(da Lerici in di febbraio 2024)
Il racconto del naufragio del transatlantico Principessa Mafalda, denominato anche il “Titanic Italiano”, è legato in modo enigmatico anche a vicende di personaggi famosi che avrebbero potuto avere diversa sorte.
Primo fra tutti Papa Francesco, il cui padre Mario Bergoglio aveva acquistato il biglietto come emigrante di 3ª classe per il viaggio di dicembre 1927 nel quale il Principessa Mafalda affondò.
Sembra che all’ultimo momento, per la ritardata conclusione della vendita di un suo restante pezzo di terreno, dovette optare per il viaggio successivo di gennaio 1928 con la nave Giulio Cesare, sbarcando a Buenos Aires il 15 febbraio 1928, dove poi conobbe la sua sposa Regina Maria Sivori. Cosa sarebbe accaduto se fosse partito? Sarebbe probabilmente morto, in quanto la maggior parte delle vittime furono tra i passeggeri di 3ª classe. In tal caso la storia della Chiesa sarebbe stata diversa.
Ruggero Bauli, che doveva aprire la sua industria in Argentina, la sera del 25 ottobre 1927 era a poppa della nave e nel vedere sfilarsi l’elica sinistra con l’intero albero, pur non sapendo nuotare, indossò il salvagente e si buttò a mare. Le onde lunghe lo condussero vicino ad una nave che giungeva per il soccorso e che aveva calato le reti sulla fiancata per consentire ai naufraghi di salire a bordo. Un’ondata lo spinse sulla rete rimanendovi incastrato con una gamba. Lui si salvò ma le apparecchiature di panificazione, portate al suo seguito, affondarono con la nave. Dopo alcuni anni in Argentina senza risultati, fece ritorno in Italia ed aprì la sua attività a Verona diventando il re del Pandoro.
Esistono anche legami importanti del Mafalda con il transatlantico REX:
La regina Elena del Montenegro fu la madrina del Mafalda nel 1908, e poi del REX nel 1931 presenziando ad entrambi i vari.
Francesco Tarabotto trascorse circa sei anni sulla Principessa Mafalda, come 1° ufficiale di coperta sulla rotta Genova New York dal 1909 al 1912 e come comandante sulla rotta Genova Buenos Aires dal 1922 al 1925 (prospetto di sopra). Il comandante Simone Gulì che gli successe (scampato a due affondamenti: non c’è due senza tre!) perì nel naufragio assieme al macchinista Silvio Scarabicchi di Sampierdarena che fece l’impossibile per tenere a galla la nave.
Tarabotto nel 1927 comandava il Duilio con rotta per New York e a dicembre 1927 comandava l’Augustus sulla rotta del Sud America da cui arrivò al REX il 26-09-1932.
Prima di raccontare della storia del principessa Mafalda è opportuno dire della prematura fine del transatlantico gemello Principessa Jolanda, varato il 27 settembre 1907 nel cantiere genovese di Riva Trigoso (foto sopra).
Allestito senza zavorra ma con le macchine e con gli interni pronti per poter entrare in servizio subito dopo il varo, appena arrivato in mare, a causa dell’errata distribuzione dei pesi si inclinò subito sul fianco sinistro e, poiché gli oblò erano aperti, si capovolse ed affondò, senza possibilità di recupero, di fronte al bacino e al pubblico che assisteva sconcertato al varo.
Nonostante questo nefasto precedente il gemello Principessa Mafalda, con caratteristiche identiche e progettato dall’ing. Rocco Piaggio per la compagnia genovese Lloyd Italiano, fu costruito negli stessi cantieri della Esercizio Bacini di Riva Trigoso e fu varato (zavorrato e senza sovrastrutture superiori) il 22 ottobre 1908, con madrina Elena di Savoia regina d’Italia che sarà poi madrina anche del REX.
