(da Lerici In di settembre 2016)

A cura di Paolo Ghigliazza

Per tutta la vita si è occupato di “carta stampata”, sia da giornalista a Lerici, come redattore di cronache locali per “La Nazione” ed editore e direttore della rivista “Spezia Turistica”, sia come tecnico editoriale di molte case editrici. È stato amministratore di una delle società del gruppo Etas Kompass; ha collaborato a progetti editoriali per quotidiani regionali e nazionali e case editrici del gruppo (Bompiani, Boringhieri, Sonzogno, Adelphi).

Premettiamo una breve biografia di VALTER RESCIGNO

Valter Rescigno col suo cane

È stato direttore tecnico editoriale della Fratelli Fabbri Editori. Alla fine degli Anni ’70, tornato a Lerici, ha continuato a collaborare come consulente per importanti case editrici tra cui Le Monnier e il gruppo Longanesi-Mauri-Spagnol.

Valter Rescigno, nato alla Spezia nel 1925, ha trascorso la sua vita tra l’amatissima Lerici dove ha sposato Luisa Perotto da cui ha avuto tre figli (Massimo, Roberto e Federica) e Milano. Scrittore, poeta e giornalista, è stato a suo tempo redattore delle cronache locali e poi collaboratore di diverse case editrici.

Negli ultimi anni della sua vita ha scritto alcuni racconti tra cui “Fiammiferi sul golfo”, premiato al concorso letterario “Il Prione” del 1997 (i racconti del premio sono pubblicati ogni anno in volume dalle edizioni Giacché), donandoci un gustoso spaccato di vita locale che è bello condividere coi lettori di Lerici In.

Ha conosciuto e poi descritto la movida spezzina prima dell’ultima guerra mondiale, quando migliaia di solini azzurri, che costituivano gli equipaggi della Regia Marina, passeggiavano tra via Chiodo e via Prione.

«Era il quartiere delle “Case Chiuse” al Poggio così parafrasate da Gipatro, Gino Patroni: “Sempre caro mi fu quest’ermo Colle. Gli ufficiali di Marina frequentavano il bar Crastan, nel bel mezzo di quel Palazzo Doria che vide di passaggio la Contessa di Castiglione, nata Marchesa Oldoini, poi l’albergo Croce di Malta e il circolo di Marina dove Aimone d’Aosta, duca di Spoleto, lasciava lo stipendio di ufficiale di Marina come mancia».

Poi – continua Rescigno«Finita la guerra, boogie-woogie e Chesterfield, coca-cola e pizza. Ma anche film, letteratura e musica americana non più di contrabbando. Dalla Pia, che aveva fatto sempre e solo farinata, anche la pizza. L’Odero-Terni-Orlando, non più cannoni, macchine tessili. Il Cantiere del Muggiano basta sommergibili, navi mercantili.

Da Crastan non più Crastan, il “conte” di Corniglia e Gigíon abossa che tenevano la scena, Cleonte ormai l’ombra di sè stesso. Il Bîù, playboy sprugolino a tempo perso, confessava: “me a gò provà a travagiae, ma a resisto de ciû sot’aigoa”.

Gino Patroni in bicicletta, ma “non con i calcagni” teneva a far notare, brillante e caustico sul Secolo XIX. Delpiano a Il Tirreno, non più Il Telegrafo perché già di Ciano. Arturo Reggio Postiglione da una sola stanza in piazza Persio rilanciava e bene La Nazione. Furio Bonessio di Terzet ci provava.

La sera tutti da Peola in via Chiodo, la Fleet Street sprugolina dei giornali. Con buona pace del Tamigi del Thnes, del Daily Mirror e compagnia…

Era il 1956, o giù di lì, e venni a Lerici nell’anno che il Lerici Sport disputava il campionato di pallanuoto della serie B. Si seguiva la squadra in treno, allenatore, giocatori (compreso gli olimpionici Pandolfini e Braschi), una parte dei dirigenti con l’inarrestabile Fortunato Alessandri, il chimico Egisto Lucchesini (tesoriere, cassiere, massaggiatore, infermiere) sempre pronto, ai bordi della vasca di gara, con gli stimolanti di allora: un secchio pieno di zollette di zucchero. Altro che anabolizzanti e anfetamine. Zucchero. In treno c’ero anch’io per La Nazione e Beppi Baldassari per la Gazzetta dello Sport.

