(da Lerici In di maggio, giugno e luglio 2016)

La Nazione del 27 luglio 1956 così titolava sulla fine dell’Andrea Doria

Un documento inedito sui retroscena della prematura fine della più prestigiosa nave della flotta mercantile italiana.

Autore dell’articolo inchiesta è Flavio Testi di Genova. Suo padre Metello prese parte alla costruzione del transatlantico REX e poi vi rimase imbarcato per tutta la durata del servizio dal 1932 al 1940, come responsabile della centrale elettrica e anche come violinista di una delle orchestre.

Fin da piccolo Flavio, ascoltando la narrazione degli eventi della nave, ha maturato un grande interesse per i transatlantici tale da farne uno dei maggiori esperti della loro storia.

Il testo è stato revisionato dall’autore nel giugno 2023 con l’aggiunta di alcune conclusioni ed i link ad articoli e filmati inerenti l’argomento.

La redazione.

Profili delle due navi: in bianco stockholm, in grigio Andrea Doria

La sera del 25 luglio 1956 due navi si stavano dirigendo verso un drammatico appuntamento:

l’italiana Andrea Doria era diretta a New York dove sarebbe dovuta arrivare alle 6.00 della mattina successiva;

la svedese Stockholm che era salpata da New York alle 11.30 su una rotta che l’avrebbe condotta alla nave faro di Nantucket per poi attraversare l’Atlantico e giungere a Gotheborg in Svezia.

Alle 14.40 una fitta nebbia avvolge l’Andrea Doria, a 165 miglia dalla nave faro di Nantucket e il capitano Piero Calamai prende le precauzioni nel caso di nebbia: suono della sirena ogni 100 secondi, chiusura delle 11 porte dei compartimenti stagni, spostamento della vedetta dalla coffa all’estremo della prua. Fece ridurre anche la pressione delle 4 caldaie da 40 a 37 atm, facendo scendere la velocità da 23 a 21,8 nodi.

Nei tre anni e mezzo trascorsi dal viaggio inaugurale, la nave aveva compiuto 50 traversate e Piero Calamai ne era stato l’unico comandante. La sua carriera era irreprensibile e l’unico difetto che gli si poteva rimproverare era l’eccessiva indulgenza nei confronti dell’equipaggio.

Alla fine della traversata del luglio 1956, a causa di una tempesta, la nave aveva un’ora di ritardo rispetto all’arrivo previsto. I 1.134 passeggeri a bordo si auguravano di arrivare puntuali a destinazione, come a Genova i dirigenti della Italian Line. La mattina successiva infatti 200 scaricatori sarebbero stati al pier 58 di New York per scaricare 401 ton. di merce, nove automobili, 552 bagagli e 1.754 sacchi di posta. Fosse o meno arrivata la nave, gli uomini andavano pagati. Inoltre il transatlantico costava enormemente come combustibile e, ogni ora in mare, consumava dalle 10 alle 11 ton. di nafta.

Così stando le cose, Calamai era deciso a tentare la sorte: per due volte la nebbia si alzò per qualche minuto, per cui tornò in cabina per stendere alcuni documenti e vestirsi più pesante perché cominciava a far freddo. Quando la nebbia si infittì di nuovo ordinò che la sua cena fosse servita sul ponte e alle 20.30 iniziò una veglia che sarebbe durata tutta la notte.

Alla stessa ora il giovane ufficiale Johan-Ernst Carstens-Johannsen iniziava il suo turno di guardia sullo Stockholm che si stava dirigendo verso la nave faro di Nantucket. Il comandante Gunnar Nordenson, che aveva trascorso 45 dei suoi 63 anni in mare, era nella sua cabina. Vietava ai suoi ufficiali di fumare e bere caffè mentre erano sul ponte di comando per non distrarsi, ed era proibita ogni conversazione che non riguardasse argomenti di servizio durante le guardie.

