(da Lerici in di aprile 2022)

Maria Luisa Eguez ci svela un inedito  Gesù. È uscito a febbraio, nella collana Bibbia per te delle ed. Messaggero di Padova, un nuovo saggio di Maria Luisa Eguez dal titolo Vita e opere dell’ebreo Gesù. Le abbiamo chiesto di parlarcene.

D.: La parola che spicca già nel titolo del tuo libro è “ebreo”. È davvero così importante l’ebraicità di Gesù?

R.: Fondamentale. Perché se non si conosce ciò in cui lui ha creduto, quello che lui ha amato, quello per cui lui ha gioito o sofferto, ciò che costituisce il suo più intimo legame con la propria gente, non si può veramente comprenderlo, sia che ci si voglia limitare a una visione storica del personaggio “Gesù” ma ancor di più se si vuole intraprendere un autentico cammino di fede dietro di lui.

D.: Non basta leggere quello che ci raccontano i Vangeli?

R.: Basterebbe e per così dire avanzerebbe, se fossero correttamente interpretati e assimilati. Ma da duemila anni sono stati spesso e volentieri completamente stravolti nella misura in cui la cultura di un’epoca o le fantasie dei vari predicatori, non supportate dalla consapevolezza del mondo in cui realmente viveva e agiva Gesù, hanno forzato le interpretazioni delle sue parole e dei suoi gesti profetici piegandole alla cultura, alle logiche e alle aspirazioni del proprio tempo.

In poche parole, ne hanno spesso deformato l’immagine, addomesticando la portata rivoluzionaria del suo messaggio, smussandone gli angoli o spesso, come si dice oggi, “strumentalizzandolo”.

D.: Questo anche attualmente o fino a quando?

R.: Il giro di boa per la Chiesa cattolica è stato il Concilio Vaticano II conclusosi nel 1965 ma preparato sin dalla seconda metà dell’Ottocento da studi e dibattiti, nonché maturato all’ombra di eventi storici epocali come la seconda guerra mondiale e la Shoah.

Purtroppo c’è da rilevare come, per un malinteso senso della tradizione, ancora oggi tanti preferiscano rifugiarsi nella più rassicurante immagine oleografica di un Gesù come “uomo universale”, ma dipingendolo in contemporanea come un perfetto ariano, biondo con gli occhi azzurri. Dal Vaticano II a oggi tutti i papi succedutisi (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco; non cito Giovanni Paolo I solo perché gliene è mancato il tempo nei trentatré giorni del suo pontificato) non hanno fatto che sottolineare la necessità di riscoprire le radici ebraiche della fede cristiana tornando alle Scritture (non solo il Nuovo ma anche l’Antico Testamento) e instaurando rapporti fecondi con l’ebraismo contemporaneo.

Abbiamo molto da imparare dalla lettura ebraica del Nuovo Testamento, tant’è ve-ro che ci sono i cosiddetti  studiosi neotestamentaristi ebrei che danno dei contributi illuminanti sulla corretta interpretazione di tanti passi altrimenti oscuri. È un dibattito da mettere alla portata della gente e non lasciarlo confinato fra gli esperti in materia.

Ed è proprio questo lo scopo che mi sono prefissa scrivendo questo libro: condividere con gioia tante scoperte che ho fatto io stessa approfondendo l’argomento.

D.: Hai nominato tutti i papi degli ultimi sessanta anni. Vuoi fare in proposito qualche citazione specifica per capire meglio?

R.: Senz’altro, una per tutte. Papa Francesco, come si legge sull’Osservatore Romano del 14 giugno 2014, ha dichiarato senza mezzi termini: «Un cristiano non può vivere il suo cristianesimo, non può essere un vero cristiano, se non riconosce la sua radice ebraica».

D.: Di quali episodi o insegnamenti di Gesù in particolare hai riportato nel tuo libro una chiave interpretativa poco o per niente nota?

R.: Come parabole di difficile decodificazione quella, per esempio, in Luca 16 dell’amministratore disonesto e in Matteo 25 quella delle dieci vergini al banchetto di nozze. Come episodi della sua vita quelli che riguardano l’esatta datazione della sua nascita, la presenza al tempio di Gerusalemme al-l’età di dodici anni con il conseguente cosiddetto suo “smarrimento”, l’autentico significato del battesimo al Giordano, le sue attività di falegname, rabbino, guaritore ed esorcista, i suoi reali rapporti con i farisei e la sua fondamentale osservanza del-le festività ebraiche, a cominciare dal riposo del sabato, oggetto di tante diatribe.

D.: Perché per venti secoli Gesù è stato causa di così tanta divisione tra cristiani ed ebrei?

R.: Per rispondere a questa tua domanda mi ci vorrebbe un altro libro ancora, anche se ne ho già parlato in Chi ha ucciso Gesù? e ne accenno anche qui. Inviterei intanto a riflettere sulla splendida Lettera ai Romani di Paolo, troppo spesso trascurata da chi biblista non è. Innanzitutto preferisco un’altra formulazione: Gesù di Nazareth è allo stesso tempo quello che maggiormente ci unisce e quello che nello stesso tempo ci distingue, ma che non ci impedisce certo, sempre allo stesso tempo, di procedere verso il bene dell’umanità “spalla a spalla”, come dice la profezia di Sofonia.

Ti do come risposta allora una spiritosa frase di Amy-Jill Levine, scrittrice e docente universitaria neotestamentarista, che altrettanto scherzosamente si autodefinisce: “femminista ebrea yankee che insegna in una scuola teologica prevalentemente protestante al centro della Fascia Biblica americana”: «Esiste una sorta di consenso su una struttura di base della vita di Gesù. La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che Gesù fu battezzato da Giovanni, discusse con i compagni ebrei sul modo migliore di vivere secondo la volontà di Dio, si dedicò a guarigioni ed esorcismi, insegnò in parabole, radunò come seguaci uomini e donne in Galilea, andò a Gerusalemme e fu crocifisso da soldati romani durante il governatorato di Ponzio Pilato (26–36 d. C.).

Per usare un vecchio cliché, il diavolo è nei dettagli».

Sandro Fascinelli

Intervista di Benedetta Eguez all’autrice del libro edizioni Messaggero di Padova