Il mio problema era quello di non fare il solito titolo.

Volevo qualcosa di più risonante, caratterizzante, ad effetto, facilmente memorizzabile, qualcosa che uscisse insomma dall’arida nomenclatura e dal piatto linguaggio degli elenchi ufficiali delle squadre del campionato di pallanuoto.

Fu così, in quel giorno e in quel corridoio dell’accelerato Spezia-Genova, che nacque “i Coccodrilli”. A casa, sulla libreria, due volumoni rilegati in tela verde – non avevo ancora la Treccani, lo ricordo perché fu poi una bella conquista, anche se rateale – andai alla ricerca di coccodrilli. Verificati e scartati caimani e alligatori, mi convinse, o meglio mi riconvinse coccodrillo. Ma quello che mi andava veramente bene era: “Molto vorace e temibile, con forti arti e corazza, eccellente nuotatore”. Meglio di così! Andava proprio bene. Da quel giorno tutti i miei titoli, citarono sempre i Coccodrilli del Lerici-Sport da prima, e poi tout-court i Coccodrilli.

Dura ormai da quaranta anni. Potenza dei media.

Contribuì a questo l’ampio spazio che La Nazione mi concedeva, ma anche il fatto che i miei trascorsi giovanili di proto (tra cui compiti in tipografia quelli di correttore di bozze e in mancanza di meglio di grafico e impaginatore) mi permettevano di fare titoli che oltre al senso della notizia – questo me lo devo concedere – potevano tranquillamente essere trasferiti dalla macchina da scrivere alla composizione tipografica senza problemi, perché contavo le battute, compreso l’ingombro delle m e delle i.

Un altro fatto che contribuì all’affermazione della dizione Coccodrilli era la mia necessità di fare un po’ di colore, perché non capivo niente, assolutamente, di pallanuoto».    (segue)

Valter Rescigno

(da Lerici In di ottobre 20016)

«Non sapevo e non so neanche ora nuotare. Il solo che sia riuscito a farmi fare qualche bracciata senza andare sotto è stato il Barone. Con il Barone, Ginesio Faridone pioniere della pallanuoto lericina, mi sentivo al sicuro, disperato ma sicuro, molto di più che l’evocare inutilmente la legge di Archimede: non ricevevo nessunissima spinta dal basso verso l’alto. Io in acqua, il Barone in piedi sulla barca, possente, attento e pronto ad ogni mia debacle.

Il Barone era forte. Il Barone era l’uomo più forte di Lerici. Il primato gli era però conteso da Paolino Strambi. Ma se è vero che Paolino aveva spezzato come un grissino una grossa chiave inglese mentre imbullonava l’elica del vaporetto Unione Operaia, è anche vero che il Barone aveva con una mano sola steso uno dopo l’altro come birilli sei grossi aviatori venuti da Cadimare e che si erano permessi di disturbare le ragazze di Lerici.

Il dopo partita della pallanuoto era sotto i tre pini del bar Sport. Dopo partita con rimpianti, pentimenti e rimproveri, già pre-partita con suggerimenti, propositi, strategie e tattiche. Sottili sofismi, coloriti sonori liberatori moccoli. Andreino, Andrea Bonifazio re del gelato, si divertiva a mettere zizzania mentre Amerigo con discrezione e stile non sollecitava ordinazioni in quella sorta di “zona franca”, dove si consumava con molta ma molta parsimonia.

Le sigarette si compravano sciolte, a tre o cinque per volta. Il comandante Raggio, gran signore, seduto lì vicino fumava invece cento Xanthia al giorno nel suo lungo bocchino d’avorio cerchiato d’oro. Il comandante Colotto, detto Leschetta, intelligenza vivissima e lingua tagliente, sempre irrequieto, solo di passaggio intorno ai tavoli e via.