Quando Carstens iniziò il turno di guardia il cielo era nuvoloso e quindi passava da una parte all’altra del ponte per controllare le luci di navigazione: due luci bianche in testa all’albero, visibili sino a 5 miglia e una luce verde sul fianco destro e una rossa sul fianco sinistro, entrambe visibili sino a due miglia (vedi disegno sotto).

Grazie alle luci di navigazione regolamentari una nave, oltre a segnalare la propria presenza, indicava anche la propria rotta.

Sullo Stockholm una vedetta era di guardia in coffa e il radar era regolato con la portata di 15 miglia e non appariva nulla sullo schermo.

Alle 21.00 circa il comandante Nordenson apparve sul ponte di comando per dire di essere avvisato appena fosse stata avvistata la nave faro di Nantucket, ancora lontana 40 miglia. Era sua abitudine non andare a dormire finché non fosse stata superata e aver modificato la rotta per attraversare l’Atlantico.

Alle 22.20 il primo ufficiale dell’Andrea Doria, Curzio Franchini che contollava il radar, chiamò il comandante Calamai per dire che stavano passando la nave faro di Nantucket a un miglio, invisibile per la nebbia, e il comandante diede l’ordine di mettere la rotta su 268, verso Ovest, che l’avrebbe condotta in porto.

Venti minuti dopo aver oltrepassato la nave faro, Franchini notò sullo schermo un minuscolo puntino luminoso. Pensò che fosse una nave che sarebbe stata raggiunta, poi capì che era una nave che veniva verso di loro e avvertì Calamai. La nave si trovava a 17 miglia e a 4° di prua, a dritta.

Franchini ne seguì gli spostamenti applicando un empirico metodo di rilevamento: se l’angolo tendeva ad aumentare, le navi sarebbero passate sicuramente lontane tra di loro. Franchini rilevava che l’angolo aumentava e Calamai pensava che la nave sconosciuta fosse un peschereccio che stava dirigendosi all’isola di Nantucket, pur sapendo che le regole per prevenire gli abbordi in mare specificano che quando due navi con la stessa rotta stanno per incontrarsi, ognuna di esse deve accostare a dritta, in modo da passare sulla sinistra dell’altra.

Calamai, sempre convinto che si trattasse di un peschereccio, preferiva accostare a sinistra, verso il mare aperto, invece che a dritta verso la terraferma e i bassi fondali, ed era convinto che le navi si incrociassero mostrando il fanale verde, cioè sulla destra.

Verso le 22.50 un puntino luminoso apparve sullo schermo Radar dello Stockholm, indicando una nave lontana 12 miglia, e poi a 10 miglia. Carstens rilevò che il puntino era a 2° di prua a sinistra.

Alle 23.00 la nave sconosciuta era a 6 miglia e a 4° di prua a sinistra e Carstrens tracciò una linea tra i due punti concludendo che, come da regolamento, l’altra nave sarebbe passata a una distanza da mezzo miglio a un miglio, ma pensò di poterla avvistare molto prima che si incrociassero.

Alle 23.03 lo schermo Radar indicò che la nave era solo a 4 miglia di distanza e Castrens, non scorgendone le luci pensò che non funzionassero o che si trattasse di una nave militare americana in esercitazione, con le luci spente. Ignorava che una fitta nebbia si era levata poche miglia davanti allo Stockholm, altrimenti ne avrebbe informato subito il comandante Nordenson, che stava scrivendo l’annotazione “tempo bellissimo e non freddo, una leggera nebbia all’orizzonte. Ore 11.31 partenza da New York. È magnifico allontanarsi dal caldo di New York”.

Alle 23.06 la vedetta dello Stockholm segnalò: “Luci sulla sinistra”, mentre sullo schermo Radar il puntino luminoso era a meno di 2 miglia. Poiché era ordine perentorio del comandante Nordenson di non lasciare che una nave si avvicinasse allo Stockholm a meno di un miglio, Casterns diede ordine di accostare 20° a dritta per aumentare il più possibile il margine di sicurezza.

