Una storia di uomini e di navi, scritta da Dino Grassi, curata da Giorgio Pagano

(da Lerici in di agosto 2023)

Abbiamo chiesto a Giorgio Pagano di parlarci del suo prossimo libro, in uscita a fine luglio, che sarà presentato mercoledì 2 agosto alle 19 al Circolo ARCI Solaro, nell’ambito della rassegna “Un mercoledì da piccione”. Si tratta del testo di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” (Ets edizioni, collana “Verba Manent”) (foto copertina sopra).            SF

Giorgio Pagano parla così di Dino Grassi:

“Dino Grassi è nato da una famiglia molto povera nel 1926. Ha vissuto l’infanzia e la gioventù a Pozzuolo e a San Terenzo, poi si è trasferito a Sarzana, dove è scomparso nel giugno 2023.

Tra Lerici e La Spezia, al Cantiere Muggiano, Dino ha fatto l’operaio dall’età di quat-tordici anni fino al 1980.

La ‘Memoria’, scritta per la CGIL nel 1995, è pubblicata per la prima volta, insieme a un’’Intervista’ rilasciata nel gennaio e febbraio 2023 e alla mia Postfazione.

La ‘Memoria’ va dal 1940 al 1980, l’’Intervista’ si sofferma anche sull’oggi. Dai due testi emerge l’esperienza peculiare di una persona, ma anche l’epopea corale di una comunità, investita dai grandi avvenimenti politici e sociali: gli scioperi del 1944 e la Resistenza, la ricostruzione del paese e la rottura dell’unità sindacale, la restaurazione degli anni Cinquanta, la caduta del mito di Stalin, la progressiva riscossa operaia dai primi anni Sessanta all’Autunno caldo, la successiva sconfitta.

Alla Spezia, lungo il decennio che va dai primi anni Sessanta ai primi anni Settanta, fu epica la lotta per la salvezza del Cantiere Muggiano.

Il racconto di Dino Grassi ripercorre la sua maturazione umana e politica nel corso del dopoguerra, fino al dolore per la rinuncia all’ispirazione al socialismo e per l’abbandono del mondo del lavoro: è il ritratto indimenticabile di un militante e dello ‘stile di vita’ operaio”.

Per gentile concessione di Ets edizioni pubblichiamo

Un brano tratto dal 1° capitolo del libro.

Il mio primo impatto col Cantiere Muggiano credo sia stato nel 1932 quando all’età di sei anni la mia famiglia dovette trasferirsi da Massa alla Spezia e precisamente a Pozzuolo di Lerici. Mio padre, disoccupato a Massa, riusciva a lavorare saltuariamente alla Pertusola o in qualche occasione lavorativa contadina o di trasporto col carro a cavallo (aveva svolto il servizio militare e la guerra 1915-1918 nella cavalleria); ma, nonostante la sua buona volontà, non riusciva a procurare quanto necessario per vivere. Così, come molte altre famiglie del resto, disponevamo di tre o quattro pecore che io ed i miei fratelli maggiori – Domenico il primo e Mario il secondo – andavamo a pascolare, quando eravamo liberi dagli impegni scolastici, proprio nel bosco a ridosso dei “Pianelloni”, sovrastante da un lato la Fonderia Pertusola e dall’altro il Cantiere Muggiano.

Da lì, in una cornice di folla festante proveniente da Lerici, San Terenzo, Pugliola, Pitelli ed altre borgate ho assistito, nel 1932, al varo dell’incrociatore “A. Diaz”, che insieme allo “Zara” ed altre unità della Marina Militare e Marina Mercantile avrei, negli anni seguenti, sentito ricordare con orgoglio dai compagni di lavoro più anziani e che ho potuto vedere, insieme a decine e decine di altre navi, inserite nell’“Albo d’oro” delle costruzioni di questo grande Cantiere. […]

Nella parte di levante, che si offriva alla mia vista, c’erano quattro scali all’aperto, l’officina fabbri, la tettoia “B” dove si costruivano, nei due scali coperti, i sommergibili, l’edificio della direzione aziendale dalla quale si accedeva alla portineria “A” che si diceva, tra i dipendenti, la “portineria degli impiegati”, in quanto gli operai entravano dalla portineria “B” ubicata duecento metri circa più giù lato La Spezia ed un edificio per gli spogliatoi degli operai. L’urlo della sirena (la gente aveva preso dagli operai ad etichettarlo “il fischio”), che se non sbaglio era azionato da aria compressa, sibilava potentissimo al mattino, alle 12.00, quindi per la ripresa del lavoro pomeridiano ed infine alle 16.45.

Era uno spettacolo vedere centinaia di operai affrettarsi, molti a correre (mi spiegherò poi le ragioni del “cor-rere”; qualche esigenza personale, ma particolarmente poter giungere primi a servirsi dei pochi posti disponibili di alquanto squallidi lavabi) verso gli spogliatoi!

Ma il “fischio” non significava che la giornata lavorativa fosse terminata per tutti i dipendenti. Molti, secondo le esigenze produttive del Cantiere, continuavano il lavoro (“la veglia”) per oltre due ore e questa eventualità era salutata, purtroppo, dagli operai e dai loro famigliari con soddisfazione (ricordo fra le mogli alcune che contemperavano la consapevolezza del sacrificio richiesto al proprio marito con la utilità che ne sarebbe venuta alla busta paga, ma alcune altre vi vedevano con compiacimento la dimostrazione che il marito “sapeva fare il proprio mestiere” e pertanto era tenuto in “considerazione” dai superiori). 

Poco dopo il “fischio” veniva snodandosi su per la salita che da Muggiano porta a Pozzuolo – e quindi Pugliola, Lerici, Sarzana, ecc. – un corteo di uomini lavati e riordinati negli abiti, a piedi molti, in bicicletta parecchi, che vociavano tra loro delle cose più diverse. Mi è rimasto impresso, tra l’altro, un “cri cri” che di volta in volta avvertivo: erano le scarpe di cuoio di alcuni tra i cantieristi che, tra noi ragazzi abituali utilizzatori di zoccoli di legno, dicevamo fossero di assai buona qualità e, quindi, calzate da quelli più abbienti. Cosicché eravamo portati a guardare con maggiore considerazione quelli che nel corteo col loro incidere facevano emettere quell’apprezzato cigolare di cuoio.

Giorgio Pagano

Intervista a Giorgio Pagano curatore del libro “Io sono un operaio”