(Lerici in di settembre 2018)

Lo scoppio di Falconara è ancora una fonte di ricerca

Agnese Maranca è una studentessa di San Terenzo che
quest’anno si è diplomata all’Istituto commerciale tecnologico Fossati – Da Passano indirizzo turistico. Ha scelto, di presentare una tesina di diploma su una storia tragica del suo paese. Lei ci ha preparato un sunto da pubblicare sul nostro giornale mentre la tesina completa è pubblicata integralmente con numerose illustrazioni, come allegato di questo mese, sul sito del nostro giornale: www.lericiin.it (n.d.r.)

Quest’anno ricorre il 96° anniversario dello scoppio della Polveriera di Falconara, e come ogni anno i cittadini di San Terenzo commemorano il triste fatto avvenuto. L’accadere di un evento così luttuoso e distruttivo per una piccola comunità e un modesto insediamento, quale era San Terenzo negli Anni ’20 del XX secolo, ha lasciato tracce indelebili nella memoria delle persone e nei luoghi. Attraverso testimonianze orali è possibile ancora oggi ascoltare il racconto di cosa successe il 28 settembre 1922; la toponomastica di alcuni luoghi invece sia ufficiale, sia di tradizione popolare, ci conduce nei posti che furono implicati direttamente nello scoppio e in seguito nelle complesse vicende della ricostruzione. La batteria di Falconara negli Anni ‘20, era stata adibita a polveriera e si stima che contenesse almeno 1500 tonnellate di munizioni e di esplosivi. Nella notte del 28 settembre 1922, durante un violento temporale, avvenne l’esplo -sione dei materiali conservati che provocò la distruzione del deposito, la morte di circa 150 persone e il ferimento di altre centinaia. La causa della tragedia fu probabilmente un fulmine, sebbene all’epoca circolassero altre ipotesi che non ebbero poi alcun riscontro durante l’inchiesta governativa; le indagini invece appurarono la presenza all’interno della polveriera di una quantità eccessiva di esplosivo.

L’entità del disastro costrinse le autorità ad istituire a San Terenzo un comando speciale della Marina Militare e a mettere in atto un eccezionale schieramento di mezzi, uomini ed opere di soccorso. Il coordinatore delle operazioni di soccorso nominato dalla Marina Militare fu il capitano di fregata Gustavo Ponza di San Martino, uomo di notevole esperienza, decorato con Croce d’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia. All’indomani dello scoppio del forte di Falconara, a San Terenzo ed a Pitelli, ebbe inizio la complessa vicenda della ricostruzione che venne accompagnata da polemiche e problemi di ordine economico e finanziario, prima di giungere al suo completamento. Per quanto riguarda i “protagonisti della ricostruzione” un ruolo fondamentale lo ebbe il presidente della Camera di Commercio, Gervasio Pellegrino Carpanini, già sindaco di Lerici. Attorno a lui ruotarono un consistente numero di autorità, istituzioni, comitati, e privati cittadini, ma un ruolo fondamentale lo assunse il Sindacato Italiano delle Cooperative del Partito Nazionale Fascista, che assunse il controllo politico e finanziario della vicenda. L’opera di ricostruzione, all’inizio guidata da gruppi di fascisti e di ex combattenti, fu proseguita da impresari privati, in rappresentanza della Federazione Fascista. Fu possibile in questa prima fase utilizzare le risorse provenienti dal “fondo” raccolto dal comitato regionale del Soccorso.

