(da Lerici in di agosto 2022)
Negli Anni Sessanta molti lericini erano operai nelle fabbriche, specialmente della Fonderia Pertusola (sotto Lerici) e del Cantiere Navale Muggiano (al confine con La Spezia).
La composizione demografica era molto diversa rispetto ad oggi, così il numero degli abitanti: il massimo storico fu raggiunto nel 1961 (13.563) e superato nel 1971 (14.680). Da allora fu un lento declino, fino ai 9.547 del 2022.
Negli ultimi Anni Cinquanta la situazione spezzina e lericina era caratterizzata dalla depressione. Negli anni Sessanta il “miracolo economico” si fece sentire meno che altrove. Il passaggio da uno sviluppo industriale protetto e autarchico all’economia del mercato libero europeo fu vissuto come un trauma. Il settore più esposto era quello navale. La lotta per salvare il Muggiano fu l’evento politico principale dell’intero decennio. Ma mentre il Muggiano poteva farcela – e ce la fece -, fu molto più dura per i cantierini artigianali e per quelli di demolizione, che a poco a poco sparirono.
Negli Anni Sessanta si preparò la rivolta operaia, che esplose nel Sessantotto. La rivolta fu originata da una condizione lavorativa insopportabile. La fabbrica era il luogo dello sfruttamento: in termini salariali, di condizioni del lavoro e dell’ambiente, di mancanza di democrazia.
Ovidio Iozzelli lavorava alla Pertusola:
«La Pertusola era una società mineraria metallurgica che fondeva la ghisa per fare piombo mercantile. Facevamo anche l’argento. Il procedimento per zincare il piombo si chiamava zincaggio: il reparto si chiamava “il reparto della morte”, perché c’erano morti, vittime di infortuni sul lavoro, sette operai. Quando passavano le cicale sopra lo stabilimento cadevano stecchite. Lavoravamo sostanze che ci facevano male agli occhi… Quando arrivava il vento ed alzava la polvere, dovevamo scappare per proteggerci. La pelle, quando ci facevamo la barba al mattino, ci bruciava. Negli Anni Sessanta l’80% non arrivava alla pensione. Moriva prima dei sessant’anni per saturnismo, la malattia di chi sta esposto al piombo» (nota 1).
I lavoratori non avevano nemmeno le sedi per riunirsi. Ma al Muggiano e alla Pertusola furono protagonisti di una straordinaria risposta.
Racconta Dino Grassi, operaio del Muggiano,
allora residente a San Terenzo: «Il 1959 fu l’anno della risposta operaia allo sfratto dalle sue sedi ad opera della Direzione di fabbrica. Avevamo dovuto superare non pochi problemi senza un locale in cui poterci riunire. […] Poi trovammo una modestissima “baracca”, di fronte alla porta di levante del Cantiere, che, forse, era stata costruita dopo lo scoppio di Falconara per riparare le persone rimaste senza casa.
Quel modestissimo locale costituì un prezioso presidio per l’organizzazione politica e sindacale del Cantiere e della Fonderia Pertusola. Da lì passavano ogni giorno decine di attivisti per ritirare giornali (“L’Unità”, “Vie Nuove”, “Il Lavoro”, settimanale della CGIL, “Lo Scalo”, giornale di fabbrica) e volantini.
Nel 1959 ci ponemmo l’ambito traguardo di costruirci una nuova sede. Il Comune di Lerici era retto da una Amministrazione che comprendeva PCI, PSI e PRI; sensibile al nostro problema, ci concesse un’autorizzazio-ne a costruire un prefabbricato lungo la salita che porta a Pozzuolo. […] Il 10 maggio 1960 ci fu l’inaugurazione della “Casa del Lavoratore”, voluta dalla Sezione del PCI “Tonelli-Cialdini” per i lavoratori del Cantiere e della Pertusola» (nota 2).
Vi si svolgeva la vita di una vera e propria comunità, continua Grassi:
«Passione, tensione ideale, momenti alti di battaglie civili e democratiche vinte, di resistenza in altri momenti e situazioni; un crogiuolo che di volta in volta fondeva le varie posizioni e orientamenti dei compagni riconducendoli a unità e sintesi. E attorno alla “Casa” la vigilanza contro gli attentati fascisti, con lunghe notti trascorse “di guardia”; l’impegno per la sua manutenzione, per la sua pulizia e decoro. L’atti-vismo per il partito e per il sindacato ha espresso valori di volontariato notevoli» (nota 3).
Il 1961 fu l’anno della ripresa delle lotte. Così lo ricorda Grassi:
«Il 1960 fu per il Muggiano e per il gruppo Ansaldo l’anno della “predicazione” del ripristino della trattenuta sindacale nella busta paga, del premio di produzione, del miglioramento del trattamento mutualistico e per i periodi di infortunio. Il 1961 fu l’anno dell’azione per la loro conquista; per la prima volta dopo anni di divisione CGIL, CISL, UIL chiamarono i lavoratori alla lotta. Fu il primo sciopero unitario dopo la sconfitta e le divisioni degli Anni Cinquanta. Per dieci anni non si era più visto uno sciopero alla Spezia. Il Cantiere Muggiano e le fabbriche del gruppo Ansaldo furono le prime a ottenere obiettivi che nel resto d’Italia si conquistarono nel 1969» (nota 4).
La mattinata del 17 maggio 1961 fu davvero speciale: «I dirigenti provinciali del sindacato temevano che non saremmo riusciti a portare i dipendenti in città. Io ci speravo; anzi ne ero certo. Noi della FIOM avevamo lavorato intensamente per la riuscita dello sciopero. Il giorno prima, nello spazio antistante la cooperativa (luogo di tanti appuntamenti di lotta operaia!), avevamo chiamato a raccolta i nostri organizzati e i lavoratori tutti.
Ricordo il giorno dello sciopero e della manifestazione: con un gruppo di attivisti sindacali ci attestammo fuori dalla portineria a esortare con slogan la formazione del corteo, il munirsi di cartelli e pannelli illustrativi, poi una parte di noi prese immediatamente la testa del corteo che subito si fece consistente e trascinò!
Era fatta! A piedi – come tante volte prima, come tante volte dopo – verso il centro città. La gente, sorpresa e meravigliata, osservava, plaudiva, salutava. Salutavano anche gli operai dell’INMA, la gente di Fossamastra e Canaletto, gli studenti dalle finestre delle scuole, e la gente, tanta gente in piazza Verdi e in piazza del Mercato» (nota 5).
Giorgio Pagano
Note:
[1] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019, p. 28. Ovidio Iozzelli è scomparso dopo aver concesso questa intervista.
[2] Ivi, p. 30.
[3] Ivi, p. 31.
I4] Ivi, pp. 46-47.
[5] Ivi, p. 47.