(da Lerici In di giugno 2025)

Su Lerici In ne avevamo parlato a febbraio e marzo del 2024. Ora in “SPERA”, autobiografia di Papa Francesco pubblicata poco prima della sua morte, ritroviamo, nelle prime pagine, lo stesso episodio legato all’emigrazione in Argentina della famiglia del defunto pontefice.

Ritorniamo sull’argomento con Flavio Testi che ci riassume la prefazione del libro mentre, nel prossimo numero, Maria Luisa Eguez ne farà la recensione.                                SF

Tra le eredità di papa Francesco, deve considerarsi il libro postumo “Spera” che contiene la sua autobiografia. Ripercorre le vicende della sua famiglia, di origine italiana, che arrivò in Argentina da immigrante, indicando interessanti dettagli con il racconto della vita dei suoi nonni paterni, che vollero fuggire dal contesto rurale piemontese degli Anni 1920.

Particolare sorpresa e stupore suscita il trovarvi raccontato lo scampato naufragio del Principessa Mafalda (Navigazione Generale Italiana) (foto sopra), che i suoi nonni raccontavano in famiglia. Avevano acquistato i biglietti di viaggio Genova – Buenos Aires, con partenza 11 ottobre 1927, ma per motivi contingenti spostarono il viaggio di 14 mesi al 1° febbraio 1929, sulla più moderna nave N.G.I. Giulio Cesare (foto sotto), entrata in servizio nel 1922. Così riuscirono a vendere la casa e tutti i loro appezzamenti di terreno.

Francesco descrive i particolari del naufragio come li udì raccontare da bambino dai suoi nonni e come riportati dai giornali argentini (640 vittime), più dettagliati e precisi sugli avvenimenti rispetto a quelli italiani dell’epoca (360 vittime), parzialmente censurati per evitare l’ammissione di scarsa manutenzione della nave, che effettuava l’ultimo suo viaggio di servizio atlantico prima della demolizione.

Il viaggio fu soggetto a guasti ripetuti alla sala macchine, le porte stagne e le scialuppe di salvataggio erano in pessime condizioni, oltre ai frigoriferi di bordo che funzionavano male provocando intossicazioni alimentari tra i passeggeri.

L’ultima parte della traversata atlantica verso il Sud America avveniva con molti emigranti italiani, siriani, spagnoli, iugoslavi in condizioni di emergenza: forti vibrazioni dello scafo, la nave inclinata talmente che non si poteva appoggiare una tazza su un tavolo senza che si rovesciasse.

Si proseguiva così a velocità ridotta, sino ad un’enor-me esplosione che spaventò tutti: l’elica sinistra ed il suo asse si sfilarono dai motori delle macchine provocando un ampio squarcio nelle lamiere della poppa, da cui iniziò a penetrare l’acqua che inondò la nave. Con le porte stagne che non si chiudevano non fu possibile limitare l’allagamento che, dopo la sala macchine, raggiunse le stive e i ponti superiori.

Fu impartito l’ordine all’orchestra di continuare a suonare per non impaurire i passeggeri, ma l’abbandono nave confermò il pessimo stato delle scialuppe che calate in mare si sfasciavano o si ribaltavano lasciando le persone in mare aperto.

Le navi di soccorso intervenute (Athena, Empire Star, Mosella, Formose, Avelona) grazie ai segnali di SOS inviati, non si avvicinarono molto al Mafalda per precauzione, in quanto un’ampia colonna di fumo faceva presagire il possibile scoppio delle caldaie. Così molte persone rimasero in mare aggrappate a relitti per esser recuperati dalle scialuppe delle navi intervenute, ma nell’area c’erano anche gli squali che si avventarono sui naufraghi.

Una dettagliata descrizione sulle vicende della traversata e dell’affondamento è in “Lerici In” di febbraio 2024, dove è descritto poi il vero viaggio della famiglia Bergoglio.

Il 1° febbraio 1929 è stato il giorno più freddo del-l’inverno più gelido del secolo: a Torino il termometro aveva raggiunto -15° C ed un manto di neve copriva l’Europa sino agli Urali.