Sull’Andrea Doria lo Stockholm venne avvistato nel momento in cui cominciò ad accostare a dritta: “Sta accostando, ci mostra il rosso, ci sta venendo addosso!” disse un ufficiale. Il comandante Calamai non credeva ai propri occhi: “Tutto a sinistra!” urlò al timoniere.

In quello stesso momento Carstens rimase altrettanto sconvolto: il puntino che aveva visto sullo schermo era una nave nera e gigantesca che incredibilmente era davanti al-la prua dello Stockholm e mostrava la luce verde. Si precipitò al telegrafo di macchina ed ordinò “indietro tutta” mentre ingiunse al timoniere “tutto a dritta”.

Erano le 23.09 e, malgrado l’immensità dell’oceano, due navi si trovavano nello stesso punto e nello stesso momento. La prua dello Stockholm, composta da due strati di acciaio spessi due cm e separati da un intercapedine di 61 cm, si conficcò nel fianco destro dell’Andrea Doria come una lama e l’urto dell’acciaio contro l’acciaio provocò nella notte una pioggia di scintille.

Mezzo accecato dal bagliore Castrens premette il pulsante che faceva scattare la chiusura delle porte dei compartimenti stagni. La punta dello Stockholm era penetrata per quasi 9 metri, un terzo della larghezza del transatlantico italiano.

Lo squarcio, a forma di triangolo, partiva da sotto il ponte di comando e si estendeva sino ai doppi fondi della nave, allargandosi dal basso verso l’alto, ove raggiungeva i 12 metri. Dopo qualche secondo l’Andrea Doria, le cui macchine erano ancora al massimo, trascinò via quel che restava della prua dello Stockholm.

Non appena il comandante Calamai vide lo Stockholm sparire di poppa si precipitò a dare l’ordine di fermare le macchine e disse a Franchini di controllare che le porte a tenuta stagna fossero chiuse.

L’indicatore d’assetto segnalò subito un’inclinazione di 18°, poi l’ago andò rapidamente a 19° e poi subito a 20°. La turbina di dritta era fuori uso, ma il danno fatale era stato inferto al compartimento a proravia dei generatori elettrici, che conteneva 10 serbatoi della nafta per una capacità di 1000 tn, quasi vuoti (non riempiti da acqua di mare) perché la traversata volgeva alla fine, mentre dal lato opposto i serbatoi vuoti ma pieni d’aria, tendevano a sollevarla.

L’Andrea Doria era divisa in 11 compartimenti stagni le cui paratie si estendevano dal doppio fondo fino all’altezza del ponte A. Se lo sbandamento non avesse superato i 15° le paratie stagne avrebbero potuto contenere l’acqua. Ma con 20° di inclinazione l’acqua sarebbe passata da un compartimento all’altro e tutte le scialuppe del lato sinistro sarebbero state inutilizzabili per l’impossibilità di calarle a mare.

L’Andrea Doria era condannata, esattamente come lo fu il Titanic 44 anni prima.

Alle 23.22 l’Andrea Doria e lo Stockholm lanciarono entrambi segnali di richiesta di aiuto, che furono captati da una nave guardiacoste, che a sua volta diramò il messaggio. Soltanto a quel momento le due navi vennero a conoscenza l’una del nome dell’altra.

Alle 23.54 Raoul de Beaudèan, comandante dell’Ile de France che si trovava a 44 miglia dal luogo della collisione inviò un messaggio via radio “Comandante Andrea Doria sto venendo in vostro soccorso. Aspetto segnalazione vostra posizione per le 1.35. State affondando? Di che aiuti necessitate?”

Intanto l’Andrea Doria, dopo aver descritto un cerchio irregolare, dovuto al fatto di aver mantenuto in funzione l’elica sinistra per oltre un minuto, aveva iniziato ad andare alla deriva lentamente verso la prua distrutta dello Stockholm.

