da Le memorie di guerra di Luigi Musetti
(da Lerici In di luglio 2023)
Si era nel 1944. L’Italia, l’8 settembre del ’43, aveva firmato l’armistizio con le Forze Alleate e i tedeschi, prima nostri alleati, avevano invaso il Nord e il Centro della Penisola imponendo le loro leggi di occupazione. A Lerici avevano installato un comando presso l’allora Hotel Ristorante Italia e in breve avevano deciso di costruire una grande casamatta con un cannone rivolto verso il mare.
La casamatta era stata costruita proprio dove ora è installata la veranda del ristorante La Calata. Non si capisce bene se la decisione di far saltare le case del Molo fosse per dar modo al cannone di puntare, in caso di eventuale sbarco, sulla banchina o per fare terra bruciata, sempre in caso di eventuale sbarco, formando lungo il litorale un cumulo di macerie. Oppure si trattò di un semplice atto di intimidazione terroristica.
Ad ogni modo, a noi che abitavamo in quelle case diedero fra i tre e i cinque giorni di tempo per sgomberarle. Il disagio fu immenso. Nella mia famiglia eravamo in nove fra nostro padre, nostra madre, noi figli, la nonna e gli zii; io avevo tredici anni, mio fratello Angelo sette e mia sorella Fortuna (detta Tuni) solo due mesi. Ci siamo dati tutti da fare cercando di sistemare le cose più importanti presso alcuni parenti, un po’ qua e un po’ là. Piatti, tazzine ed altre terraglie le abbiamo sistemate dentro a una botte, nel fondo, e incredibilmente tutte queste stoviglie sono state recuperate sotto le macerie. Quasi tutti i mobili sono rimasti invece in casa e sono andati distrutti.
Noi ci siamo rifugiati in campagna, in una piccola stalla e in un fienile di quattro metri per quattro. Abbiamo messo fuori dall’ovile le due pecore e siamo entrati noi. Nove persone in quei due minimi spazi. Questo è durato per una quindicina di giorni; poi una donna che veniva ad aiutare in campagna, vista la nostra situazione con mia madre e una bambina di due mesi, ci diede a casa sua la camera di sua figlia, spostando quest’ultima a dormire in cucina.
Mio padre e mia madre, con il fratellino e la sorellina, si sono sistemati in quella camera e, a questo punto, noi che siamo rimasti nella stalla ci siamo ritrovati in una situazione più leggera. Per cucinare avevamo fabbricato una piccola tettoia aperta e l’abbiamo usata per tutto l’inverno.
Il giorno in cui sono state fatte saltare le case del Molo (foto prima dello scoppio: le case esplose sono sotto il castello) era il 28 settembre del ’44 (n.d.r. Là vicino, mentre saltava tutto, nasceva Silvano Solari attuale titolare del ristorante La Calata).
Lo avevamo intuito da un movimento insolito nella piazza il giorno prima. Così, al mattino, ero andato con mia zia Mariuccia dal Guercio, dove eravamo alloggiati, sino alla Bellavista, da dove si poteva vedere –anche se non troppo bene- cosa stava succedendo sulla Calata. C’era un gran movimento di soldati, con carretti che trasportavano bidoni e li sistemavano dentro ai portoni e nei fondi delle case. Erano tutte cariche di dinamite. Ad un certo orario cominciarono le esplosioni, una dopo l’altra, e si levò una grande nube di fumo e polvere.
Quando la nube si fu diradata, ci accorgemmo che qualche muro non era crollato e, in special modo, la casa dove abitava mia zia, detta La Torre, era ancora in piedi. I tedeschi allora tornarono con nuove cariche e finirono di abbattere i muri che avevano resistito. Mia zia mi guardo, mi abbracciò piangendo e disse: «Laggiù sono sepolti tutti i nostri ricordi», cioè quelli della sua vita e della mia fanciullezza. (segue)
Luigi Musetti
(da Lerici in di agosto 2023)
Lo scoppio del campo minato sul lungomare
Era di prima mattina con in corso un allarme aereo e tutti noi, che abitavamo sulla Calata e al Molo, ci eravamo affrettati come di consueto nella galleria rifugio sotto il Castello. Noi ragazzi con anche alcuni uomini siamo rimasti fuori, all’imbocco della galleria, sebbene fosse una cosa che non si sarebbe dovuta fare.