Entrò in servizio per il Sud America il 20 marzo 1909. L’allestimento era di gran lusso e per la prima volta nella storia della navigazione, aveva il salone delle feste e vari altri ambienti estesi in verticale su due ponti, riccamente decorati e arredati dallo Studio Ducrot.
Fu tra i primi transatlantici ad essere dotato di illuminazione elettrica, telegrafo Marconi senza fili e telefono in ogni cabina di prima classe.
Con 9.210 Ton di stazza (nella pubblicità fu però dichiarato di 10.000 Ton) era lungo 146 metri, largo 16,8 metri, pescaggio 8 metri, dotato di due macchine a vapore a quadruplice espansione da 10.500 CV con due eliche e raggiungeva la velocità di 18 nodi. Poteva ospitare 1.580 passeggeri (180 in Prima Classe, 150 Seconda Classe, 950 Terza Classe) e 300 persone di equipaggio.
lI primo servizio fu da Genova a Buenos Aires, con scalo a Rio de Janeiro e Santos, e per svariati anni fu la miglior nave su quella rotta, ospitando personaggi illustri come Arturo Toscanini, Luigi Pirandello, Emilio Gadda, Guglielmo Marconi, Carlos Gardel e Tatiana Pavlova e perfino la squadra di calcio del Genoa.
Dal 1914 fu utilizzato per il servizio da Genova a New York, l’unica su quella rotta. L’anno successivo fu requisito dalla Regia Marina per diventare alloggio ufficiali a Taranto, durante tutto il periodo della prima guerra mondiale. Nel 1918, con l’assorbimento del Lloyd Italiano nella Navigazione generale Italiana, il Principessa Mafalda divenne la nave ammiraglia della flotta e riprese il servizio sulla rotta Genova New York sino al 1922, quando fu completato il transatlantico Giulio Cesare che lo sostituì.
Nel 1927 la nave, prima dello smantellamento programmato nel dicembre 1927, dopo anni di usura e scarsa manutenzione, fu richiamata in servizio per un ultimo viaggio in Sud America. Partì da Genova l’11 ottobre 1927 al comando di Simone Gulì, esperto comandante siciliano, con a bordo 1.273 persone tra cui emigranti siriani e soprattutto numerosi emigranti piemontesi, liguri e veneti tra cui il pasticciere Ruggero Bauli con speciali attrezzature per la panificazione.
A causa di un guasto alle macchine la nave ritardò la partenza di cinque ore. I problemi si ripresentarono con otto fermate prima di Barcellona, ove rimase un giorno per riparare un aspiratore.
Prima di giungere a Gibilterra, si guastò il motore di sinistra e si dovette procedere con solo quello di destra. Usciti dal Mediterraneo entrambi i motori erano guasti e rimase per sei ore alla deriva.
Il motore di sinistra venne riparato e ripartì a velocità ridotta, con tappa non prevista a Dakar per problemi all’asse dell’elica sinistra. Altra tappa a Sao Vicente di ventiquattro ore per riparazione alle celle frigorifere che avevano fatto deperire gli alimenti e creato principi di intossicazione a bordo, rifornendosi di suini e buoi vivi per il resto del viaggio.
La navigazione procedette con relativa tranquillità, con molte vibrazioni e problemi al motore di sinistra. Il comandante chiese alla compagnia l’invio di un altro transatlantico per spostare i passeggeri, ma venne obbligato a proseguire il viaggio sino a Rio de Janeiro.
Il 25 ottobre la nave procedeva a 13 nodi, molto inclinata sulla sinistra. Alle 17,10 a circa 80 miglia dalla costa brasiliana, una forte scossa impaurì i passeggeri che uscirono sui ponti. Il direttore di macchina Silvio Scarabicchi di Sampierdarena avvisò che si era completamente sfilato l’asse dell’elica di sinistra, che girando aveva squarciato lo scafo a poppa, le macchine erano allagate e si sarebbe presto allagata anche la stiva in quanto le porte stagne non funzionavano.
(segue)
Flavio Testi