(Da Lerici in di dicembre 2021 e gennaio 2022)

Angelo Tonelli è un profondo studioso e conoscitore della filosofia classica greca.

L’ultima opera pubblicata a inizio giugno 2021 per le edizioni Feltrinelli dal titolo “Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nell’antica Grecia” è giunta alla terza ristampa. 

I temi filosofici trattati, pur provenendo da un tempo assai lontano dal nostro, dimostrano una grande attualità rispetto al periodo temporale che stiamo vivendo.

Abbiamo intervistato Angelo Tonelli e ci siamo fatti raccontare i temi principali trattati nel suo libro.

D.: I concetti filosofici di cui parla, pur così lontani nel tempo rimangono sempre molto attuali. Verrebbe da pensare che gli antichi greci avessero compreso già tutto?

R.: I filosofi dell’antica Grecia gettavano uno sguardo puro e profondo sulla vita, e per questo sono più attuali per noi, perché meno condizionati rispetto ai nostri filosofi contemporanei. All’inizio del suo poema, Parmenide compie un viaggio immaginario e siderale verso la Dea arrivando al punto interstiziale tra la Natura visibile e l’invisibile, e valicandolo contatta la Dea che gli offre una rivelazione, ossia che apprenderà “sia il cuore che non trema della ben rotonda verità” (che è l’Assoluto, il Fondamento) “sia le opinioni dei mortali nelle quali non c’è affidabilità”. Distingue tra il fondamento assoluto e il mondo del relativo che è oggetto dei sensi e della ragione e aggiunge che se indaghiamo in profondità tutto il mondo visibile, troviamo che anche questo ha un fondamento, perché è emanazione o espressione dell’Assoluto.

Per Parmenide questo Assoluto è “Uno”, e Tutto è Uno; noi come individui siamo inessenziali, siamo relativi e l’unica cosa che “è” è il grande “Uno”. Ne consegue che dal punto di vista antropologico, un uomo come Parmenide non è centrato nell’io, ma in uno stato superiore, il Sé, che è l’Uno Tutto, ovvero possiede un’identità cosmica. Poiché questo centro, in base a quanto è contenuto nel proemio del poema di Parmenide, è un centro che non nasce e che non muore, nemmeno noi nasciamo e moriamo.

I Pitagorici (e Parmenide era vicino ai Pitagorici) praticavano discipline meditative e spirituali ed erano uomini e donne che vivevano da liberati in vita, come i saggi orientali, pur rimanendo, a differenza della maggior parte di essi, molto attivi nella società: soprattutto avevano una psiche liberata dalle angosce di morte e dalle paure, perché il loro centro si trovava in questo luogo assoluto non tangibile dagli stimoli doxastici, ovvero dal mondo dell’opinione.

Erano sempre a metà fra l’Assoluto e il relativo, tra l’Assoluto della pace interiore e le dinamiche della vita. A differenza dell’uomo contemporaneo angosciato dalla morte perché psicologicamente centrato sull’ “io”, essi non erano dominati dalle paure, perché non ne erano intaccati in quanto in grado di dominarle. Pensiamo a quanto sia attuale questo messaggio in questa epoca, della paura.

D.: Cosa sono gli abissi luminosi?

R.: è l’andare nel profondo del proprio sé, come Persefone che rapita scende nell’Ade divenendo la sposa di Ades: Demetra, sua madre, cerca di riportarla sulla terra, ma Ades, dando da mangiare a Persefone il frutto del melograno, la costringe a scendere una volta all’anno nell’Ade, da ottobre a marzo.

Pensiamo anche a Dante che scende nell’inferno per poi risalire verso la coscienza divina cosmica. Quindi, scendendo nel profondo del proprio Sé si sale poi verso la luce, e questi sono gli abissi luminosi.

D.: Che cosa rappresenta il “noùs”?

R.: Il “noùs” è la coscienza di sé. Il motto delfico “conosci te stesso” è meglio inteso come “conosci Il te stesso”, ossia il Sé più profondo e luminoso, che unifica gli opposti che ognuno di noi ha dentro di sé. Luci e ombre. Quando Eraclito afferma “interrogai come un oracolo me stesso”, questo me stesso rappresenta il luogo dell’interiorità che racchiude il tutto, la luce e l’oscurità e quindi la conoscenza degli opposti che abitano dentro di noi ci fa giungere al noùs che è l’armonia degli opposti e la pura coscienza contemplate. 

D.: Si può parlare di perdita del proprio “noùs” per l’uomo contemporaneo?

R.: L’uomo si perde dentro abissi non luminosi.