Andrea Doria
Stockholm

Il comandante Nordenson diede ordine di mettere le macchine indietro tutta e gridò al timoniere di accostare a dritta. Gli ordini furono eseguiti, le macchine girarono alla massima potenza, ma non accadde nulla: il pozzo delle catene situato a prua della paratia che aveva subito l’urto, era stato sventrato e le due catene dell’ancora si erano svolte nei loro 213 m di lunghezza ed erano finite a 75 m di profondità.

Lo Stockholm era immobilizzato e l’Andrea Doria passò senza controllo a circa un centinaio di metri dalla nave svedese, rischiando d’essere speronato a sua volta. Nordenson fece il bilancio dei danni: la paratia che aveva subito la collisione teneva, ma la stiva faceva acqua e lo Stockholm affondava di prua, quindi il comandante diede ordine di svuotare i serbatoi di acqua potabile situati a prua e quando le pompe aspirarono 90 tn d’acqua la nave si risollevò e la pressione del mare sulla seconda paratia stagna diminuì.

Alle 0.15 lo Stockholm ricevette un messaggio dall’Andrea Doria: “Siete ad 1 miglio da noi. Se possibile venite immediatamente a raccogliere i nostri passeggeri”. Nordenson rispose: “Se potete mettere le lance in mare potremo raccogliere i passeggeri”. Calamai replicò: “Impossibile. Siamo troppo sbandati: Preghiamo inviare subito lance”. Nordenson promise che le lance sarebbero arrivate in 40 minuti.

Alle 0.30 l’Andrea Doria aveva raggiunto uno sbandamento di 26° e gli uomini dell’equipaggio armeggiarono intorno alle gru delle imbarcazioni riuscendo ad ammainare tre lance, ognuna delle quali poteva contenere 140 persone. Verso le 0.45 una vedetta dello Stockholm vide arrivare le tre lance: erano mezze vuote e la maggior parte degli occupanti erano uomini membri dell’equipaggio e molti avevano la giacca da steward.

Nel frattempo il cargo Cape Ann della United Fruit Company e la nave da guerra americana William H. Thomas chiesero alla nave italiana di lanciare razzi di segnalazione per individuarla nella nebbia.

Verso le 1.20 le lance inviate dallo Stockholm cominciarono ad accostarsi all’Andrea Doria. “Mantenete la calma, mantenete la calma”, nonostante le esortazioni diffuse dagli altoparlanti della nave italiana, alcuni passeggeri con indosso i giubbotti di salvataggio arancione si buttarono in acqua e alcuni bambini furono lanciati dai parapetti e raccolti a stento dai marinai svedesi che avevano teso delle coperte.

L’Ile de France arrivò sul posto alle 2.00, accostando a circa 300 metri lungo il fianco che si inabissava e creando un area di mare abbastanza calmo per consentire alle sue 11 lance di salvataggio ed a 120 marinai vogatori di fare la spola per recuperare le persone dell’Andrea Doria; inoltre le sue luci tutte accese e i fari che illuminavano la fiancata del Doria rincuorarono subito i superstiti.

Andrea Doria a sinistra e Ile de France a destra

Essendo il Cape Ann e il Thomas già sul posto erano adesso disponibili 25 lance per evacuare i naufraghi della nave italiana, che disponeva solo di quattro sue scialuppe efficienti per le 1.706 persone a bordo.

Alle 5.00 a bordo del transatlantico restava soltanto il comandante Calamai con 11 volontari. La nave aveva adesso uno sbandamento di 40° e alle 5.30 fu abbandonata.

Alle 6.05 l’Ile de France le girò intorno issando e ammarando tre volte la bandiera in segno di saluto ed addio. Poi ripartì per New York con 753 naufraghi. Con questo intervento risolutivo di salvataggio, il comandante francese Raoul De Beaudean, ha evitato una tragedia simile a quella del Titanic.

L’Ile de France, anche per altri precedenti fortunosi salvataggi in Atlantico, fu conferito dal Presidente francese il titolo “San Bernardo dei mari”.

