di Marco Buticchi, con intervista in video
(da Lerici In di giugno 2016)
Non so se mai vi è capitato ma, la prima volta che la vidi, scattò il classico colpo di fulmine. Arrivando dal mare, restava quasi nascosta dietro alla maestosa prora dell’ammiraglia Nave Cavour: come se avesse cercato di ridossare dalla miseria in cui versava, un’indigenza capace di cancellare un secolo di gloria.
Si appoggiava alla banchina come un anziano orgoglioso si appoggia al bastone. A testimoniare la sua stanchezza, lunghe strisce di ruggine che, lungo l’opera morta, arrivavano sino al galleggiamento. Le finestrature dei saloni recavano tracce di un incendio e le ombre delle vampe salivano sino ai ponti superiori, dove il fumaiolo ancora troneggiava come un’eroica vedetta. Era stanca, la Signora del Mare. Stanca ma non doma.
Ricordo che ne lessi il nome senza conoscere il suo passato e provai l’impulso – quasi un dovere – di documentarmi sulla sua storia appena giunto a casa.
Al colpo di fulmine seguì un innamoramento profondo, condito dal mio personale sforzo per non disperderne la Storia.
La Nave Williamsburg o, correttamente, “il’ Williamsburg” (è uso marinaro declinare al maschile le unità militari) nacque per volere di un magnate americano della cellulosa e della carta nel 1930. Allora si chiamava Aras e fu il primo yacht a superare il milione di dollari di costo. Era lungo oltre settantaquattro metri, largo undici per quasi mille e novecento tonnellate di stazza. Hugh Chrisholm, che ne commissionò la costruzione presso i cantieri Bath Iron Works nel Maine, ne andava particolarmente fiero e dotò gli interni del suo yacht di ogni lusso per l’epoca.
Poi cambiò nome e proprietario: ribattezzato Williamsburg fu incamerato nei ranghi della US Navy e, con la matricola PG 56, incominciò a battere gli scenari di guerra, armato di mitragliatrici e di cannoni. Ma il suo passato militare non fu particolarmente distintivo: la nave fu utilizzata prevalentemente come unità di comando-flotta. Fu alla fine del secondo conflitto mondiale – per l’esattezza dal 1945 al 1953 – che divenne yacht presidenziale del trentatreesimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Harry S Truman (la S si scrive proprio così, senza punti: non si tratta di un’iniziale, ma di un suono fonetico che piaceva alla mamma del futuro presidente) potrebbe apparire come un politico di basso profilo, e invece alla sua figura è legata buona parte della storia contemporanea. Truman è, infatti, il capo di stato che ordina i due bombardamenti nucleari sulle città giapponesi. Incursioni che scriveranno però la parola fine sul conflitto più sanguinoso d’ogni tempo.
È il presidente che fermamente volle il processo di Norimberga perché la Storia non presentasse conti in sospeso. Fu il politico che concepì la Guerra Fredda per fronteggiare in maniera incruenta il blocco sovietico. Harry Truman non amava la Casa Bianca – peraltro oggetto di una lunga ristrutturazione nel corso della sua presidenza – ed elesse quindi il Williamsburg a sua residenza galleggiante (Sea-going White House era soprannominato lo yacht). Buona parte del destino dell’uma-nità è stato deciso a bordo della nave, decisioni che si ripercuotono sulla nostra moderna quotidianità. Sul ponte del Williamsburg si avvicendarono tutti i potenti di un’epoca non facile e pericolosa.
Dismessa dall’impiego presidenziale, la nave fu impiegata come unità oceanografica per rivestire poi un ruolo meno glorioso come ristorante galleggiante.
Il forte sentimento patriottico statunitense ne riscoprì le nobili origini: venne creato un fondo per il suo restauro e individuato un sito all’altezza del particolare carico di lavoro: restituire alla Signora del Mare la sua perfetta forma e, di conseguenza, tutto il suo prestigio. Il Williamsburg arrivò quindi nel Golfo della Spezia, noto ovunque per l’abilità delle sue maestranze nel restauro di navi d’epoca.
Sino a qui potrebbe sembrare una fiaba a lieto fine, ma le vicende degli uomini devono sottostare altresì alle dure leggi dell’economia. Un’epidemia di malesseri finanziari colpì le istituzioni coinvolte nel restauro del Williamsburg: il fondo americano e il cantiere assegnatario della commessa furono investiti da problemi economici.
Un altro cantiere, operante in territorio lericino e leader nella costruzione di piattaforme petrolifere, acquisì la nave. Ormai il Williamsburg era poco più che un relitto galleggiante. Ma dalle sue paratie trasudava la nostra Storia.
Pareva impossibile che i novelli Creso facessero a gara per varare unità da diporto dalle dimensioni di navi da crociera, per lasciare invece una parte del nostro passato a fare alghe in banchina: uno yacht così bello, doveva avere un mercato.
Ma gli interessi verso il restauro della nave si fanno via via sempre più timidi, sino a sparire del tutto e costringere i proprietari alla demolizione “ragionata” (ovvero salvando e riponendo ordinatamente il salvabile) del relitto semiaffondato.
Nel mio piccolo, travolto dalla mia passione, ho eletto quella nave a residenza dei protagonisti dei miei romanzi e ho cercato di catalizzare gli interessi dei media sul Williamsburg. Ma tutto è risultato vano e non è servito a salvare dalla rottamazione lo yacht del trentatreesimo presidente statunitense.
Così finisce la storia di una Signora del Mare. Assieme a lei, se ne va una fetta del nostro passato. Qualcuno ha scritto che le pagine dei miei romanzi hanno comunque regalato un futuro – diverso dalla rottamazione – a quella splendida nave.
Si tratta di un’affermazione impegnativa.
Provate però a pensare quante illustri mani si sono aggrappate ai tientibene, ai sigari di Churchill fumati nel pozzetto, alle strategie discusse nei saloni e converrete che, se è vero che le navi posseggono un’anima, nessuna demolizione potrà mai cancellare quella dell’ USS Williamsburg. Ovunque tu sia adesso, incrocia mari amici, bella Signora!
Marco Buticchi