La “Primavera partigiana” del 1944 e le vergogne del dopoguerra
(da Lerici in di giugno 2024)
Negli ultimi due articoli ho raccontato il martirio dei ragazzi del Monte Barca, uccisi dai fascisti e dai nazisti tra il 14 e il 17 marzo 1944. I morti furono 11, due partigiani riuscirono a salvarsi. Il commissario politico del gruppo, Dario Montarese “Brichè”, l’11 marzo era sceso a Sarzana per portare aiuti in generi alimentari, denaro e armi. In una sua testimonianza parlò di un gruppo di 14 partigiani. Il quattordicesimo era Giuseppe Castagnola “Paolo”. Faceva la staffetta, per questo si salvò. Il 13 marzo “Giovanni” Parducci lo inviò a Merizzo da “Ebio” Bassignani. Doveva, tra l’altro, portare informazioni su Mario Galeazzi, che aveva raggiunto spontaneamente il gruppo ed era stato accettato in maniera condizionata. Poi Castagnola scomparve: nessuno ne ha più parlato e scritto. Non è neppure negli elenchi dei partigiani.
Il mistero l’ho svelato per caso, intervistando Dino Grassi per il libro “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”.
Alla mia domanda “Ricordi i santerenzini trucidati a Valmozzola, il 17 marzo 1944?”, Dino ha risposto:
“Sul Monte Barca c’erano il lericino Nino Gerini e i santerenzini Angelo Trogu e Giuseppe Castagnola, che abitava vicino a noi e lavorava al Muggiano. La sua famiglia collaborava alla diffusione del materiale di propaganda che veniva stampato nella tipografia della Rocchetta, sopra La Serra di Lerici. Gerini e Trogu furono trucidati a Valmozzola dopo l’assalto al treno. Castagnola ne uscì vivo. Lo abbiamo creduto morto, eravamo vicini di casa. […] Abbiamo sentito dire che la madre di Castagnola aveva riconosciuto tra i caduti tre morti, e che uno era suo figlio. Quando dopo la Liberazione ho visto questo compagno mi è venuto un colpo! Sua madre aveva finto, lui si era salvato nascondendosi nella cisterna di casa, tra Solaro e la Valle. I fascisti non erano convinti della sua morte, ma quando andavano a cercarlo non lo trovavano mai” [Nota 1].
Nell’archivio dell’Istituto storico della Resistenza alla Spezia ho ritrovato una dichiarazione firmata da Castagnola il 26 marzo 1972 a Solaro, dove ancora risiedeva, in cui confermava che Parducci lo aveva inviato a Merizzo il 13 marzo e aggiungeva: “poco prima del rientro fui informato dall’addetto ai collegamenti Montarese Dario ‘Brichè’ di non rientrare al gruppo, in quanto era stato attaccato da forze nemiche” [Nota 2].
Castagnola, nato a San Terenzo il 29 settembre 1924, si trasferì nel 1966 alla Spezia, dove morì il 19 ottobre 1999.
Ma Lerici fu protagonista della vicenda di Valmozzola e del Monte Barca per più motivi. La seconda storia raccontata in questo articolo è anch’essa a lieto fine. L’assalto al treno a Valmozzola, il 12 marzo, ci fu per liberare tre disertori catturati dai nazifascisti. Uno dei tre si chiamava Gino Cargioli. I corpi dei partigiani assassinati a Valmozzola furono pietosamente raccolti dal podestà Giovanni Molinari. Furono caricati sopra un carro che il bue trainò. La storia mi è stata raccontata da Lina, la figlia. Vide tutto da una finestra di casa: le braccia penzolanti dal carro, il sangue che colava. Poi i corpi furono sepolti. Il fratello di Gino si chiamava Giuseppe Cargioli, “scaldachiodi” al Muggiano come Dino Grassi, poi partigiano “Sgancia”, mio compagno carissimo per tanti anni. “Sgancia” sposò Lina, e la loro fu una bellissima storia d’amore (foto sotto).
La terza storia di questo articolo riguarda un’altra importante scoperta.
L’eccidio fu una perdita grave per la Resistenza. Una rappresaglia che per i nazifascisti doveva essere esemplare: con il terrore essi volevano impedire che altri giovani salissero ai monti per diventare ribelli, e che la gente di montagna fosse solidale con loro. Ma il risultato che ottennero fu esattamente l’opposto: tanti altri giovani diventarono partigiani. L’attacco al treno rappresentò un momento decisivo per il movimento patriottico.
Il gruppo degli spezzini di Valmozzola si spostò in parte in Val Ceno, in parte in Val di Magra, per poi riunirsi, nel settembre 1944, nella Brigata Muccini. In alta Lunigiana “Ebio” e “Giovanni” diedero vita – questa volta con una larga adesione di giovani locali – alla brigata 37b, nucleo della futura Brigata Borrini.
Nell’archivio del Comune di Lerici è conservato un volantino, firmato Comando Distaccamento d’Assalto Garibaldi, datato marzo 1944 [Nota 3]. Scritto dopo l’assalto al treno di Valmozzola per “la liberazione dei giovani” presi prigionieri – che rivendica – e dopo l’eccidio del Monte Barca, invitava alla lotta, in particolare i giovani ad arruolarsi nelle formazioni partigiane [Nota 4].