(n.d.r.: il comandante Raoul De Beaudean dell’Ile de France iniziò la carriera sui sommergibili, ottenne la medaglia al merito marittimo di 1 classe  in Francia e l’onorificenza a New York per il salvataggio dell’Andrea Doria).

Comandante Raoul De Beaudean

Alle 7.30 il passeggero di terza classe Robert Hudson, abbandonato a bordo e formalmente l’unico proprietario della nave dopo lo sbarco del comandante e degli ufficiali due ore prima, viene salvato dalla scialuppa della petroliera Robert Hopkins, che giunta per ultima inviò comunque una sua lancia a circumnavigare il relitto per verifica.

Alle 9.45 l’Andrea Doria si piegò su un fianco e poco dopo le 10.00 la prua si abbassò e la poppa si sollevò scoprendo il timone e le due eliche. Alle 10.09 scomparve nel mare.

Delle 1706 persone tra passeggeri e uomini di equipaggio 1660 si salvarono: 41 morirono al momento della collisione e 3 successivamente. Sullo Stockholm ci furono 5 decessi: 3 marinai scomparsi senza lasciare traccia, probabilmente trascinati in mare dalle pesanti catene delle ancore e altri 2 in seguito alle ferite.

Il comandante Nordenson non riuscendo a svincolarsi dall’ancoraggio, dopo aver fatto più volte avanti e indietro, dovette far tagliare le catene.

Furono svolte numerose inchieste ma nessuna permise di stabilire con certezza quale delle due navi fosse responsabile dell’accaduto. Il governo svedese sostenne che lo Stockholm non poteva essere incolpato, mentre la compagnia italiana non rese mai pubbliche le testimonianze del personale e le sue conclusioni.

La questione si risolse in via amichevole: la Italia Navigazione ricevette 16 milioni di dollari per il naufragio dell’Andrea Doria, mentre alla Swedish American Line andarono due milioni di dollari per la nuova prua dello Stockholm, più un milione di danni del mancato guadagno per il periodo della riparazione. Ai passeggeri e per le merci furono destinati 6 milioni di dollari.

Il comandante Nordenson fu chiamato a prestare servizio sulla nuova nave Gripsholm (costruita dai Cantieri Ansaldo a Genova e consegnata l’anno dopo), mentre il comandante Calamai non navigò più perché durante i mesi dell’inchiesta raggiunse i 60 anni, limite massimo di servizio a bordo della soc. Italia (per la Svedish Line, il limite era di 65 anni).

Colpe Andrea Doria

Andava troppo veloce nella nebbia (21,8 Nodi erano comunque eccessivi nella nebbia). Con i serbatoi di carburante vuoti, navigava alta sull’acqua. Precedenti problemi di stabilità della nave emersero già nel viaggio inaugurale, quando per una tempesta vicino alle coste USA la nave si inclinò di 25° e non ritornava dritta, arrivando con passeggeri infuriati a New York. Occorreva da subito verificare meglio con il costruttore il baricentro e l’altezza metacentrica in base ai carichi trasportati.

Mancava la tracciatura della rotta della nave in avvicinamento, rilevata dal radar da parte degli ufficiali, non obbligati all’epoca a plottare le rotte dei rilevamenti, come dalle istruzioni dei costruttori dei Radar. L’Andrea Doria usava 2 Radar di produttori differenti (Decca e Raytheon) con l’inevitabile problema di calibrarli in modo univoco.

La virata di Calamai a sinistra, qualche attimo prima della collisione, violava la regola per cui per attenuare al massimo l’impatto, una nave deve dirigersi verso il pericolo (virare a destra). Inoltre, ciò inclinò ulteriormente la nave, che virava sulla sinistra, contribuendo ad offrire maggior superficie del lato destro alla prua dello Stockolm.

La minuta del giornale di bordo, che registra tutti gli ordini di navigazione impartiti sulla plancia, fu affidata ad un allievo ufficiale e vennero perse, mentre era una precisa responsabilità conservarla di uno degli ufficiali superiori.

