L’alba del fascismo, dai santerenzini a Bibolini
(da Lerici in di gennaio 2023)
Il fascismo fu radicato nella piccola borghesia, ma prima di tutto – scrisse Franco Ferrarotti – “difende il portafogli dei grandi borghesi” [nota 1].
Il fascismo costituì cioè lo strumento che consentì ai detentori del potere economico di vincere una crisi “storica” e di sconfiggere la classe operaia. La violenza sulle fabbriche e sul lavoro fu un tutt’uno con la violenza sulla società e sulla politica. Alla Spezia il fascismo si intrecciò sempre con l’industria armiera e con la Marina Militare [nota 2].
Anche il fascismo lericino fu in primo luogo borghese e benestante.
Il primo nucleo fascista nel Lericino fu costituito a San Terenzo, come scrisse L’Opinione nel 1926:
“Il capoluogo, opulento […] era meno inflitto dalle eresie politiche di quel che non fossero le frazioni”, come la Serra, dove “stava, come una spina nel fianco del Comune italianissimo, il Bacigalupi”. San Terenzo, poi, “era il covo più numeroso del sovversivismo profittante costituito da operai foresti e raccogliticci con elementi locali abbruttiti dal vino e dall’ignoranza. […] La gazzarra scioperaiola, scagliata a rovinare gli stabilimenti del Golfo, devastava le industrie”. Contro questo “stato di cose intollerabile” insorsero i primi fascisti. Tra loro c’erano il parroco don Vincenzo Roncallo, che “inveiva romanamente dall’altare contro il malcostume e il sovversivismo”, il medico Francesco Bucceri, gli imprenditori Remigio Azzarini e Michele Piazza, Giuseppe Diaz – nella memoria popolare il più squadrista di tutti – e altri. “Né mancò a questi primissimi – sottolineò L’Opinione – l’appoggio del nome illustre dei Mantegazza nella per-sona di Don Giulio” [nota 3].
A Lerici Emilio Biaggini e Pietro Bibolini – aggrediti il 13 febbraio 1922 in uno degli episodi che precedettero la spedizione fascista della Serra [nota 4]. – appartenevano a famiglie di armatori.
Il vero capo del fascismo lericino era il cittadino più facoltoso: l’ingegner Giovan Battista Bibolini, armatore, che fu deputato dal 1934 al 1943, quindi senatore, nonché presidente della Provincia dal 1932 al 1935. Nel 1922 era consigliere provinciale e comunale, e presidente del fascio lericino. Pietro era suo nipote.
Il fascismo lericino fu violento? L’8 maggio 1921 centocinquanta fascisti disturbarono il comizio elettorale del comunista Aristide Pavolettoni a Lerici e devastarono la sezione comunista di San Terenzo (secondo i comunisti i devastatori furono i carabinieri). Erano spezzini, guidati da quell’Alberto Landini ucciso mentre saliva all’assalto della Serra il 15 febbraio 1922. Ma c’erano anche i santerenzini, rivelò L’Opinione: “Furono i fascisti di San Terenzo i primi a turbare i comizi a ripetizione di chi negava Dio e la Patria; […] i primi ad accogliere i fratelli della Spezia” [nota 5].
La spedizione della Serra fu tutta spezzina, e i fascisti lericini Magellano Pagano e Gino Vizzotti cercarono in qualche modo di evitarla. Ed erano spezzini i fascisti che, il 29 gennaio 1922, avevano iniziato le provocazioni che portarono ai fatti della Serra. Angelo Bacigalupi, nell’interrogatorio al processo sui fatti della Serra, per difendersi dall’accusa disse che, dopo gli episodi del 13 febbraio, il 14 al pontile di Lerici aveva incontrato Pagano, che lo aveva invitato “a tenermi in quei giorni appartato, data l’intenzione dei suoi amici fascisti di procedere a qualche rappresaglia” [nota 6].
Ma tutto ciò non significa affatto che i fascisti lericini non fossero violenti. Non ci furono due fascismi, nemmeno a Lerici: la violenza fu l’elemento identitario che coinvolse tutto il movimento.
All’aggressione ad Albano e Marcello Gregori a San Terenzo il 9 giugno 1922, nel pomeriggio, parteciparono anche Emilio Biaggini e Magellano Pagano, insieme ad altri fascisti lericini e sarzanesi, identificati dai carabinieri [nota 7]. Il giorno prima “i due più arrabbiati fascisti di qui – scrisse Il Libertario da San Terenzo – credendo di avere loro due in mano il paese aggredirono un consigliere comunale comunista”, e i fa-scisti spararono rivoltellate nel borgo sia la sera del 9 giugno che quella successiva [nota 8].