Però si sapeva per esperienza che, finché non si fosse sentita sparare la contraerea, si poteva anche rimanere lì.
Quella mattina però tutto ad un tratto, senza sentire nessun colpo di batteria o frastuono d’aereo (quando arrivavano le fortezze volanti, il rombo dei motori si sentiva da lontano), si è udita una grande esplosione e s’è vista una colonna di fuoco e fumo accompagnata da un susseguirsi di altri scoppi, come se fosse stato un aereo a sganciare decine di bombe.
Ci precipitammo tutti al- l’ingresso, non sapendo cosa stesse succedendo. Cessato l’allarme aereo, ci siamo resi conto dell’accaduto: era saltato tutto il campo minato che i tedeschi avevano messo sul lungomare.
Poi nel pomeriggio se ne è conosciuta la causa: un uomo, che non era lericino, non sapendo del campo minato (anche se questo era segnalato da tre giri di filo spinato e da cartelli con su scritto “Achtung minen”), vi era entrato ugualmente, forse per riuscire a imbarcarsi sul vaporetto in partenza, e ne aveva percorso anche un bel tratto, prima di incappare in una mina e saltare in aria.
Probabilmente tutte le mine erano collegate fra di loro per cui è esploso l’intero campo. Oltre ad essere distrutto tutto il litorale, ci sono stati molti danni alle case di Tragià, fortunatamente senza vittime all’infuori di quella persona.
Stavolta l’allarme era stato provvidenziale. C’è da aggiungere che avrebbe potuto succedere una cosa ancora peggiore, se non fosse stato ritrovato il corpo della persona che aveva causato lo scoppio: i tedeschi avrebbero potuto pensare ad un sabotaggio, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
L’unica bomba caduta su Lerici
Durante un bombardamento sulla Spezia, un aereo alleato sganciò una bomba anche su Lerici che colpì le abitazioni adiacenti all’allora Hotel delle Palme. In questa circostanza morì un mio amico, Elia Rossi. Anche in questo caso non se ne capì il perché, in quanto nelle vicinanze non c’erano obiettivi militari. Si trattò probabilmente di un semplice errore. (segue)
Luigi Musetti
(da Lerici in di settembre 2023)
Il danneggiamento del vaporetto Unione Operaia
L’Unione Operaia era la società di navigazione che garantiva il servizio di trasporto passeggeri e merci fra Lerici e la Spezia e di cui usufruivano quotidianamente gli operai della Pertusola, del Muggiano e del-l’Arsenale Militare. Nella notte c’era stato un bombardamento aereo sulla Spezia e varie mine subacquee erano state sganciate dagli aerei alleati in mare, al di dentro della diga foranea del porto. Una di queste cariche esplosive colpì il vaporetto Unione Operaia.
Se ricordo bene, non vi furono vittime, ma solo feriti e, fra questi, il comandante del battello. Trattandosi di ordigni di piccole dimensioni, a guerra conclusa il vaporetto fu recuperato e riprese il suo regolare servizio ancora per lungo tempo. Ed è stato proprio sull’Unione Operaia Iì dove io ho staccato il libretto di navigazione che dava adito all’iscrizione tra la gente di mare.
Lerici come base della X MAS
Nel periodo di guerra fino all’armistizio dell’8 Settembre, Lerici fu la base della X Flottiglia MAS. Una parte del molo, partendo dopo l’imbocco della galleria, fu chiusa da una cancellata con garitta e guardia armata all’ingresso. Tutta questa area fu preclusa al pubblico.