Il giornale mi concedeva molto spazio nella campagna di rilancio delle pagine locali. Molto spazio e pochi soldi: tremila lire per un articolo, cinquemila per una intera pagina formato lenzuolo di nove colonne. È anche vero che i quotidiani costavano 25 lire. Ma solo chi è del mestiere può sapere quanto testo ci vuole per una pagina non tabloid.

Credo, allora che i quotidiani impaginavano pochissime foto, di aver con tante e grandissime foto invece, anticipato Repubblica.

Repubblica anticipata di vent’anni anche per il formato tabloid, semplicemente perché i vari giornaletti che pubblicavo nelle varie ricorrenze come editore-giornalista-stampatore, costavano meno nel formato tabloid che in quello lenzuolo.

In macchina ci stavano quattro pagine anziché due.

Chi l’avrebbe detto che vent’anni dopo a Milano in via Mantegna, alla Etas­Kompass, mi sarei trovato insieme a tutti gli altri dirigenti a contrastare l’idea di Scalfari di fare un quotidiano economico con qualche notizia politica, bandito assolutamente lo sport. Repubblica appunto.

Carlo Caracciolo tenne duro. Noi eravamo preoccupati per i nostri stipendi, sicuri solo dopo la cessione del 40% al gruppo del Daily Mirror. “Questo qui” – Scalfari ­ dicevamo “ora col suo quotidiano ci manda tutti a gambe all’aria”. Invece …

Tutti contrari in via Mantegna anche all’idea di Nicola Caracciolo, fratello di Carlo, di ritorno dagli States  come corrispondente de La Stampa, per fare i quotidiani locali. Ora l’idea ha tanti padri. Ma allora Nicola in via Mantegna non trovava neanche un tavolo dove lavorare.

A Spezia – con un occhio di riguardo per Lerici dove mi ero sposato con Luisa Perotto – sempre a tremila lire per articolo continuavo la mia attività: difesa dell’ambiente e del paesaggio, prima, molto prima dei Verdi, però con scarsa fortuna. I sabati gastronomici, molto fortunati invece, non solo per la bravura dei cuochi lericini, ma anche, diciamolo pure, per il risalto e la risonanza data dai giornali, La Nazione in testa. C’era poi il consiglio comunale – sedute fiume – spesso caldo e movimentato. E obbligatoriamente ancora la pallanuoto, il nuoto e anche la vela.

A Villa Marigola, nei cui fastosi saloni si svolgeva con solennità la cerimonia della premiazione della Coppa Lord Byron, mi imbattei nel vecchio armatore Bibolini, senatore del Regno, con un braccio attorno ai fianchi di una imponente valchiria, bionda ovviamente, mentre le mostrava la copia a grandezza naturale della Paolina Borghese del Canova, posta all’estrema destra del piano terra, in una sorta di nicchia o alcova o famedio. Il senatore non arrivava alle spalle della bionda ondina. In un angolo, immobile come statua, Amleto, maggiordomo-autista, non vedeva e non sentiva. Il vecchio ma più che mai battagliero Gio-Batta, padrone di casa, presidente del Lerici-Sport, munifico mecenate della manifestazione come si diceva allora, lo sponsor come si direbbe oggi, aveva da persona intelligente com’era, certamente un ritorno di immagine come ogni buon sponsor, per le sue imprese.

Ne sono stato l’attento cronista: La flotta dei Capitani del Lavoro, le costruzioni al Cantiere del Muggiano e solo al Muggiano, la rabbia mai nascosta per Gaetano Marzotto che con i suoi Jolly gli aveva scippato i finanziamenti statali per gli alberghi che aveva in mente. Poi la Casa del Marinaio, che lui voleva con una sola scala mentre i progettisti geometri Bonifazio e Angelo Ratti la volevano con due, e il palazzo oggi ha una sola scala, infatti.

E il Circolo Velico Erix con la sua flotta, anima e cuore Adalberto Pagano detto Macellano e skipper e istruttore Veio Sanpieri.

Bibolini presidente dello Spezia: “Se non basta un portiere mettetene due”. Così almeno si raccontava.