Nell’archivio di Stato della Spezia è conservato un volantino quasi del tutto simile – ritrovato dalle forze dell’ordine ad Arcola – in cui fu aggiunta la rivendicazione dell’uccisione dei sei militi fascisti presi prigionieri nel-l’azione di Valmozzola [Nota 5].
I due commissari politici, Paolino Ranieri a Valmozzola e Montarese sul Monte Barca, avevano entrambi raggiunto la città ed evidentemente informato il PCI e il CLN. Il Comando Distaccamento d’As-salto Garibaldi non esisteva ancora. Furono i comunisti a “millantare” un poco: lo fecero per galvanizzare gli animi e incitare alla lotta. La “primavera partigiana” del 1944 era davvero cominciata.
Resta da dire di quel accadde nel dopoguerra, quando si cercò di fare luce sui responsabili dell’eccidio. La storia dei ragazzi del Monte Barca non sarebbe completa senza la storia della lotta dei familiari per avere giustizia nell’immediato dopoguerra. Questa, purtroppo, è una storia non a lieto fine.
La denuncia più cruda fu fatta dal fratello e dalla sorella di Nino Gerini. Una madre non avrebbe mai avuto la forza di pronunciare le loro parole. Alla Commissione di Epurazione di Lerici, l’8 maggio 1945, Piera e Giglio Gerini dichiararono:
“Il 14 marzo dell’anno scorso nostro fratello venne catturato. Durante lo stesso giorno e nei giorni successivi, venne interrogato e obbligato a cantare ‘Giovinezza’, ma lui si rifiutò. Dopo aver subito atroci torture fu condannato a morte e fucilato da parte di elementi della X Mas. Poi, a corpo caldo, vennero fatte profanazioni: gli fu trapanato il cranio e gli fu asportata della materia cerebrale; gli vennero tagliati gli organi genitali che, fasciati in un suo fazzoletto, riposano in una tasca dei calzoni” [Nota 6].
Le madri e i familiari denunciarono le responsabilità primarie del tenente della X Mas Umberto Bertozzi, che in seguito fu corresponsabile dell’eccidio di Forno (Massa), con 68 morti, e di terribili rastrellamenti. Nel 1947 fu condannato alla pena di morte con fucilazione alla schiena. Ma la sentenza non fu eseguita. Nel 1948 la condanna fu commutata in ergastolo. Poi a trent’anni, poi a 19. Nel 1952 Bertozzi fu scarcerato. Il 17 febbraio 1949 la Corte di Assise ritenne Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas, colpevole di collaborazionismo con i tedeschi. Fu condannato a due ergastoli per aver fatto eseguire ai suoi uomini “continue e feroci azioni di rastrellamento” ai danni dei partigiani che, di solito, si concludevano con “la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e l’uccisione degli arrestati”, allo scopo di rendere tranquille le retrovie dell’esercito invasore, e per la fucilazione di otto partigiani a Valmozzola. Per la computazione della pena, la Corte partì dagli ergastoli e utilizzò alcune attenuanti che ridussero la pena da scontare a 12 anni di reclusione.
Grazie alle disposizioni dell’amnistia Togliatti il giorno stesso della lettura del dispositivo della sentenza, il 17 febbraio 1949, la Corte dispose l’immediata scarcerazione del condannato, che aveva già scontato per intero, in regime di carcerazione preventiva, la pena residua.
Nel romanzo storico sulla resistenza nel Bagnonese “La collina rossa” di Riccardo Vinciguerra, il giovane partigiano Enio dice a Riccardo: “A volte penso se vale proprio la pena di fare tutti questi sacrifici, poi morire e rimanere dimenticati per sempre da tutti e forse seppelliti in qualche angolo degli appennini senza nome e senza una croce che ci circondi” [Nota 7]. Sta a noi far sì che il ricordo sia durevole, che i partigiani non restino dimenticati.
Ai ragazzi di Valmozzola e del Monte Barca dobbiamo la libertà, e il nostro bene più prezioso: la Costituzione.
Giorgio Pagano
Note: [1] Dino Grassi, Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista, ETS, Pisa 2023, pp. 128-129.
[2] Dichiarazione di Giuseppe Castagnola, 26 marzo 1972, AISRSP, Misc. 1-12.
[3] Il documento mi è stato segnalato da Riccardo Bonvicini, che lo scoprì parecchi anni fa. Attualmente l’archivio storico lericino non è visitabile.
[4] Il Comando Distaccamento D’Assalto “Garibaldi” a “Lavoratori, cittadini della Spezia!”, archivio Comune di Lerici.
[5] Il Comando Distaccamento D’Assalto “Garibaldi” a “Lavoratori, cittadini della Spezia!”, ASSP, Prefettura di La Spezia, Gabinetto, b. 100.
[6] Luigi Leonardi, I ragazzi del Monte Barca, Mursia, Milano 2017, pp. 101-102.
[7] Riccardo Vinciguerra, La collina rossa, Tipografia Lunense, La Spezia 1974, p. 197.