Il martirio di Angelo ed il dolore di Rosa

(da Lerici In di maggio 2024)

La reazione fascista e nazista dopo l’assalto al treno di Valmozzola del 12 marzo 1944 fu – come ho scritto il mese scorso – immediata, feroce e ad ampio raggio: riguardò molte zone delle province della Spezia e di Apuania (l’attuale Massa-Carrara). Perché i partigiani del Monte Barca furono colpiti? Probabilmente perché il rapporto di collaborazione tra partigiani e contadini era buono in alcune zone e in altre meno. Nel Bagnonese c’era ancora diffidenza. L’arrivo di Mario Galeazzi, un giovane di Comano che pochi giorni prima aveva raggiunto il gruppo di sua iniziativa, aveva del resto dimostrato che la sua esistenza era conosciuta. Il rastrellamento fu assai probabilmente chiesto da un abitante della zona. Nel suo diario don Primo Gallorini, parroco di Gabbiana, scrisse:

“Un individuo di Collesino (che ora non nominiamo) accusandoli ingiustamente di un furto di una pecora e di un agnello, la domenica precedente al fattaccio [12 marzo] aveva detto a una donna di Collesino, sposata a Pieve di Bagnone, e abitante in località Castagno Grosso, che entro due giorni quei tredici giovani, da lui chiamati ribelli, sarebbero scomparsi” [Nota 1].

Un altro parroco della zona, don Pietro Necchi, di Pieve di Bagnone, in una pubblicazione del 1948 scrisse:

[…] “circolava in paese la voce che sui nostri monti dimoravano partigiani. Nessuno di loro erano ancora scesi in paese, e si recavano di notte a luoghi convenuti a prendere il magro cibo di cui vivevano” [Nota 2].

E aggiunse:

 “Chi fu la spia che condusse il San Marco [battaglione della X Mas] al posto sicuro? E’ sempre all’oscuro, e dinanzi agli uomini vi rimarrà ormai per sempre” [Nota 3].

I ragazzi del Monte Barca (foto a lato) erano troppo isolati. Una preda troppo facile.

Victor Ivanov, insegnante di Mosca, fu il primo tra loro ad essere ucciso dai militi della X Mas. Era il 14 marzo 1944. Poi toccò a Luigi Amedeo Giannetti. Luciano Righi, ferito, fu finito barbaramente sulla via del ritorno, perché non poteva camminare. Il capo del gruppo, il sarzanese Ernesto Parducci “Giovanni”, anch’egli ferito, riuscì a salvarsi rotolandosi in un burrone.

Gli altri otto sopravvissuti – tra cui i lericini Nino Gerini e Angelo Trogu – vennero rinchiusi nel Seminario Vescovile di Pontremoli, che era stato occupato dalla X Mas, poi portati a Villa Andreini alla Spezia, quindi nuovamente a Pontremoli, infine a Valmozzola.

Nel luglio 1944 il sarzanese Werther Bianchini, comunista del Fronte della Gioventù, fu sbattuto in una cella a Villa Andreini. Sulle pareti bianche vide dei segni scalfiti: erano le frasi lasciate il 16 marzo da Nino Gerini:

“Stamani, all’alba, sarò fucilato insieme ad altri sette compagni, rei di avere combattuto per la libertà d’Italia. Uno di noi, cento di loro. Mamma non piangere se mi fucilano perché ho gridato viva Lenin, questa altra volta griderò più forte: viva la Russia, viva Stalin. Nino Gerini” [Nota 4].

Nino nulla sapeva dei crimini di Stalin. Ma sapeva che la Russia aveva sconfitto i nazisti a Stalingrado, al prezzo di venti milioni di morti. Nel mondo sorse la speranza. Nino e molti giovani furono attratti dallo stalinismo per questo. La democrazia borghese non era l’antidoto del fascismo – così pensavano – poiché era proprio da essa che il fascismo era nato. Il comunismo sovietico era considerato l’antidoto del fascismo. Il vero conflitto sembrava quello che opponeva i due titani del secolo. Ecco perché durante la Resistenza tanti giovani come Nino si sentivano, confusamente, comunisti.

Leggiamo la testimonianza di Mario Galeazzi, che fu l’unico sopravvissuto tra gli arrestati:

Fummo condotti a Bagnone e da qui alle prigioni di Pontremoli, dove ci misero in celle separate. L’interrogatorio venne fatto dal ten. Bertozzi, da un altro tenente di cui non conosco il nome, dal maresciallo Gargano e dal sergente Costa. Alle domande intercalavano botte per costringerci a parlare. Avevano come strumenti di tortura un cavo di corda con nodi, un pugnale col quale ci ferivano il petto e le spalle, e con le sigarette accese ci bruciacchiavano la pelle. Il mattino dopo, a mezzo camion tedesco, fummo trasportati alle carceri di Migliarina (La Spezia) e messi ancora in celle separate contigue. Fummo interrogati nuovamente, ma questa volta da due ufficiali tedeschi ed anche qui picchiati, in special modo i due russi.

