(da Lerici In di settembre 2023)
A conclusione del ricordo sui 90 anni dal Nastro Azzurro al Rex pubblichiamo un testo postumo sull’argomento, che ci trasmise il prof. Enrico Calzolari poco prima della sua scomparsa. SF
Francesco Tarabotto
Francesco Angelo Maria Tarabotto nacque a Lerici il 10 luglio del 1877, in Via Ghiaia, da una famiglia per tradizione di capitani e padroni marittimi, con il padre Filippo comandante della marineria lericina. Ancora piccolo, con la famiglia si trasferì a Genova [ndr. Tarabotto risulta residente a Genova dal 1882 (Anagrafe) ed essendo nato nel 1877 vuol dire che vi era dall’età di cinque anni] e così, quando crebbe, poté seguire con regolarità gli studi all’istituto nautico [ndr. studiò all’Istituto Nautico San Giorgio, ancora attivo, che ora ha inglobato quello di Camogli. Dai voti dell’ultimo anno, quello del diploma, risulta che fu rimandato in due materie. Suo padre morì proprio prima dell’esame e sicuramente egli stava passando un brutto momento].
Essendo “figlio d’arte” si imbarcò come “mozzo” sui piroscafi, poi sui velieri di altura e divenne un “mainae de Cavodorno”, cioè un marinaio che aveva doppiato Capo Horn, compiendo viaggi nel Sud America, in Canada, in Inghilterra e nel Centro America, formandosi alla scuola di vita di questi marinai che avevano le gambe storte, erano pieni di dolori, si muovevano male sulla terraferma, perché fin da giovani si erano arrampicati sugli alberi delle navi, bagnati fino all’osso, coperti da cappotte incerate e spennellate continuamente di olio di lino perché rimanessero impermeabili e ne ebbe sempre rispetto, ma ancor di più ne ebbe per i capitani dei velieri che doppiavano il terribile capo.
S’imbarcò successivamente sulla nave da guerra “Lepanto”, come addetto allo stato maggiore, per adempiere agli obblighi di leva. Tornò a fare viaggi su navi da carico dirette in Inghilterra. Successivamente vinse il concorso ed entrò a far parte dello stato maggiore della Navigazione Generale Italiana, dove rimase sei anni. In questo periodo fece alcuni viaggi in Cina, trasportando il distaccamento denominato Regie Truppe Italiane dell’Estremo Oriente, inviate nella lotta contro i boxers.
Nel 1905 passò alla nuova società Lloyd Italiano col grado di primo ufficiale, e nel 1908 s’imbarcò sul “Principessa Mafalda”, ove rimase in servizio per quattro anni. Nel 1913 fu promosso comandante e s’im-barcò sul piroscafo “Indiana”, ove rimase sette anni, compiendo per tutto il periodo della Prima Guerra Mondiale viaggi di trasporto di truppe italiane e francesi a Salonicco, Valona ed in Asia Minore. Tornò al comando del “Principessa Mafalda”, ove rimase quattro anni, quindi passò al comando del piroscafo “Napoli” sulle rotte del Pacifico e del Centro America. Dopo un breve periodo sul “Duilio” passò al comando del nuovo “Augustus” nel suo viaggio inaugurale e vi rimase quattro anni. Nel 1932 fu comandante del “Rex” con cui nel 1933 conquistò il “Nastro Azzurro”. Nel 1937 sbarcò per raggiunti limiti di età. Morì a Genova il 16 luglio 1969.
I retroscena del Nastro Azzurro
Tarabotto appariva esteriormente fascista, perché spesso portava la camicia nera, ma non era un vero fascista, talché Mussolini non lo amava né lo considerava ma, proprio quando ebbe il comando del Rex, il regime fascista si trovò ad aver bisogno di lui per affermarsi a livello internazionale, in un periodo in cui il sentire collettivo era influenzato dal mito della velocità.
Per raggiungere l’ambìto trofeo del Nastro Azzurro furono commissionate ai più prestigiosi cantieri navali del Mar Ligure e del Mare Adriatico due magnifiche navi: il “Rex” ed il “Conte di Savoia”. Il primo fu varato il 1° agosto 1931 ai cantieri Ansaldo di Genova, il secondo fu varato il 28 ottobre 1931 ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste.