Luomo si è definito sapiens” forse troppo in anticipo, ora siamo vicini allhomo ratio-tecnicus e stiamo andando incontro a conseguenze estremamente preoccupanti riguardo alla civiltà, alla psicologia, alla vita e alla stessa umanità.

Con il progresso tecnologico l’uomo sta raggiungendo poteri maggiori rispetto a quelli del passato e forse grazie alle nano tecnologie vivrà più di cento anni. Ma, dal punto di vista della civiltà umana stiamo andando verso un’epoca di decadenza, verso un’implosione eco-antropologica.

D.: Quale era per i greci il ruolo della tecnica?

R.: Se ci riferiamo al rapporto uomo-tecnica degli antichi greci, essi avevano acquisito conoscenze e capacità tecniche tali da poter raggiungere traguardi straordinari, ma sapevano autolimitarsi, in quanto pienamente coscienti dei propri limiti e del pericolo rappresentato dalla tecnica se fosse andata contro l’ordine naturale voluto e garantito dagli dei.

La scienza e la tecnica oggi hanno perduto il senso del limite, dell’armonia naturale e dell’appartenenza all’Uno Tutto. Quando Serse ideò un ponte di navi sull’Ellesponto per consentire all’esercito di attraversarlo e attaccare la Grecia, venne castigato dagli dei e perse la battaglia contro pochi greci, poiché aveva alterato l’ordine naturale facendo del mare terraferma. Ora tutto è consentito all’homo ratio-technicus.     

D.: Come vede oggi il ruolo del politico all’interno della società?

R.: Io ritengo che il politico oggi dovrebbe avere una sua formazione interiore, non dovrebbe essere spinto dall’avidità e dallo spirito di prevaricazione. In questi mesi mi sembra che ci sia una parte della popolazione mondiale che si interroga se sia giusto consegnarsi a un sistema che sta realizzando con la pandemia il suo primo esperimento globale per attuare un controllo sull’umanità. Penso che il politico sia sempre più depauperato dalla capacità di autodeterminazione e determinazione, poiché la politica vera e propria è nelle mani di una élite che, attraverso il potere finanziario, ha creato una rete di cui i politici sono subalterni, avendo smarrito il carisma di una volta, insieme ai valori e alle ideologie ormai azzerate.

Considero il politico una persona che dovrebbe avere il coraggio e la forza di sottrarsi a questo tipo di sottomissione, proponendo programmi con onestà, intelligenza e perseveranza. Così si avrebbe una politica buona. Invece, mi sembra di assistere al trionfo della parola e dell’immagine e il politico appare più un attore che può essere facilmente scambiato con altri attori uguali a lui, perché manovrati da un vertice che decide tutto.

D.: Ci può spiegare il concetto di “sciamanesimo”?

R.: Empedocle di Agrigento possedeva doti sciamaniche, così come molte donne in epoca arcaica. Per esempio, le Baccanti erano sciamane al seguito di Dionisio, e le Sibille di Delfi praticavano uno sciamanesimo oracolare. Lo sciamano è stata la prima figura, uomo o donna che fosse, a livello planetario a essere il mediatore tra il piano visibile e quello invisibile. Con ogni probabilità il fondatore della filosofia occidentale, Parmenide, condivideva con gli sciamani le pratiche di incubazione nelle grotte e i poteri di guarigione. A differenza degli orientali, la cui tradizione iniziatica e le corrispettive pratiche meditative ci sono giunte attraverso una catena ininterrotta dalla loro origine a oggi, noi abbiamo perduto nel corso del tempo la conoscenza di queste attività.

I primi sapienti nascono dagli sciamani, poi si passa ai filosofi con Platone, ai filosofi intellettuali e “scientifici” con Aristotele, fino agli intellettuali razionali dell’Illuminismo che però non sono più come Parmenide che era insieme scienziato, mistico, filosofo, amministratore e guaritore, ma hanno una ipertrofia cerebrale poco noetica, hanno una interiorità tutta egocentrata.

Da costoro agli attuali influencer il passo è triste e breve. La civiltà contemporanea ha perso punti di riferimento culturali dello spessore spirituale e noetico delle origini e brancola in una crisi eco-antropologica accelerata dalla quarta rivoluzione industriale e dalla svolta transumanistica in atto. Tutto ciò la porterà all’infelicità o alla rovina. A meno che non ci sia un ritorno alla fonte sapienziale della nostra civiltà e a una rigenerazione individuale e collettiva alla luce dei suoi abissi luminosi. 

              Elena Darosi