Francesco Giovacchini, coccodrillo d’oro, nel nuoto di fondo dopo la Coppa Lord Byron, vinse anche la difficile traversata dello stretto di Messina, partecipò alla 100 chilometri dell’Adriatico e anche alla Capri-Napoli. Un impegno molto intenso, considerato anche il servizio militare. Un ruolo decisivo nel periodo lo svolse Angelo Carosini, che diceva di dare del tu ad Andreotti. Non ha mai rivelato se negli incontri c’erano anche baci oppure no. In verità Giovacchini ebbe più di una licenza. Ma ormai è tutto in prescrizione». (segue)

Valter Rescigno

(da Lerici in di novembre 2016)

… Nella vela Straulino, olimpionico, era di casa nel mare del Golfo. L’Ammiraglio Oldoini, smessi i galloni, scrittore e pittore pirotecnico, anche come consuocero, un giorno gli chiese: “come fai a vincere?”, “Sedu-to – al timone d’una barca sfrutto il vento al centesimo di grado”. Oldoini: “Sensitività rettale: da marinaio”.

Gozzo classico con ampio tendalino, attraccava davanti al Corona il conte Valentino Bompíani, pelata abbronzata e braghe corte, barca sempre carica di parenti e amici, che però non dimenticava mai il proprio mestiere e si era portato da Lerici a Milano l’allora giovanissimo Mario Spagnol. Aveva visto giusto il famoso editore. OdB, Oreste del Buono, mio vicino di stanza al 7° piano di via Mecenate, alla Fabbri Editori, lo avrebbe poi definito “il Napoleone dell’editoria italiana”. L’ho rivisto di recente al Circolo della Stampa, OdB, e mi ha detto: “ho superato le cento”. Dimissioni.

Sono stato gratificato per quattro anni dalle sue confessioni in via Mecenate, non ho mai capito se il suo primato da Guiness fosse irrequietezza, stanchezza, o solo un gioco. Certo, lui abitava su di un lato della strada, la moglie in un’altra casa sul lato opposto. Eppoi, pur facendo parte della dozzina di direttori del Comitato Direttivo di via Mecenate, non mi ha fatto compagnia una sola volta alle riunioni del martedì. I suoi vasti possedimenti all’isola d’Elba li aveva dati in concessione o qualcosa del genere alla Forestale. Un uomo libero, forse, sciolto da ogni vincolo.

I nipoti di Bompiani, Fabio, Luciano e Achille Mauri, con la collaborazione di Del Santo libraio-gallerista di corso Cavour a Spezia, furono l’anima di una Mostra der Plasseo di rilevanza veramente nazionale.

C’erano i più bei nomi della pittura italiana. Ricordo Dova, Cassinari, Migneco, Bredo, Vedova. Tantissimo e faticoso lavoro, tantissimo meritato successo. Per la verità Achille Mauri, il più giovane dei fratelli, gran parte del suo tempo lo dedicò più che alla mostra a una bellissima fanciulla: Rosanna, cover-girl, il cui viso era da poco apparso sulla copertina di un nuovo periodico femminile, Rosanna appunto.

La fanciulla di allora oggi è ben nota come Rosanna Armani, sorella di Giorgio. L’ho incontrata di recente nell’anfiteatro del suo palazzo in via Borgonuovo. Che splendida donna. Non ho avuto il coraggio di ricordarle i giorni spensierati di Lerici: è passato troppo tempo, per me.

A Lerici al cinema Goldoni dopo Catene e Tormento era esploso Marlon Brando in Fronte del Porto. Alla televisione in bianco e nero Lascia o raddoppia. Qualcuno dopo la Vespa aveva conquistato la 600. Non c’erano problemi di parcheggio a Lerici, di bretelle e sensi unici neanche a parlarne, quattro auto per le strade e quattro vigili con i fratelli Colombini, uno dei quali comandante col grado di maresciallo, Tavilla poi, che non deve aver fatto una sola multa in tutta la sua vita.

