(da Lerici in di ottobre 2023)
Cultura marinara a cura dell’amm. Sergio Di Gregorio
La costruzione del radar, dispositivo di radiolocalizzazione di oggetti solidi naviganti sulla superficie del mare o in aria, misurandone nel contempo la distanza, trae origini dagli sudi di Faraday, scienziato inglese, sull’elettromagnetismo, proseguiti con quelli di Maxwell e di Hertz sul campo elettromagnetico e sulle onde della stessa natura.
La parola radar è composta dalle iniziali dell’espressione inglese “ra (dio) d (detecting and ranging) – (rile-vamento mediante onde radio e misurazione della distanza in un sistema di riferimento); il dispositivo, in sintesi, sfrutta gli echi delle onde elettromagnetiche riflesse da un corpo solido navigante in cielo o in mare e costituisce, in pratica, ciò che Guglielmo Marconi, già inventore della radio nel 1896, aveva preconizzato in un discorso del 1922 in America, in merito alla concreta possibilità di progettare e costruire un dispositivo che, imbarcato su una nave, fosse in grado d’irradiare in una certa direzione un fascio di onde elettromagnetiche verso un’altra nave posta ad una certa distanza, segnalandone la risposta in un altro apparato ricevitore, schermato rispetto al precedente, con grandi vantaggi per la sicurezza della navigazione.
Sono stati necessari almeno altri venti anni di ulteriori studi sistematici ed esperimenti, condotti con continuità da vari scienziati in quasi tutti i paesi del mondo, dotati di una industria tecnologicamente avanzata, specialmente in Germania e in Gran Bretagna (come, ad esempio: il professor Augusto Righi che produsse e studiò le prime onde cortissime, E. Victor Appleton con i suoi studi sulla ionosfera, John Randall e Harry Boot sulle microonde, e via di seguito) se agli inizi degli Anni ’30 cominciarono a registrarsi i primi rilevamenti di oggetti, fino ad Alexander Watson-Watt, che nel 1935 costruì il primo radar.
Ma gli studi sarebbero forse serviti a poco se non fosse stata avvertita l’esigenza da parte dei governi nazionali, sollecitati a loro volta dall’opinione pubblica, ad intervenire direttamente nel- l’impresa al fine di ottenere un risultato concreto nel minor tempo possibile per migliorare la sicurezza nella navigazione. I governi erano egualmente pressati dalle loro rispettive Autorità militari, fra le quali, le più perspicaci avevano già intuito le future applicazioni che si sarebbero verificate nel loro specifico settore. Per questo motivo gli studi e le ricerche furono condotti anche in segreto, e nel ‘34, in Germania, fu finalmente rilevata la presenza della corazzata Essen alla distanza di 600 metri, subito dopo estesa a quella di 15 chilometri.
Da questi studi derivò la nascita del primo telegrafo decimetro, sintetizzato in De. Te.(il primo apparato prese questo nome per indicare che erano impiegate onde di pochi decimetri e fu presentato all’ammiraglio Reder, capo di Stato Maggiore della Marina tedesca ed in quell’occasione fu localizzato l’incrociatore Konigsberg con un apparato avente una portata di circa 20 chilometri. Nacque così il primo radar tedesco che, agendo su una lunghezza d’onda di un metro, con una portata di circa 20 chilometri, fu poi imbarcato sulla corazzata tascabile Graph von Spee ed utilizzato poi nel dicembre 1939 nella battaglia navale di Rio della Plata (la prima della seconda guerra mondiale) contro le unità della Royal Navy (Exeter, Ajax, Achilles).
In Italia, gli studi in merito alla nascita del radar furono avviati dalla Regia Marina, l’unica delle tre FF. AA. a mostrare un certo interesse alla nascita del nuovo apparato presso il Regio Istituto di Elettrocomunicazione (con sede all’interno dell’Accademia Navale di Livorno), diretto dal professore Ugo Tiberio, coadiuvato dal collega Nello Carrara e dal maggiore Alfeo Brandimarte, ma le autorità navali ed il Governo di quel periodo mostrarono scarso interesse nei riguardi dell’impresa elargendo finanziamenti ridotti e fornendo poco personale (gli addetti alla costruzione del primo radar italiano avevano tutti un altro lavoro per il proprio sostentamento economico).