Il grafico della rotta del registratore di bordo era modificato di 10° (segnava 174° invece di 164° per evitare il rumore del pennino, ma la cosa non era stata annotata nel giornale di bordo). Calamai e il primo ufficiale Franchini dichiararono inoltre rotte seguite differenti durante le loro deposizioni in USA.

Colpe dello Stockholm

Era 20 miglia più a Nord della rotta consigliata per arrivare alla nave faro di Nantucket (risparmio di tempo e carburante), rotta non vietata e comunque possibile.

Se si trovava nella nebbia, andava troppo veloce (18 nodi) e il comandante non era nella plancia. Se non si trovava nella nebbia doveva rendersi conto comunque dalle previsioni meteorologiche di essere in una zona di scarsa visibilità e adottare maggiori precauzioni.

C’era un solo ufficiale in plancia addetto sia alla rotta che a valutare il radar.

L’utilizzo di un giovane timoniere, poco preciso nel mantenere la rotta, avrebbe condotto a un percorso zigzagante di alcuni gradi e quindi andava sorvegliato attentamente in quanto l’ostacolo rilevato dal Radar avrebbe potuto saltare da sinistra a destra della prua e viceversa. .

È stato ipotizzato un errore di interpretazione della scala del radar (15 o 5 miglia) che avrebbe indotto a cambiar rotta all’ultimo momento quando le navi erano oramai troppo vicine. Cartens ha sempre smentito la cosa ed oggi sembra sia da escludere. (fine)

Flavio Testi

Conclusioni dell’autore

Molti aspetti dell’incidente sono ancora senza approfondimento o sono stati manipolati. Bisogna tralasciare preconcetti e posizioni partigiane. Con gli avanzati e sofisticati simulatori di rotta oggi disponili, disponiamo di capacità infallibili di analisi.  

Occorre  partire dai tracciati originali delle rotte delle due navi, dalle testimonianze dei comandanti e degli ufficiali di entrambe le navi all’inchiesta di New York e da alcuni appunti di ufficiali lasciati prima della loro scomparsa, tenuti riservati. I vecchi risultati di simulazione rotta dell’epoca, sono successivamente stati parzialmente smentiti ed oggi presentano perplessità.

Il migliore esempio di interpretazione “asettica” dei fatti è quella di uno dei maggiori esperti internazionali sulla navigazione, oltre che storico del Titanic ed altre famose navi: Ing. Samuel Halpern con l’analisi forense del 2008 sull’incidente.

La conclusione del suo lavoro è basata su aspetti tecnici verificati. Entrambe le navi hanno commesso errori, non sapevano usare correttamente il radar e le decisioni prese sono state tardive per evitare una collisione. Invito a visionare i documenti (in inglese con figure e schizzi facilmente interpretabili):

http://www.titanicology.com/AndreaDoria/LightsToPort-LightsToStbd.html

Penso che l’Andrea Doria non sarebbe mai affondata seppur colpita così violentemente, se non fosse stato dato l’ordine di aprire le valvole tra le taniche di destra e sinistra della nave. Le taniche sul lato sinistro, mantenute stagne e piene d’aria avrebbero comunque garantito sufficiente galleggiabilità alla nave, anche se inclinata di 90°. Sarebbe quindi stato possibile trascinare il relitto in bacino per riallestirla nel suo splendore.

Il relitto del Doria si trova a soli 75 metri di profondità, con le sovrastrutture parzialmente collassate, in una zona percorsa da forti correnti ed acqua fredda. Numerosi subacquei dal 1956 ad oggi la visitano, anche se almeno una ventina di essi hanno lasciato la vita nell’impresa.

Il relitto della britannica Republic (nave della White Star con la prima stazione radio che richiese soccorso in mare) è a due miglia, speronato il 23 gennaio 1909 dall’italiana Florida in un analogo incidente nella nebbia.

Regolamento per evitare abbordi in mare

Filmati suggeriti da YouTube