I MAS erano unità motosiluranti leggere e veloci con questi armamenti: una mitragliatrice, due siluri e bombe di profondità; non erano però troppo efficaci perché il loro campo di azione era molto limitato. Gli equipaggi erano in parte costituiti da giovani marinai di leva che presto si erano integrati con la popolazione.
Per noi ragazzi sono state forse le prime sigarette fumate quelle che ci venivano passate da loro, le famose MILIT che noi traducevamo “M…. italiana lavorata in tubetti”. I marinai della X ce ne davano una in cambio di piccoli favori come, per esempio, portare un bigliettino per l’appuntamento con la propria ragazza.
Finita la guerra quasi tutti questi militari sono diventati lericini di fatto sposando le ragazze con le quali si erano fidanzati durante il periodo in cui la loro base è rimasta a Lerici. Sono stati tutti ottimi padri di famiglia e con due di essi sono rimasto in amicizia fino alla loro morte.
Gli ultimi giorni di guerra
Ricordo bene quel pomeriggio al Guercio: stavo facendo i compiti nella cameretta che i nostri conoscenti avevano dato ai miei genitori, quando tutto ad un tratto sentii un fischio seguìto da un grande scoppio. Andai subito alla porta e vidi una colonna di fumo sul monte di fronte alla casa. In quel momento mi stavo domandando cosa potesse essere successo, dato che in quel posto non c’era alcun campo minato né si sentivano rumori di aerei che avrebbero potuto sganciare qualche ordigno. Stavo valutando in cosa potesse consistere quella esplosione, quando si sentì un altro sibilo seguito da un’altra esplosione, che questa volta colpì la prima casa che si incontra venendo giù da Bellavista.
Sapendo che il fronte era ormai vicino, capii che erano cannonate sparate dalle artiglierie alleate che stavano avanzando. Chiusi in fretta la porta e scappai giù verso la campagna dove c’erano mia nonna, mia madre e mia zia. Quando giunsi dove attualmente c’è l’autofficina Tronconi, sentii un altro sibilo e uno scoppio ancora più vicino. Mi voltai e vidi che era stata colpita la casa adiacente al posto dove mi trovavo io e precisamente dove c’era l’osteria “Bei mi’ tempi”. Arrivai giù in campagna con il cuore in gola e trovai mia nonna, mia madre e mia zia spaventatissime perché non capivano cosa stesse succedendo. Allora io cercai di spiegarglielo, facendole entrare nella stalla, che era un luogo sicuro essendo del tutto interrata, perché anticamente era una piccola fornace per la calce.
Il cannoneggiamento durò fino a tarda sera, poi improvvisamente cessò. Però si sentì sparare per tutta la notte e il giorno dopo. La terza notte fu più calma e il mattino presto si sono subito sentite urla di gioia. Gente che gridava: «La guerra è finita! I tedeschi sono in ritirata. Le truppe alleate stanno attraversando il ponte sul fiume Magra». E così tutti, anche io e i miei amici, eravamo corsi al fiume per salutare gli americani.
I proiettili che avevano colpito le case del Guercio avevano fatto tre vittime: due bambine e una donna anziana disabile. Una di queste due bambine, Eliana, l’avevo vista poco prima giocare lì fuori di casa e, prima che quel maledetto proiettile colpisse la casa accanto, le avevo anche gridato di andare dentro. Questa bambina, colpita all’inguine da una scheggia, stava perdendo molto sangue. I genitori cercarono di tamponarla alla bell’e meglio e l’adagiarono su una carretta per portarla all’ospedale. Purtroppo fu tutto vano e la ragazzina morì durante il trasporto. Aveva l’età di mio fratello e di giorno giocavano assieme. Questo fatto mi è rimasto impresso nella mente e nel cuore per tutta la vita. Era una bimba sempre in movimento e il destino in un attimo, proprio alla fine della guerra, se l’era portata via. (fine)
Luigi Musetti