Inoltre, l’industria nazionale nel settore dell’elettronica in quel periodo era molto arretrata (mancava in Italia una Telefunken come in Germania o una Philips come in Olanda). Infatti a nessun tecnico italiano, impiegato o funzionario, civile o militare, appartenente o meno alla Regia Marina, venne in mente di chiedersi o d’informarsi presso gli alleati tedeschi a cosa servisse quell’enorme traliccio con una strana antenna a materasso, imbarcato sul torrione di comando della corazzata tascabile tedesca Graf Von Spee rifugiatasi nel porto di Montevideo per riparare i danni subiti nello scontro vittorioso contro gli incrociatori inglesi alla foce di Rio della Plata nel ’39.
In seguito, scaduto il termine di permanenza nel porto, concesso dalle Autorità locali neutrali, la corazzata uscì in mare aperto e, nel timore di un probabile internamento, il suo Comandante, Hans Langsdorff preferì autoaffondarsi, sottraendosi così alle unità britanniche che l’aspettavano fuori in mare aperto.
Le foto e gli articoli sui giornali su quell’avvenimento, sulla fine tragica della corazzata in fiamme mentre affondava, e del suo comandante, che si suicidò in una stanza d’albergo, fecero il giro del mondo, ma in Italia nessuno si accorse di quella antenna (con un pò di attenzione e di curiosità si sarebbe forse scoperto che i tedeschi, all’epoca nostri alleati, avevano a disposizione il radar. (segue)
Sergio Di Gregorio
(da Lerici In di novembre 2023)
Nella prima parte avevamo parlato della nascita del Radar e della impreparazione degli italiani sulla questione, ora ne sviluppiamo i motivi.
Indubbiamente, la mancanza assoluta di richieste d’informazioni su quell’argomento ai nostri alleati, sia in quell’occasione che nelle altre, fu molto grave (né i tedeschi, a loro volta, ne misero al corrente gli italiani). L’Italia si comportò nel periodo anteguerra ed anche dopo (almeno fino alla battaglia di Matapan, avvenuta il 29 marzo 1941) come se il problema della radiolocalizzazione delle navi e degli aerei non la interessasse, oppure come se il problema fosse già stato risolto brillantemente in un altro modo.
Dal 1936, più precisamente dagli inizi degli studi del professor Tiberio, al 10 giugno ’40 (data dell’entrata in guerra dell’Italia) ci sarebbero stati sia possibilità di costruire un impianto prototipo, ad esempio in versione navale, perfezionarlo, e quindi d’imbarcarlo sulle navi destinate alla scorta dei convogli per la Libia, dove avrebbe potuto dimostrare al meglio la sua utilità nelle lunghe navigazioni notturne.
Nel dopoguerra, quasi a giustificazione della disastrosa sconfitta di Matapan del marzo 1941 [a destra il luogo dello scontro], fu avanzata l’ipotesi anche in alcuni ambienti marginali della M. M. repubblicana che l’esito dello scontro navale appena richiamato forse sarebbe stato diverso per la Regia Marina se avesse potuto disporre in quell’occasione di qualche unità dotata di radar.
A parere di molti storici esperti, in quell’occasione, peraltro abbastanza fortuita, gli apparati radar britannici, imbarcati sugli incrociatori inglesi Orion e Ajax, ebbero un’importanza non preminente: essi avvistarono il Pola fermo e la divisione degli incrociatori pesanti italiani, che si avvicinava per rimorchiarlo ma l’identificazione vera e propria delle unità avvenne otticamente, alla distanza di 3-4 miglia, e poi l’ammiraglio Cunningham aprì il tiro delle artiglierie delle sue corazzate, quando l’errore commesso da alcuni responsabili della Regia Marina era ormai irreparabile.
Le sorti delle migliaia di marinai italiani (2.331 vittime) e di cinque unità, quella notte, furono comunque causate da deficienze a carico della Regia Marina, molto più gravi della mancanza del radar, quali le gravi ed ormai irreparabili lacune tecniche e tattiche, peraltro alcune già note da tempo oltre a decisioni prese da alcuni comandanti, quindi, da responsabilità personali (N.d.A.).
Sempre in Germania, dopo l’apparato navale, su disposizione dello stesso Hitler, si approntò per conto della Luftwaffe, il Freja (nome derivante dalla mitologia nordica) un radar terrestre, capace di percepire aerei in avvicinamento alla distanza di 80 chilometri e, subito dopo, il più preciso Wurzburg per la scoperta di aerei fino a 30 chilometri fornendone però velocità e quota.