Nella serata il cappellano della X Mas ci confessava preparandoci alla morte. Il mattino dopo, e precisamente il 16 marzo, ci ricondussero con il solito camion a Pontremoli, dove, a differenza delle altre volte, ci riunirono in una unica cella.

Per la prima volta, dopo l’arresto, mangiammo un pezzetto di pane che i nostri aguzzini ci porgevano alla bocca, poiché avevamo le mani legate dietro alla schiena con filo di ferro. A Pontremoli ricevemmo la visita del Vescovo e di altri sacerdoti, i quali ci comunicarono l’intervento del Vescovo presso le autorità per la commutazione della pena di morte, con esito purtroppo negativo. Ci esortarono alla serenità e alla rassegnazione, restando con noi parecchio tempo, durante il quale ci prepararono a un trapasso sereno” [Nota 5].

Don Marco Mori accompagnò il vescovo Giovanni Sismondo nella visita ai nove ragazzi. Ecco il suo racconto:

“Poi il Vescovo si alzò. Noi rimanemmo inginocchiati. Ad uno ad uno, nel silenzio, li abbracciò, li baciò in fronte. […] In quel silenzio si sentiva solo il respiro affannoso del ferito russo, ormai morente, gettato ancora sulla legna. Il Vescovo si inginocchiò e baciò anche lui.

[…] Il Vescovo passò dal Comando. Non gli fu neppure accettata la lettera della domanda di grazia. Protestò. Dichiarò che si sarebbe appellato alle cariche supreme. Gli fu risposto che ormai nessuno poteva farci più nulla.

Scongiurò che si ritardasse l’esecuzione. Non gli si permise neppure di passare dal colonnello. Forte, allora gridò nel corridoio: ‘Ricor-date che domani voi potrete avere bisogno di quella clemenza che ora negate a questi giovani’” [Nota 6].

Rosa Fabbri, la madre di Angelo Trogu, appena seppe delle morte del figlio si recò disperata a Pontremoli con il marito. Incontrarono il Vescovo, che sospirò: “E’ stato un delitto!” [Nota 7]. Su sua indicazione, i genitori di Angelo raggiunsero Valmozzola.

I funerali di Angelo Trogu sono gli unici di cui abbiamo memoria. Si tennero a San Terenzo il 14 aprile 1944. Il popolo santerenzino gremì la chiesa e il piazzale. Dietro il furgone che portava la cassa c’era un camion della X Mas. Puntarono le armi contro la popolazione. Ma questa non si disperse e gli amici di Angelo, impavidi delle minacce, portarono il feretro a spalla.

Venne scattata una fotografia del corteo, per riconoscere coloro che vi avevano partecipato. Rosa fu denunciata dalla X Mas quale antifascista e sobillatrice comunista.

Mikhail Tartufian, di Perm’, ventitré anni, ferito al ventre sul monte, fu anch’egli ucciso a Valmozzola. Il suo corpo riposa nel cimitero di San Terenzo, vicino a quello dell’amico Angelo. Quando fu sepolto, il cognome non si sapeva, si sapeva solo che era russo: sul marmo fu scritto “Trunel Michele Molotof”.

Alla Commissione di Epurazione di Lerici, dopo la Liberazione, le madri e i familiari denunciarono le responsabilità primarie del tenente Umberto Bertozzi. Il 15 settembre 1945 la sorella di Angelo, Luigia, dichiarò al maresciallo di avere incontrato Bertozzi dopo la morte del fratello: “Bertozzi mi stese la mano, ma io la ricusai. Allora mi disse: ‘Non vuole darmi la mano. Del resto non sono pentito di quello che ho fatto’” [Nota 8] .

Giorgio Pagano

Note:  [1]  Marco Diaferia, 1943-1945: Pontremoli, una diocesi italiana tra Toscana, Liguria ed Emilia attraverso i libri cronistorici parrocchiali, Istituto Storico della Resistenza Apuana, Pontremoli 1995, p. 203.

[2]  Don Pietro Necchi, Il rastrellamento e la strage a Pieve di Bagnone – luglio 1944, Angelinelli, Pontremoli, 1946, p. 5.

[3]  Ivi, p. 3.

[4]  Werther Bianchini, Sarzana tra fascismo e libertà, Edizioni Cinque Terre, La Spezia 2012, p. 59.

[5]  I fatti di Valmozzola (Il gruppo di Monte Barca) 13-17 marzo 1944, Istituto Storico della Resistenza, La Spezia 1974, pp. 64-67.

[6]  Luciano Casella, La Toscana nella guerra di liberazione, La Nuova Europa, Carrara 1972, pp. 99-103.

[7]  Luigi Leonardi, I ragazzi del Monte Barca, Mursia, Milano 2017, p. 91.

[8]  Ivi, p. 99.