A Genova sul Giulio Cesare (foto a pag. 3) vennero imbarcati prima i passeggeri di 1ª e 2ª classe e poi tutti gli emigranti. Il viaggio di due settimane toccò Villefranche sur Mer, Barcellona, Rio de Janeiro, Santos e Montevideo prima di arrivare a Buenos Aires.

Nonna Rosa, nonostante un caldo umido di 30° C, indossava ancora il suo bel cappotto della partenza con collo di pelliccia di volpe, che nascondeva una fodera interna con cuciti tutti i loro averi. Dopo l’identificazione, lo mantenne anche per i 500 Km lungo il fiume sino a Paranà, ove erano attesi dai fratelli di nonno Giovanni, emigrati nel 1922, che avevano già fatto fortuna e costruito il “Palazzo Bergoglio” di quattro piani con ascensore, dove ognuno abitava al proprio piano. Il nonno, dopo aver fatto il contadino, aveva gestito un bar e fu considerato “commerciante”, la nonna “casalinga” ed il padre Mario diplomato ragioniere “contabile”.

Secondo il racconto di Bergoglio dal 1925 al 1929 furono circa 200.000 gli italiani emigrati negli Stati Uniti, Brasile, ma soprattutto Argentina. Si partiva da Genova e si affrontava il viaggio mettendo in conto i pericoli. Per esempio nel 1888 sulle navi Matteo Bruzzo e Carlo Raggio dirette  in Brasile, perirono in cinquanta per fame e stenti. Nel 1893 sul Remo vennero venduti il doppio dei biglietti e scoppiò il colera: i morti furono scaricati in mare e la nave non fu accolta nel porto di destinazione.

Il 4 agosto 1906 sulle coste spagnole naufragò il Sirio con cinquecentopersone annegate. Era diretto da Genova in Argentina. Si partiva comunque per riunire la famiglia e per non patire gli stenti, cercando una vita migliore.

Chi arrivava a Buenos Aires trovava poi una dura realtà, l’Hotel de Inmigrantes tra il Rio de La Plata e la città. Dopo essere stati visitati, registrati e disinfettati questa struttura li ospitava per cinque giorni nei quali dovevano trovare un lavoro in città o nei campi.

La nostalgia delle proprie radici è un sentimento sano. Un popolo senza radici è perduto, una persona è malata. È da quelle che si prende la forza per andare avanti, per fiorire. Tutto ciò che sull’albero è fiorito vive di ciò che giace sotterrato”. (Spera pag. 19)

I fratelli Bergoglio sono stati più fortunati: nel 1922 avevano iniziato come operai, poi fondarono una ditta di asfaltatura e pavimentazioni. Quindi tre dei fratelli del nonno -ed adesso anche lui- erano riuniti mentre solo due rimanevano in Italia. Purtroppo vi furono due sventure: la crisi mondiale del 1929, chiamata la Grande Depressione, ed uno dei prozii che si ammalò di leucemia e morì, lasciando vedova la moglie con tre figli da allevare. Nel 1932 fu necessario vendere ogni cosa: macchinari, ditta, casa e cappella nel cimitero per ripartire da zero, con forza, coraggio, perseveranza e fede.

A volte quegli uomini e quelle donne ritornano con i soldi risparmiati per una casetta ed un pezzo di terra per allevare i figli. Altre, una febbre o un malanno da lavoro li inchioda in una tomba spoglia di un camposanto straniero.

“Nel mio primo viaggio da Pontefice fuori dal Vaticano” -ha scritto papa Francesco- “ho voluto andare a Lampedusa, avamposto di speranza e solidarietà, simbolo delle contraddizioni e della tragedia delle migrazioni, di cui avevo tanto sentito parlare dai miei”.

E conclude:Anche io avrei potuto essere tra gli scartati di oggi, tanto che nel mio cuore alberga sempre una domanda: perché loro e non io?”

Come sottolineato da papa Francesco, i racconti e le discussioni dei nonni migranti hanno lasciato un imprinting speciale nella sua mente di bambino e lo hanno sempre spinto ad affrontare il mondo con i sentimenti di sacrificio ed impegno tipici dei nostri migranti italiani sparsi nel mondo.

Flavio Testi