Il comandante amato dal regime e dalla dirigenza della società armatrice era invece il comandante Antonio Lena, così come la nave amata dal regime era il “Conte di Savoia”. Si tenga presente che la Massoneria introdotta nella Società Italia era fedele al Re e che fu per questo che nelle ciminiere delle navi sociali il Duce non poté far apporre il fascio littorio, come invece abbondantemente avveniva nelle ali degli aerei. Esisteva quindi uno scontro ideologico interno. Il “Rex” richiamava il Re. Logico che toccò per primo al comandante Lena tentare la conquista del Nastro Azzurro. Comunque dopo la conquista del trofeo da parte del Rex, Mussolini inviò al console italiano a New York un telegramma per felicitarsi con il comandante e con tutto l’equipaggio (non poteva farne a meno, ma sicuramente “masticò amaro”).
Il primo tentativo di superare la velocità media tenuta dal “Bremen” fu tentato dal “Conte di Savoia” nel maggio 1933. Va tenuto presente che questa era la più moderna fra le due navi, perché dotata di tre giroscopi Sperry che dovevano stabilizzarla nave anche in presenza di onde trasversali, riducendo il rollio a meno di tre gradi; era per giunta comandata da Antonio Lena che, pensando di migliorare la velocità della nave in presenza di onde, fece inserire i giroscopi; si arrivò al contrario ad imprimere alla nave vibrazioni ed oscillazioni di sbandamento sempre crescenti (fenomeni di caos frequenziale). Un effetto inaspettato. Si ebbe quindi un grande assorbimento di energia da parte dei tre grandi giroscopi, energia che fu tolta alla potenza inviata alle quattro eliche.
Il tentativo fallì e l’onere della gara fu trasferito al comandante del “Rex”, ovviamente con il consenso dello stesso Mussolini, che tutto allora determinava (ma che in questo caso cominciò a subire la nemesi storica).
Esisteva nella Nuova Società Italia Flotte Riunite di allora, derivata dalla fusione della Navigazione Generale Italiana (N.G.I.) di Genova, Lloyd Sabaudo di Torino e Compagnia Cosulich di Trieste, una specie di tifoseria fra i due comandanti delle maggiori navi simboliche della società. La maggior parte dei dirigenti parteggiava per il comandante Antonio Lena, di Riva Trigoso, considerato più brillante, più aperto, meglio adatto alle funzioni di rappresentanza, a fronte dello schivo e taciturno Francesco Tarabotto, considerato forse misantropo o addirittura misogino (il fascismo becero considerava valore sommo l’andare a donne), non certo amante delle cerimonie e delle feste, e quindi meno adatto alle funzioni di rappresentanza (che non si capisce bene se fossero più importanti all’interno, per i dirigenti della Società Italia, o all’esterno per i gerarchi del regime).
In questo tentativo di conquista del Nastro Azzurro si affrontavano quindi due diversi mondi, quello della bravura costruttiva dei cantieri italiani (sfida tra le cantieristiche ligure e adriatica) e quello della bravura dei capitani, ma giocato tutto in casa ligure (Lerici e Riva Trigoso) fra uomini più inclini o meno inclini alle funzioni di rappresentanza e fra due comandanti più o meno devoti alla mera tradizione marinaresca. È corretto dire che fu la sorte a decidere chi premiare? No, non è possibile affermare ciò.
Da un lato vi fu un errore del comandante Lena nell’aver riposto la sua fiducia in una nuova sperimentazione tecnologica; dall’altro vi fu la caparbia audacia di Tarabotto o, se vogliamo. Una sua pericolosa violazione delle “Regole per evitare gli abbordi in mare”, pur di vincere la grandiosa scommessa di superare in bravura le grandi marine nordiche.
Appare giusto, a distanza di tanti anni, far venire alla luce tutti questi rapporti e tutti questi fatti poco conosciuti dal grande pubblico, per far apprezzare di più dai lericini il comportamento di un così particolare figlio del “genius loci”, il quale fece sì, con la sua incredibile ostinazione, che:
· il “Rex” partì da Genova il giorno 11 agosto 1933 alle ore 11.30;
· il “Rex” arrivò a Gibilterra il giorno 12 agosto alle ore 05.30;
· il “Rex” partì da Gibilterra il giorno 12 agosto alle ore 06.30;
· il “Rex” arrivò al traverso del battello-fanale Ambrose il 16 agosto alle ore 04.40;
· la distanza fra Gibilterra ed il battello-fanale Ambrose è di 3181 miglia;
· il tempo della traversata fu di 4 giorni, 13 ore e 58 minuti;
· la velocità media calcolata fu di 28,92 nodi;
· la velocità fu quindi superiore a quella del “Bremen”, che aveva così perso il Nastro Azzurro a favore della nave italiana.
Enrico Calzolari