per me da ragazzo…. E ancora significavano. Quando cresciamo (come dico verso la fine di “The village that sang to the sea”) spesso perdiamo il senso di magia, meraviglia e miracolo che avevamo da ragazzi.

Questa cosa è terribile, stupida. Io volevo descrivere, da scrittore adulto, per i miei lettori, il posto che tanto aveva significato per me….. e il senso che ancora aveva e sempre avrà finché vivrò.

D. : Qual è stato l’impatto fra la Lerici che conservavi nella memoria e quella che hai ritrovato ora nel tuo ultimo viaggio?

R. : Lerici è cresciuta ed è diventata adulta, è diventata più cosmopolita di quello che era mezzo secolo fa, ed ho pensato all’inizio quando la visitavo che forse poteva aver perso la sua innocenza e meraviglia.

Ma più che guardavo, più incontravo vecchi amici e nuove persone, vedevo da vicino la nuova Lerici, più scoprivo che la “magia” è ancora lì. Forse oggi lo spazio di un garage costa una fortuna, gli uliveti hanno lasciato spazio a case di lusso, nella baia ci sono molte più imbarcazioni da diporto che vecchie barche da pesca, e il ristorante lungo il molo nella Vecchia Lerici serve il menu di mare che i turisti chiedono invece delle lasagne “di terra”, ma la magia è lì.

Anche se le menti di adulti insofferenti e annoiati possono pensare che si siano persi, l’amore e il miracolo e la meraviglia non possono non essere sentiti in questo mondo. I giovani lo sanno, e anche il bambino che è dentro di noi.

Sandro Fascinelli

I luoghi cari allo scrittore Bruce McAllister nei ricordi dei Lericini

(da Lerici in di febbraio 2014)

Nell’intervista pubblicata nel numero di dicembre 2013 di Lerici In lo scrittore americano Bruce McAllister fa riferimento al “panificio (pane piuma) in fondo alla scalinata sentiero da via San Giuseppe” identificando così uno storico panificio, impiantato in Lerici nel 1951 dalla mia famiglia, con annessa vendita di generi alimentari, in via Roma al civico 60, nominato “Panificio Moderno Ferrari Savino” e successivamente trasferitosi all’inizio della Salita Canata. Separato dalla vendita dei generi alimentari cessò la propria attività nel 1985 mentre la vendita di commestibili si protrasse fino al 2005 nella sede iniziale di via Roma.

Panificio Moderno di Ferrari Savino

Per chi non ha vissuto negli anni ‘50-’60 sarà difficile immaginare com’erano le “botteghe” di allora: nei primi anni ’50 non c’erano gli arredi di oggi e alcune merci, tipo farina, cereali o pasta, venivano vendute a peso (non confezionate), pertanto esposte alla vendita in sacchi di tela o cassette appoggiate su opportune pedane a pavimento. Per il pane invece esistevano già gli scaffali con piani espositivi dove si cominciavano a vedere i primi prodotti confezionati (biscotti, pasta o altro).

Nel nostro locale, dietro al banco vendita, fu fatta una decorazione dal valente decoratore Codeluppi, quasi un affresco, che interpretava il golfo di Lerici. Con maestria arricchiva le bianche pareti murarie più che non le balze delle tende esterne di molti negozi di allora.

La panificazione era un procedimento quasi totalmente manuale che esaltava la maestria del manufatto. Credo che molti ricordino ancora quando alle prime luci dell’alba si poteva acquistare il pane ancora caldo e profumato prima di prendere la “corriera di Brun Caprini” per andare al lavoro al Muggiano o in Arsenale; oppure, un po’ più tardi, acquistare la focaccia appena fatta prima di accompagnare i figli a scuola.

Ricordo gli orari impossibili che si dovevano adottare per riuscire a produrre il pane fresco già fin dalle prime ore del giorno e quando a volte, noi ragazzi di allora, tornando dal Lido dopo aver trascorso la serata fra balli e musiche, ci si fermava al forno per gustare il pane appena sfornato magari accompagnato da altre golosità.

Tempi semplici quelli di allora dove anche queste piccole cose avevano un loro valore e importanza.

Arrivando agli anni ’60, in pieno boom economico, il negozio si aggiornò negli arredi, offrendo anche una migliore qualità e maggior scelta di prodotti; nuovi macchinari furono introdotti nella panificazione per alleggerire e migliorare la lavorazione artigianale che comunque abbisognava sempre di costante attenzione e presenza.

A quel tempo tutta la via Roma era un fermento di attività, le più disparate, che sempre con gentilezza e cortesia  si proponevano a un pubblico che era come una grande famiglia dove tutti si conoscevano e si apprezzavano. Solo nella nostra parte di via Roma, verso nord, dopo i portici, c’era la tabaccheria di Paolo ed Enrica, il bar Jolly con la lavanderia annessa, la fiorista Elena Petacco, l’Oreficeria Fregni, il bar La Perla, la profumeria con Elisa e la Pupa e il fotografo Bardi.

Per finire, mi piace ricordare come molti venissero volentieri in negozio per scambiare due chiacchiere con Maria, Zaira o Sara, sempre sorridenti e pronte  ad ascoltare quello scorcio di umanità che di li si trovasse a passare.

Gianni Ferrari

Quel profumo di pane che si sentiva in via Roma

Il mio ricordo del panificio Ferrari di via Roma parte dagli anni Sessanta, quando per matrimonio sono arrivata a Lerici.

Abitavo in via Roma, esattamente a due passi dal grande rifornitissimo negozio dove facevo ogni giorno la mia spesa e dove trovavo le idee per pranzo e cena. Erano “la signora Maria” e “la signorina Sara” a consigliarmi su cosa e come preparare. Ero una giovane donna alle prese con una bambina e le mie esperienze erano limitate alle poche cose imparate dalla mamma. 

Ebbene, tante delle mie ricette le ho imparate da loro. Avevo molta voglia di fare ogni giorno qualcosa di diverso e sottoponevo la signora Maria e la signorina Sara a tante domande. Intanto devo dire che le loro origini nella città di Parma aveva permesso il contatto con una cucina molto ben delineata nei gusti e nei prodotti. Devo a loro anche parecchie mie conoscenze nel campo della enogastronomia: ricordo che quando mi consigliavano una pasta o un piatto, oppure un vino era sempre un successo. Il loro pane, che nasceva a due passi, all’inizio di Salita Canata, dove ora è alloggiato il Ristorante En Tragià, era stupendamente lievitato.

L’arte bianca del pane derivava dalla scelta di farine italiane e dalla lunga e accurata preparazione. Ma anche i piatti  pronti (i ripieni di verdure, in particolare) venivano cotti nel forno lì a due passi e venivano apprezzati specialmente dai turisti con casa a Lerici. Le grandi focacce al taglio, la mortadella di Bologna con il pistacchio, erano qualcosa di irrinunciabile per veloci spuntini.

C’era sempre una coda terribile e quando arrivava il pane appena sfornato, era un commento gioioso. Specialmente all’orario di chiusura del mattino e della sera Maria e Sara avevano un ritmo frenetico. Eppure ascoltavano, consigliavano con una gentilezza rimaste nella memoria di tutti. Maria e Sara sono due persone che mi fa piacere di ricordare per giovialità e professionalità.

Ma anche per quella lungimiranza nella selezione delle eccellenze italiane, che faceva associare il negozio a un’idea di cibo di qualità grazie ai prodotti scelti con cura. E il forno Ferrari per quell’arte bianca attinta dalla cultura di Parma, dove il pane è sempre stato considerato una genuina fonte primaria di vita. 

Gabriella Molli