Tutti mobilitati una volta l’anno per il servizio d’ordine in occasione del circuito motociclistico Città di Lerici, per-corso rotonda-lungomare -piazza Garibaldi – via Petriccioli – curva Pubblica Assistenza – via Gerini – Rotonda. Lionello Roncallo, su moto Parilla, si prendeva gli applausi di tutte le ragazze.

Le strade di Lerici non portavano ancora i segni del consumismo: i cassonetti non straripavano, non c’era il problema dei rifiuti, il packaging era artigianale, si bisticciava su tara e netto, sul peso della carta. Non c’erano superette, supermercati e tanto meno centri commerciali. Gli spazzini, non ancora netturbini e tanto meno operatori ecologici, fronteggiavano validamente le necessità. Richin però, lungimirante, si era trasformato per tempo in bagnino ed era diventato in breve il “Re di Fiascherino”, dopo aver facilmente rinunciato anche alla carriera pugilistica come welter. ( segue)

Valter Rescigno

(da Lerici In di dicembre 2016)

In mare, senza catenarie e relativi vincoli e interessi, una dozzina di barchette. Quando attraccava lo yacht  del conte Gaetano Marzotto, era un avvenimento. Il conte fermava la sua barca a Lerici solo per mangiare alla Calata dei fratelli Calloni. Alfredo in cucina, Aldo in sala. Niente scuola alberghiera, ma grande, grandissimo mestiere. Sofia Loren, anche Clarke Gable a tavola, “bell’uomo” ricorda ancora oggi mia suocera Rica, “però brutte mani, grosse e tozze”. La Rica, pensa un po’, classe ’99.

Il massimo della vita “mondana” a Lerici erano i veglioni, di carnevale e di S. Silvestro ai cinema Goldoni  e Astoria. Organizzatori i club CBS, Club Bar Sport, e Sangrilà, il paese dell’eterna giovinezza dal film di Frank Capra. Il primo aveva sede nel bar omonimo, il secondo nel palazzo Aste, un bel salone con una parete interamente affrescata alla Gauguin da Gian Carozzi.

Il dipinto non c’è più, peccato, il salone sede del Sangriaccolse l’ambulatorio medico del mio carissimo amico Angelo Colotto, raffinato gourmet: una domenica d’agosto bestiale da Lerici a Imola per mangiare al San Domenico. Da Paracucchi si era quasi di casa.

Sul fronte dell’arte Nino Carozzi, che pareva aver fatto suo il “breve parla chi dice” dell’Alfieri, milanese ma lericino d’adozione, dettava legge. Antiquario, poeta e pittore, di vivo e poliedrico intelletto, bell’uomo, elegantissimo, baffi e chioma d’argento. Col Solex rigorosamente nero (bici a motore creata da Solex) e con guanti di cinghiale gialli, due o tre pedalate nei punti più ripidi su per la Bella Vista, alla sua casa alta sul Golfo dove non un solo centimetro delle pareti era libero da quadri.

Marco Carpena era il patron del Premio Lerici di Poesia. Si diceva che portasse fortuna, il Premio.

Tra i suoi laureati: RobertoPazzi, Ettore Serra, Tita Rosa, Caproni, Acrocca,Grillandi, Govoni, Bevilacqua, Libero de Libero, Sambonet, Raffaele Crovi. Marco Carpena con Tita Rosa e Enrico Pea, sulla terrazza dello Shelley, alla vigilia del Premio. Pea, biblico, fisicamente un po’ Ungaretti e un po’ Ezra Pound. Giovanni Titta Rosa piccolo e tondo ma poeta. Carpena imponente, occhi azzurri senza paura ma sempre ridenti con serena ironia. Alla premiazione al cinema Astoria Marco non sul palco, ma sempre seminascosto nell’ultima fila della platea.

Mai saputo, anche se legato da lunga e fraterna amicizia, se per vera o falsa modestia. Quel che è certo è che le movimentate e complicate vicende della sua vita, privata e pubblica, non avevano per niente intaccato il “bambino” che era in lui. Indimenticabile Marco. Indimenticabile amico. (fine)

Valter Rescigno