(da Lerici in di maggio 2016)

A riportare alla luce le storie nascoste o dimenticate di Lerici il laboratorio di giornalismo è aiutato, oltre che dai collaboratori, anche da tutta la scuola. Questa volta è stata la prof. Cristina Descalzi, attenta lettrice del Corriere della Sera a segnalarci “La Bala che rotolò nel mare”, una graphic novel che “inizia nell’agosto 1895 e termina nell’autunno del 1948…”, pubblicata il 13 marzo scorso. 

La baia di Lerici ci fa da titolo per introdurre la storia di un’antica famiglia lericina, quella dei Carosini, le cui origini più note partono dal garibaldino Francesco, passano attraverso Casimiro (a sinistra in un’illustrazione del nipote) per arrivare oggi a Gino.

Non vi vogliamo svelare subito tutte le vicende ma vi condurremo a tappe alla scoperta di questi fatti e personaggi restati in disparte nelle pieghe della storia. La parola quindi a Gino Carosini che ci ha concesso tutta la sua collaborazione e con il quale abbiamo concordato tre articoli:

il primo di questo mese su suo nonno Casimiro Carosini (su cui ritorneremo nel terzo articolo), nato a Lerici il 21 aprile 1874, che partecipò alla sperimentazione della “Bala”, un’antesigna-na delle moderne batisfere e del batiscafo di Picard [una curiosità: nel suo “Codice Atlantico” Leonardo da Vinci (1452-1519) descrive la prima “campa-na subacquea” dotata, oltre che della riserva d’aria, persino di una muta e di un collettore per… la pipì];

il secondo a giugno per la serie “La storia attraverso le strade” su Francesco Carosini, suo bisnonno, a cui è intitolato il vicolo Carosini;

il terzo a luglio con un racconto e la graphic novel sull’esperimento della “Bala”, inventata e “collaudata” nel Golfo dei Poeti da Pietro Corzetto-Vignot, con illustrazioni di Gino Corosini e Marco Mastroianni.

Casimiro Carosini è nato a Lerici il 21 aprile 1874 da Francesco e da Marianna Gattoronchieri.

Il padre, scappato di casa a tredici anni, emigrato in Argentina come mozzo, al rientro in Italia nel 1859 è garibaldino. Casimiro, primogenito di sette fratelli, come il padre, diviene mozzo e poi cuoco di bordo su vari piroscafi italiani, dove ha modo di formarsi politicamente abbracciando le idee socialiste. Rientrato, frequenta la locale combattiva Cooperativa dei lavoratori del mare in cui s’impratichisce dei temi sindacali e in cui fa carriera fino a divenirne presidente negli Anni ’20, da tutti chiamato “o nonno da pippa” (il nonno che fuma la pipa).

Nella zona diviene ben presto il riferimento per la nutrita schiera di “arsenalotti lericini”, centinaia di operai di Lerici che ogni giorno si recano con i battelli dell’Unione Operaia del Golfo a lavorare in Arsenale e si avvicina, pur in modo contraddittorio, alla tendenza riformista essendo la CdL spezzina, che lui frequenta, in mano agli anarchici con segretario Giuseppe Sartini.

Attivissimo e avventuroso, nell’agosto 1895, alla presenza del sindaco e di alti rappresentanti della Marina Militare e dell’Arsenale, partecipa con altri tre marinai alla 14ª immersione sperimentale durata 16 ore su un fondale di 12 metri, presso il porto di Lerici, della “sfera metidrica”, un cassone abitabile per lavori sottomarini di 5 metri di diametro e 50 tonnellate di peso, ideata dal canavese Pietro Corzetto-Vignot.

Nel 1902 si sposa una prima volta con Ida Gentile da cui ha 5 figli; rimasto vedovo nel 1913, si risposa con Marina Michela Gattoronchieri, una parente da parte di madre, che gli dà altri due figli maschi.

Militante del PSI genovese della prima ora ed entrato in contato con Pietro Chiesa, nel 1903 contribuisce con lui alla formazione dell’Unione regionale ligure delle Leghe delle Cooperative e delle Mutue e alla fondazione del quotidiano Il Lavoro, sul quale scrive per anni di problematiche sindacali dei marittimi italiani firmandosi con lo pseudonimo “Orso di mare”.

