(da Lerici in di gennaio 2023)
Per i più anziani di noi B.B. è la sigla-soprannome di Brigitte Bardot, ma per le nuove generazioni B.B. potrebbe diventare, sempre nel mondo del cinema, il sinonimo di Beatrice Buticchi.
Chi sia Bibì ai lericini non occorre certo spiegarlo, lei infatti iniziò a fare cinema alle scuole di Lerici nel film “Storia di Adriana Revere”, ma forse non tutti sanno cosa se ne stia a fare ora a Roma. Figlia d’arte (padre scrittore, madre ex indossatrice e ora anche illustratrice, per giunta con una sorella avvocata, Andrea, specializzata in diritti d’autore), Beatrice Buticchi spazia dalla recitazione teatrale a quella cinematografica, dalla regia alla fotografia e alla sceneggiatura. È appena uscito un film, Weekend per due (con delitto), una commedia striata di giallo (o un giallo screziato di rosa?) scritta e diretta da Brando Improta, che la vede nei panni della protagonista, Caterina.
Nel 2020 Beatrice compare nel cast artistico de “Il Rumore delle Immagini”, nel 2022 collabora alla sceneggiatura di “Ed È Subito Commedia” e, appunto, interpreta il personaggio principale di “Weekend per due (con delitto)” che la vede, oltre che come attrice, anche come collaboratrice per il soggetto e la sceneggiatura.
Ma qual è stato il primo film che l’ha vista fra i tre più importanti protagonisti? Come abbiamo accennato è proprio a Lerici che Beatrice ha iniziato a recitare a 13 anni, interpretando il ruolo di Emilia Eva De Benedetti, gassata ad Auschwitz assieme alla figlia Adriana, la più giovane vittima spezzina della Shoah, nel film “Storia di Adriana Revere”, girato nell’anno 2007 con la regia di Alessandro Bronzini e pre-sentato nel 2008 al Cinema teatro Astoria in occasione del Giorno della Memoria per il settantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali in Italia.
L’opera ha conseguito in quello stesso anno il premio speciale della giuria al concorso nazionale “Adriana Revere” di Torino ed è stata acquisita qualche mese fa dallo Yad VaShem di Gerusalemme, il più importate museo al mondo sullo sterminio del popolo ebraico.
Per quest’anno ha già in cantiere un altro film, The House That Stood.
Facciamole allora qualche domanda come ex-alunna della scuola media “Francesco Poggi”.
D.: Bea, quali impressioni ti sono rimaste da questa nostra esperienza scolastica? Come ti sei sentita nei panni di Emilia De Benedetti?
R.: Innanzi tutto grazie Maria Luisa (o meglio, prof!) per avermi dedicato questa intervista. Del film e di quella esperienza ho sicuramente un bellissimo ricordo, è stato senza dubbio un modo particolare e immersivo per comprendere meglio la tragedia e la follia delle deportazioni, frutto di uno studio lungo tre anni. Si dovrebbero fare più spesso dei progetti artistici del genere nelle scuole. Si possono imparare molte cose e si possono anche scoprire nuove passioni, com’è successo a me con la recitazione!
D.: Pensi che questa avventura possa aver contribuito a indirizzarti verso la laurea in beni culturali e dello spettacolo e quindi alla carriera che stai intraprendendo?
R.: è stata la prima volta in assoluto in cui ho recitato davanti a una macchina da presa, che mi sono calata nei panni di un personaggio. Quindi sicuramente ha avuto un impatto su di me e sulla mie scelte. In una piccola provincia come la nostra è difficile avere l’occasione di partecipare a progetti di questo calibro già da ragazzini e ti si possono aprire dei veri e propri mondi nuovi quando hai la possibilità di fare cose che non hai mai pensato di poter fare.
D.: Sogni, anche impossibili, nel cassetto. Con chi ti piacerebbe recitare? Da quale regista ti piacerebbe essere diretta? Se un produttore ti desse carta bianca come sceneggiatrice, regista e attrice assieme, che tipo di storia ci vorresti raccontare?
R.: Un sogno davvero impossibile da realizzare, e che mi vergogno anche un po’ a dire a voce alta, è quello di lavorare con Quentin Tarantino che è sempre stato il mio regista preferito (mi accontenterei anche solo di portargli il caffè sul set ogni mattina).
Ma non c’è necessariamente bisogno di andare oltre oceano per trovare dei talenti. Molto spesso si sottovaluta ciò che stanno producendo le nuove leve del cinema italiano.
Ci sono registi come Gabriele Mainetti, per citarne uno, con cui vorrei avere l’onore di lavorare.
Per quanto riguarda il tipo di storia da raccontare, ho una predilezione per le ricostruzioni storiche e le sceneggiature parzialmente basate su fatti e persone reali.
D.: Hai un “libro del cuore” che vorresti trasformare in film?
R.: Sarà una cosa un po’ sdolcinata, da “core de papà”, ma mi piacerebbe tantissimo adattare “Casa di mare” di mio padre. Sarò sicuramente di parte perché racconta la storia della mia famiglia, ma mentre lo leggevo mi ricordo che più di una volta ho chiamato mio padre per chiedergli: “Ma questa cosa è successa davvero?” e la risposta era sempre “sì”. È proprio quello che amo dei film basati su storie vere: quando la realtà diventa talmente incredibile da sembrare fantasia.
D.: Cosa puoi anticiparci di “The House that Stood”?
R.: The House that Stood è un progetto al quale tengo molto. Ambientato per metà negli anni ’40 e per metà negli anni ’50. Scritto e diretto da Antonella Spirito, una giovane regista molto determinata che ha raccontato la storia della sua famiglia con una delicatezza commovente. Io ho avuto l’onore di interpretare Bianca (sua nonna) negli anni ’50. La produzione era italo-inglese ed era composta da ragazzi e ragazze sotto i 30 anni, la maggior parte diplomandi della London Film School.
È stato bellissimo vedere un gruppo di persone giovani lavorare insieme in modo così coeso, per realizzare un progetto tanto ambizioso.
Maria Luisa Eguez