(da Lerici in… di gennaio 2022)
In copertina: Particolare della della foto scattata alla Contessa di Castiglione dal fotografo Pierre Louis Pierson 1863-66 ca.
Alla fine del 2021 è uscito nelle spezzine edizioni Giacché, “La Rapallina ambasciatrice di gusto e di bellezza – La Contessa di Castiglione tra Parigi e il suo joli golfe”, di Adriana Beverini. Se è vero che non c’è il due senza il tre, la Beverini, giornalista scrittrice e presidente del premio “Montale fuori di casa”, non poteva resistere infatti alla tentazione di scrivere un terzo libro su Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini, figlia del marchese spezzino Filippo Oldoini e della marchesa fiorentina Isabella Lamporecchi, divenuta poi moglie del conte torinese Francesco Verasis Asinari di Castiglione. Prima, sempre con la sua firma. erano usciti “Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione: i giorni, le passioni, il mito” (Luna editore, La Spezia 1999, co-autrice Pia Spagiari) e “Virginia Oldoini – I giorni e il mito della Contessa di Castiglione” (Luna-editore, La Spezia 1999).
La vita di Virginia, soprannominata “Nicchia” co-me contrazione del vezzeggiativo “Virginicchia”, diventò presto un mito e l’affascinante spezzina (an-che se fatta nascere a Firenze, città di cui era originaria la madre) fu presto definita con vari titoli: “Pompadour imperiale”, “Imperatrice senza impero”, “Dea dell’Ottocento”, “Divi-na Contessa” e lei stessa si autodefìnì tout-court “la più bella donna del secolo”.
«Della bella Virginia mi sono molto occupata in passato –spiega l’autrice- e non avrei potuto fare altrimenti dal momento che nella mia famiglia di lei ho sentito parlare sin da quando ero molto piccola» (p. 31). Nella famiglia Beverini, imparentata con quella dei Rapallini (sia la nonna di Virginia che quella di Adriana appartenevano infatti entrambe al casato dei Rapallini), la Contessa di Castiglione era sempre stata soprannominata semplicemente “La Rapallina”.
Donna di eccessi verbali, comportamentali e affettivi, “La Rapallina”, forte del suo sex appeal, trattava gli uomini come questi trattavano le donne e in tale suo “rendere pan per focaccia” può anche esser considerata una sorta di femminista ante litteram pur restando molto critica nei confronti delle altre donne, soprattutto di quelle che subivano passivamente il modello di maschilismo imperante.
Colei che fu definita dalla contessa di Metternich con un certo disprezzo (o malcelata gelosia?) “una statua di carne” fu in realtà molto di più di un corpo senza un cervello pensante e con un cuore di pietra: fu un’autentica Mata Hari, perché non gliene mancavano né la scaltrezza né l’audacia, oltre al ben collaudato fascino; e fu anche un’animalista, forse perché bisognosa sino alla fine di un rapporto affettivo disinteressato, vanamente rincorso per tutta la vita attraverso le sue transitorie avventure sentimen-tali. Una donna che teneva in un taccuino, al pari di certi tombeurs de femme, l’elenco dei suoi sedotti, fra cui l’imperatore Napoleone III, il re Vittorio Emanuele II (che lei aveva soprannominato “Misero Padrone”) e un lungo stuolo di nobili e di potenti.
«In mezzo a tutti questi uomini importanti, politici o rappresentanti del gran mondo –continua A. Beverini- a parte il povero marito Francesco e il bell’Ambrogio tutti molto più anziani di lei e dunque moralmente più riprovevoli, la giovanissima Virginia, cresciuta nel mito di se stessa ossessivamente inculcatole da chiunque la incontrasse, senza esempi positivi che le provenissero dalla famiglia, impara l’unica lezione possibile: ciò che importa è il potere, la ricchezza, e la strada più facile per conquistare entrambi per lei è quella di usare la sua bellezza» (p. 88). Suo mentore, per così dire, in tale carriera fu nientepopodimeno che Camillo Benso conte di Cavour, chiamato in riferimento a lei “il brutto cugino della bella cugina”. Scapolo impenitente dalle molti amanti rigorosamente sposate ad altri, non ci va molto per il sottile subodorando il potere che Nicchia avrebbe avuto sull’impera-tore francese per indurlo a sposare la nobile causa della liberazione dell’Italia dal giogo straniero portandolo nel 1859 sui campi di battaglia della seconda guerra d’indipendenza come alleato del regno di Sardegna contro l’Austria.
La schermaglia preventiva (e di tutt’altro genere) si era avuta però l’anno prima e in gran segreto a Plombières dove Napoleone III e il conte di Cavour avevano sancito la loro alleanza, con i buoni servigi della “Rapallina”.
Aveva scritto il “brutto cugino” alla “bella cugina” diciottenne spedendola a Parigi per “coquetter”, civettare, con l’imperatore al fine di sedurlo: «Riusciteci, cugina mia, con i mezzi che ritenete migliori, ma riuscite»; per poi informare poco dopo del fatto il Ministro degli Esteri, conte Lui-gi Cibrario: «Ella ha cominciato discretamente “sa mission” ieri sera alle Tuileries» (p. 67). Narrano poi le cronache che Virginia avesse disposto di voler essere sepolta alla Spezia, con la vestaglia di raso verde e la camicia di battista e dentella di quella famosa notte a Plombières.
“La Rapallina” precorse anche Greta Garbo che si ritirò dalle scene quando ancora la sua bellezza non era stata offuscata dai segni del tempo. Morì in solitudine a Parigi il 28 novembre 1899, sul finire proprio di quel secolo che l’aveva vista incontrastata protagonista nei salotti della politica e del potere.
Quasi cinquecento fotografie, senza contare i dipinti, l’hanno ritratta in uno sfoggio di abiti e gioielli che hanno dettato le tendenze di decenni. Quello che però possiamo notarvi oggi, a più di un secolo di distanza, sono soprattutto la bocca quasi mai sorridente e i tristissimi occhi di una donna abituata a sentirsi spogliata dagli sguardi maschili.
La veduta di quella Spezia tanto amata da Nicchia la possiamo ormai solo attingere dai quadri del pittore Agostino Fossati che di molti beni della Contessa di Castiglione fu pure amministratore, ma gran parte di quegli scorci non esiste più, cancellata o radicalmente trasformata proprio per input di quel “brutto cugino” che realizzò un sogno del primo Napoleone, facendo qui costruire l’Arsenale Militare Marittimo.
Maria Luisa Eguez