Lo scoppio della polveriera di Falconara interessò un’area assai più vasta del territorio di S. Terenzo, ove sicuramente si concentrarono i più importanti interventi di risanamento. Ma la riedificazione non sembrò procedere in maniera omogenea e per tale motivo, il sindaco di Arcola, Comune a cui era accorpato anche Pitelli, anch’esso teatro dello scoppio, rivolgendosi al Presidente della Camera di Commercio della Spezia, denunciava il mancato ottenimento dei rimborsi per le spese sostenute da coloro che erano i proprietari delle case danneggiate. Alcuni mesi dopo il disastro di Falconara furono date in dotazione alle famiglie disastrate in località Pozzuolo tre baracche, grazie all’opera delle forze armate. Un anno dopo la consegna delle baracche ai senza tetto, e nonostante il ritardo con cui si procedeva nell’opera di ricostruzione delle case a S. Terenzo, l’autorità militare decise di reclamare la restituzione delle baracche “il più sollecitamente possibile”, con la motivazione che esse erano destinate ad uso militare. Il Sindaco di Lerici accolse la notizia con comprensibile disappunto, mentre il Prefetto della Spezia, consapevole che la faccenda potesse sollevare una sorta di “incidente diplomatico” con l’Amministrazione Militare (che godeva di tanto prestigio e rispetto in quel periodo), preferì intervenire assecondando le richieste delle Forze Armate, ed ordinò al sindaco l’immediato sgombero delle abitazioni. Inoltre il Prefetto accentuava il problema sanitario di tali costruzioni poiché vi erano ammassate all’interno troppe persone e le tavole di sostegno all’interno erano male assemblate in quanto appoggiate e non connesse tra di loro.

Nella relazione era stato scritto che:
“Si presentano accessi d’aria esterna e passaggio d’acqua piovana all’interno. Non ci sono latrine. Le famiglie si servono di bottini primordiali che vengono trasportati lontano ogni mattina: le famiglie nelle baracche sono costrette a vivere in uno spazio di 15 o 20 mq, ove svolgere tutte le funzioni della vita e si può immaginare il danno dell’igiene e della morale”. Il Sindaco di Lerici però era in difficoltà ad effettuare un simile intervento di sgombero, per le ripercussioni sulla popolazione già provata dalla tragedia. Il Prefetto il 28 maggio 1924, inviò una lettera al sindaco di Lerici ricordandogli che la legge comunale e provinciale del 4-2-1915 all’art. 153 contemplava l’ipotesi di ordinanza esecutiva di sgombero per ragioni d’igiene e di pubblica sicurezza, da parte del capo dell’Amministrazione Comunale, aggiungendo che la stessa legge prevedeva, all’art. 149, comma 7, l’applicazione di sanzioni nei confronti dei sindaci inadempienti nell’esecuzione di quanto previsto dalla legge. Nonostante tutto, il Sindaco riuscì a sgomberarne alcune, sia pure con grandi difficoltà e tutt’oggi è ancora visibile l’unica rimasta e tra le persone anziane che abitano nella località è ancora abituale chiamare Pozzuolo con l’appellativo “Le Baracche”. Al giorno d’oggi, dopo tanto tempo, Falconara è tornata ad essere un luogo di grande bellezza che riesce ad ispirare sentimenti di gioia e di pace, come descritto da Nera Meucci in una delle sue poesie,“Farconaa”, datata 1986. Farconaa (di Nera Meucci) Che pace montae su pe `r viöo che da S. Teenso i porta a Farconaa caminae tra veci oivi e menta profumà. Che pace miae l’orizonte a vea, a barca, i gabian l’isola amiga, i paesi e tuta Spèsa che tufo ar côe miae ‘sto panorama. Che pace aspetae a séa vede cambiae i coloi sentie cantae i grilli e vede a prima stela assende tuto o celo e a luce di paesi assende o nostro mae. Che pace a Farconaa.

Agnese Maranca

TESINA D’ESAME DI STATO 2017/2018 ALL’ISTITUTO TECNICO COMMERCIALE E TECNOLOGICO “ GOSTINO FOSSATI – MANFREDO DA PASSANO” – SEZIONE TURISMO – AGNESE MARANCA 5E
“LO SCOPPIO DI FALCONARA”
Storie di una piccola realtà nel contesto delle grandi vicende.