Nel marzo 1909 conosce Giuseppe Giulietti, il “mitico capitano” che opera a Genova, con il quale s’impegna nel-l’opera di unire tutto il personale marittimo “dal mozzo al comandante”. Con lui organizza nell’aprile dello stesso anno la manifestazione per la fusione delle casse invalidi dei lavoratori del mare, occasione in cui viene deciso da molte Leghe marinare (non solo liguri) il rilancio della Federazione italiana dei lavoratori del mare (FILM), nata nel 1901 ma entrata in crisi dopo l’insuccesso dell’agitazione dei marittimi del 1906. Nel luglio si forma un Consiglio generale e un Comitato centrale di tre persone, cui lui è chiamato con Giulietti e Carlo Gatti. 

Qui con un gruppo piccolo ma affiatato di compagni (Defilippi, Mezzella) e con un lavoro senza risparmio d’ energie, sotto la direzione di Giulietti rilancia l’organizzazione sindacale per una categoria molto frammentata (a parte gli equipaggi dei grandi piroscafi delle Compagnie maggiori), priva di legislazione sociale e sottoposta alla piaga del “sensalismo” (il metodo mafioso usato dagli armatori per il reclutamento del personale attraverso i sensali) e riesce a unificare i rappresentanti di circa 150.000 marittimi, dai fuochisti ai pescatori.

Per quanto riguarda il periodo “fascista” entrò ben presto in conflitto col suo “amico” Benito Mussolini. Per questa antica amicizia fu comunque dai fascisti anche rispettato, nonostante lo avessero perseguitato e costretto a subire l’umiliazione del taglio della barba a meta (barba di cui andava fierissimo) e costretto a ingollare il classico olio di ricino da cui la famosa frase, “non so stà mai purgà così ben” che sprezzantemente lo vide affrontare i suoi aguzzini.

In più, sapendo che allo stesso modo erano stati trattati suoi due compagni di partito Maffi e Modigliani, se ne uscì con la frase “e io fui terzo di cotanto senno” parafrasando il sommo poeta. In realtà era un uomo di una certa età e in sostanza i fascisti ebbero come dire un occhio di riguardo (e pare anche che lo stesso Mussolini, che come detto fu suo amico ai tempi della prima guerra mondiale, erano interventisti entrambi, abbia intercesso a suo favore).

Fu grande amico di Matteotti e questo ne faceva di lui un “nemico” quindi, per evitare pericoli a se stesso (pare pure che fosse stato vittima di un attentato a scopo intimidatorio) e alla famiglia prese, intorno al 1937 circa, di nuovo la via del mare imbarcandosi in qualità di cuoco (tra l’altro molto amato dai suoi compagni per le indubbie qualità culinarie, era quindi un uomo dalle mille risorse) su varie navi fino al 1943.

Era quindi tornato a fare il suo vecchio lavoro. Nei giorni della Liberazione tornò a lavorare con la Fondazione Italiana Lavoratori del Mare.

Finita la guerra si godette la libertà frequentando i vecchi amici del partito come Ricciotti, Leoni, Poggi con i quali il legame rimase sempre profondo di stima e amicizia e un ancora giovane Pertini. Qui un piccolo aneddoto riguardo al suo ultimo figlio Francesco (mio padre):

Casimiro nel 1949 era a passeggio col Pertini e incontrò suo figlio e contento lo presentò al prestigioso amico dicendogli tutto orgoglioso che, da lì a poco, il giovane figliolo si sarebbe iscritto al P.S.I.. Al che suo figlio gli rispose che in realtà era già iscritto al P.C.I. (era stato giovane staffetta nei partigiani della Brigata Garibaldi). Fu come uno schiaffo e solenne rispose che in ogni famiglia c’era una pecora nera e per molto tempo non gli rivolse parola. Ebbe vita lunga e morì di tumore alla laringe, frutto delle tante fumate di pipa e di sigari, il 1° settembre 1961 a Camogli dove si era ritirato nella casa di riposo Gente di Mare “G. Bettolo”.

Gino Carosini