Nel luglio del 1956 il transatlantico Andrea Doria [foto sopra], di 30.000 tonnellate di stazza, in quel periodo ammiraglia della ricostituita flotta mercantile italiana, in servizio sulla linea Genova-New-York, entrò in collisione con il mercantile svedese Stockolm, nelle acque presso la nave faro di Nantucket, vicino New York, porto di destinazione dell’unità italiana.
In seguito alla collisione, il Doria, irreparabilmente danneggiato dalla prua rompighiaccio della nave svedese, affondò con 51 vittime di cui 46 fra i suoi passeggeri.
Le rispettive Compagnie armatoriali, dopo mesi di indagini, optarono per un accordo extragiudiziale nel risarcimento dei danni e, al processo, unica responsabile fu dichiarata la nebbia che persisteva realmente in quella zona, per giunta fittissima; in realtà, come venne successivamente confermato da successivi studi sull’incidente, la causa principale fu individuata nell’errata lettura dei dati radar da parte dell’ufficiale di guardia sullo Stockolm (N.d.A.).
In conclusione, nel secondo conflitto mondiale gli apparati di radio-scoperta si resero disponibili per la Regia Marina tardi ed in pochi esemplari. Il radar fece la sua apparizione in Mediterraneo nel ’40, imbarcato a bordo dell’incrociatore britannico leggero Ajax e sperimentato nello scontro notturno, peraltro molto confuso, dell’ottobre ’40 nelle acque di Malta, tra alcune nostre unità leggere (caccia e torpediniere) ed incrociatori leggeri britannici, di scorta ad un convoglio di 16 mercantili per l’isola.
L’Ajax, principale protagonista dello scontro, si rilevò sorprendentemente preciso nel tiro delle sue artiglierie contro le nostre unità. Infatti, furono affondate le nostre torpediniere Airone, Ariel, e, dopo, il caccia Artigliere, comandato dal C. F. Carlo Margottini M.O.V.M. e in un primo momento danneggiato dall’ Ajax; l’Artigliere fu poi finito dall’incrociatore pesante York. L’inspiegabile performance dell’Ajax fu in un primo momento attribuita dagli italiani all’abilità degli artiglieri inglesi che sfruttarono il chiarore lunare di quella notte.
La mancanza del radar durante il conflitto, unitamene a quella del sonar (apparato indispensabile nel-la caccia antisommmergibili) costituì un grave handicap per la Regia Marina (mancanza dovuta in parte alla generale arretratezza tecnologica della nostra industria in quasi tutti i settori in quel periodo, ma anche alla diffidenza, o meglio, alla riluttanza di un ambiente fortemente burocratizzato, come era in gran parte l’Amministrazione Militare del periodo, poco propenso ad accettare ciò che era nuovo, specialmente se proveniente dal-l’estero, che inoltre sconvolgeva la routine giornaliera, le abitudini ed il pensiero dominante del momento.
Ci si domandava infatti: “A cosa potrà mai servire il radar se di giorno ci si vede benissimo e di notte non si combatte? (N.d.A.).
In conclusione, la sua mancanza fu indubbiamente d’enorme gravità a carico della Regia Marina, ma non tale da influire così negativamente sulla condotta ed operatività delle navi da battaglia italiane peraltro poco attive nel Mediterraneo; costituì invece un grave stato d’inferiorità nella guerra dei convogli. La Marina giapponese si trovò per altre ragioni nelle stesse condizioni di quella italiana ma non per questo motivo si sentì condizionata da tale deficienza, che non le impedì, infatti, di cogliere importanti successi, anche notturni, contro la Marina USA.
Ciò come negli scontri di Savo e di Tassafaronga. Savo è un’isola dell’arcipelago giapponese, dove nel 1942, nell’ambito della battaglia di Guadalcanal, avvenne uno scontro notturno con otto caccia giapponesi sprovvisti di radar che, pur essendo stati colti di sorpresa da incrociatori statunitensi, reagirono prontamente lanciando numerosi siluri ed infliggendo una sconfitta alla U. S. Navy. (N.d.A.) (fine)
Sergio Di Gregorio
Bibliografia
Giorgio Giorgerini: Da Matapan al Golfo Persico e
Gianni Rocca: Fucilate gli ammiragli