Secondo Il Secolo XIX il 10 giugno a San Terenzo i fascisti erano alla caccia del comunista Romeo Pagano e furono oggetto di rivoltellate, ma furono arrestati i “due fascisti Francesco Larieri e Magellano Pagano, trovati in possesso di rivoltella” [nota 9].
Da allora fu tutto un crescendo per tutto il 1922, fino alla violentissima rappresaglia che si scatenò per più giorni dopo l’uccisione di Giovanni Lubrano – uno degli squadristi più feroci – la notte del 21 gennaio 1923 alla fonderia Pertusola, dove lavorava. I fascisti lericini fecero la loro parte. Tra gli squadristi arrestati vi furono Silvio Carro di Pugliola, Valentino Novelli di Lerici, Cesare Lupi del Guercio [nota 10]; tra le vittime Fioravanti Paolo Raspolini detto Dante, di Romito, parente di Stefano Gabriele Paita, il giovane comunista ucciso alla Serra.
Da allora lo squadrismo, trasferitosi nelle milizie e in altri organismi, fu per tutto il ventennio elemento caratterizzante di tutto il fascismo.
Giorgio Pagano
Note: [1] Franco Ferrarotti, Fascismo di ritorno, Edizioni della Lega per le autonomie e i poteri locali, 1973, p. 27.
[2] Rimando ai miei saggi Con gli Arditi del popolo dove il 1922 non piegò l’antifascismo e La marcia su Roma e le ultime “isole” di resistenza, pubblicati su Patria Indipendente l’8 aprile e il 10 ottobre 2022.
[3] I primi Fascisti in quel di Lerici, L’Opinione, 13 dicembre 1926. Nel Libertario del 30 marzo 1922 si può leggere la cronaca del tentativo fallito da parte dei fascisti di impossessarsi della SMS Fascio Marittimo di San Terenzo – una Società di mutuo soccorso “risorgimentale” fondata nel gennaio 1884 – in occasione del voto per il rinnovo del consiglio di amministrazione. La SMS rimase governata dai comunisti e dai socialisti, nonostante che i fascisti fossero appoggiati da don Roncallo e da Giulio Mantegazza (Corrispondenze, San Terenzo al Mare, 27 marzo 1922, Il Libertario, 30 marzo 1922). Giulio Mantegazza era uno dei quattro figli di Paolo, medico, antropologo, senatore del Regno. L’appellativo “Don” derivava dal fatto che la madre, moglie di Paolo, era argentina. Su Bacigalupi rimando al mio articolo Angelo Bacigalupi: intelligenza e passione di un socialista massimalista, Lerici In, aprile-maggio-giugno 2022.
[4] Secondo Il Secolo XIX la sera stessa “alcuni sconosciuti spararono quattro colpi di rivoltella, fortunatamente andati a vuoto”, anche contro il citato Giuseppe Diaz (Imboscate, rapine e rivoltellate contro i fascisti, Il Secolo XIX, 15-02-1922).
[5] I primi Fascisti in quel di Lerici, L’Opinione, 13 dicembre 1926.
[6] Tribunale civile e penale di La Spezia, Fascicoli processuali, b. 388/II, fasc. 18, sottofasc. 3 parte 1, ASSP. L’episodio fu nella sostanza confermato da Pagano nella testimonianza al processo: “E’ vero che nei giorni tra l’aggressione subita da Biaggini e Bibolini e il conflitto della Serra incontrai presso il pontile di Lerici Bacigalupi Angelo. Egli in quell’occasione fece l’agnello e si disse alieno dalle violenze. Non è vero che io lo abbia invitato ad allontanarsi per evitare rappresaglie; gli dissi che naturalmente qualche reazione vi sarebbe stata e se la sarebbero presa con i capi”. (Tribunale civile e penale di La Spezia, Fascicoli processuali, b. 388/II, fasc. 18, sottofasc. 2, ASSP).
[7] Alberto Incoronato, Dietro la lapide dei Barbantan, Youcanprint, 2020, p. 141.
[8] Corrispondenze, San Terenzo Mare, 11 giugno 1922, Il Libertario, 15 giugno 1922.
[9] Imboscate… a San Terenzo, Il Secolo XIX, 11 giugno 1922.
[10] Alberto Incoronato, Dietro la lapide dei Barbantan, cit., p. 190.