In ricordo del dottor Enrico Giudici di Margherita Manfredi (Articolo espanso da Lerici In di gennaio 2021)

Il direttore di Lerici In Sandro Fascinelli mi ha chiesto di scrivere un articolo per ricordare la figura del dottor Enrico Giudici, recentemente scomparso. Inizialmente ho risposto che non sarei stata in grado di farlo perché, nonostante lo stimassi e mi fosse ben nota la sua validità e disponibilità come medico, la mia conoscenza era piuttosto limitata ma quasi subito ho pensato che avrei potuto intervistare il suo migliore amico, il dottor Alfonso Cavallini con cui ho un ottimo rapporto perché è stato il mio medico più apprezzato in assoluto e con cui sono in ottimi rapporti.

L’ho chiamato, visto che con questo maledetto virus non abbiamo potuto incontrarci e Alfonso  ha cominciato a raccontare.

Il primo punto che ha iniziato a trattare è stato quello dell’amicizia, partendo dalla premessa che nella vita in fatto di amici è stato molto fortunato, ha definito Enrico il suo amico più intimo.

 Erano gli anni immediatamente successivi alla guerra, forse il ’48, i due erano ragazzi, pensando a quei momenti mi dice che rivede Enrico al suo ritorno dal Collegio di Lucca dove frequentava il Liceo,  allora si scrivevano tutti i giorni e il dottore conserva ancora quelle lettere. In quegli anni cominciava a divampare il contrasto Coppi /Bartali, Enrico era per Bartali e in quelle lettere quotidiane scriveva i suggerimenti che avrebbe proposto al campione sulle strategie da seguire per le diverse tappe del giro. Poi si parla degli anni dell’Università a Pisa , “Enrico era più giovane, ma qualche anno lo passammo assieme, con noi anche il grande Mario Spagnol”.

A proposito degli anni universitari ho sentito anche Bepi Baldassari che passò con lui a Pisa il primo anno di Università, mi racconta che avevano preso in affitto una stanza presso una cantante lirica che impartiva lezioni pomeridiane ai suoi allievi, quindi,  mi dice “il pomeriggio io e Enrico studiavamo in mezzo ai gorgheggi”.

Torno al dottor Cavallini. La loro amicizia durò ininterrotta per tutta la vita, dal ‘45 in poi andarono per 28 anni in vacanza a Cortina  in settembre con mogli, figli e anche nipoti, fino a due anni fa “negli ultimi tempi a tavola eravamo in 15” mi dice. “Stesso albergo del Presidente Mattarella finché visse la moglie, lui andava in Agosto e quindi non lo incrociammo mai. Eravamo talmente uniti che l’albergatore pensava fossimo fratelli. L’Albergo Menardi, fantastico, scoperto per caso, a conduzione famigliare, facevamo quello che volevamo, come fossimo a casa nostra.

Sogna su queste vacanze meravigliose … e qui il tono di Alfonso diventa particolarmente allegro quando gli giunge inaspettatamente un ricordo delle vacanze del settembre ’85. “In quell’anno” -mi dice-“avevo subito un intervento serio, Enrico era stato sempre al mio fianco prodigandosi in ogni modo, avevo voluto andare a Cortina nonostante fossi un po’ stanco, c’era naturalmente anche Enrico. Ricevo un telefonata,  è il dottor Bini che vuole sapere come sto, io lo rassicuro e poi la mia domanda di rito, “come la va a Lerse?” Risposta di Bini:“Sémo, a son chi, a te son vegnù a trovae”. Ecco la triade dei grandi medici lericini, Bini, Cavallini, Giudici, riuniti  per una  vacanza  memorabile.

Cavallini ride pensando al fatto che lui ed Enrico dovettero trattenere Bini, che era un bel personaggio, perché voleva regalare alla nipotina una pecora, trasportandola sino a Lerici nel portabagagli.

Il secondo punto affrontato riguarda Giudici medico, Alfonso lo definisce  un cardiologo molto valido,  si infiamma quando ne parla,  dice che era una persona straordinaria con una disponibilità e una grande generosità verso chi si rivolgeva a lui, si immedesimava nei problemi degli altri e si batteva con forza e determinazione per risolverli. Non si risparmiava mai, in qualsiasi ora e in qualsiasi momento,  a questo proposito Alfonso ricorda l’aiuto che gli dette quando perse il fratello Edilio di soli 28 anni e nel momento del suo intervento nell’85 quando  Giudici mosse mari e monti per trovare la soluzione migliore, cosa che comunque faceva per chiunque gli si rivolgesse.

 Aveva un carattere fortissimo, determinato, stizzoso a tratti quando si batteva per le cose in cui credeva, non arretrava mai di fronte alle difficoltà, non temeva nessuno; Cavallini mi dice che mentre lui andava un po’ in soggezione di fronte ai grandi luminari dell’epoca, Enrico al contrario non si arrendeva chiamandoli a qualsiasi ora e giorno, festivo o non, di fronte a qualche problema di salute. A questo proposito ride dicendo che un dopo l’intervento da lui subito eseguito da Zambarda, il professore entrò nella sua camera e gli disse: “Alfonso ho sognato Enrico che nel  modo consueto di quando si arrabbia,  mi rimproverava dicendomi di tutto perché avevo sbagliato ad operarti!”

 Era “un vero medico” mi dice, scandendo bene le parole quasi a rafforzare il concetto.

L’ultimo capitolo riguarda il Giudici sportivo, un assaggio lo abbiamo già dato ricordandolo ragazzo alle prese con il giro d’Italia, ma la sua vera passione fu la pallacanestro. Cavallini ricorda che La Landini fu fondata il 5 dicembre del 1945 in canonica, Delhy Morganti fu eletto Presidente e lui stesso Vicepresidente .

La LANDINII 1965-66 campioni promozione regionale

Era uno sportivo nel senso più alto della parola, “si vince, si perde, ma si rispetta l’avversario, niente inganni, né fregature”.  Cavallini dice che anche in questo settore era di una onestà incredibile.

Nel 1949,  Enrico giovanissimo, entra nella rosa dei titolari e da questo momento inizia la sua ascesa in tutti i settori della squadra  come allenatore e giocatore. Un piccolo aneddoto preso da  “l 50 anni di pallacanestro a Lerici” ci ricorda che quando nel ‘49 Enrico aveva solo 17 anni, in una riunione del Consiglio Direttivo della Landini,  di cui fra gli altri era membro anche Mario Spagnol,  questi a causa delle difficoltà economiche e organizzative della Landini proponeva , come del resto succedeva a ogni incontro in cui lui era presente, di sciogliere la società, vendere tutto e fare una bella mangiata da Calloni.  A tale iniziativa aderiva incondizionatamente Alfonso Cavallini, mentre Enrico  manifestava tutta la sua rabbia, stizzosa e irrefrenabile. Ed ecco riemergere questo lato del suo carattere che contribuì a salvare la società e lo portò ad essere la vera anima e il motore della pallacanestro lericina. Nell’81 Enrico  lascia la Landini dopo 35 anni di attività, dopo essere stato per 10 anni giocatore, per 16 anni allenatore e per 9 Direttore Tecnico o dirigente. Sarà una gravissima perdita.

Qualche giorno fa, per conoscere qualcosa di più sulla Landini, ho sentito anche Gian Porro che coadiuvò Enrico per alcuni anni come allenatore della squadra, anche da lui ricordi, aneddoti,  amicizia e affetto infinito per Enrico, amico,  medico, sportivo.

Mi piace terminare questo ricordo su Giudici con queste sue parole che ci parlano della “sua “squadra”tratte da “I 50 anni di pallacanestro a Lerici”:

I tentativi di organizzazione, di professionalità,  di managerismo sono fortunatamente naufragati ed ogni volta ha trionfato il pressapochismo, l’improvvisazione,  la “disorganizzazione istituzionalizzata”  di Delhy.

E’ questa la LANDINI.

La Landini che ha accompagnato  la gioventù (e per molti l’intera vita) di quasi tutti noi, dei nostri figli, dei nostri nipoti. La Landini  che non ci ha fatti campioni,  ma che ci ha insegnato a vivere insieme, ad essere amici, a rispettarci,  a solidarizzare con i più sfortunati;  che ci ha insegnato a “SAPER  PERDERE”…La Landini “non è mai andata con i tempi” ed anche in questi ultimi anni nei quali i valori dominanti  sono la professionalità esasperata, l’efficientismo, il consumismo, forse per sua fortunata incapacità (o per sua forza innata)  è rimasta sé stessa.

Ma forse la Landini non è tutto questo. A me piace pensare che lo sia stata, che lo sia tuttora e che lo sarà domani.”

(L’arrticolo completo di Enrico Giudici)

Grazie Enrico e buon viaggio!

Margherita Manfredi