26 febbraio 2022
(da Lerici in di marzo 2022)
Un secolo fa, il 26 febbraio 1922, nasceva a Lerici l’ammiraglio Luigi Romani, illustre decano dei Comandanti del corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera. Icona e indissolubile punto di riferimento, attraverso la sua grande passione e dedizione ha segnato in modo indelebile la storia e l’identità di questo Corpo.
Imperativo dunque conoscere la sua lunga carriera e i numerosi e prestigiosi incarichi in cui ha prestato servizio, partendo dall’Accademia sino a conquistare, in un crescendo di meriti, il massimo raggiungimento della carriera, il vertice dell’organizzazione, divenendone nel 1982 capo del Corpo delle Capitanerie di Porto al quale ha lasciato in eredità preziosi valori umani e professionali.
Con questa intervista desideriamo scoprire la sua infanzia e l’adolescenza, rubando dolci e lontani ricordi.
D.: Ammiraglio Romani, cosa ricorda della sua giovinezza?
R.: Dei primi cinque anni della mia vita ho vaghi ricordi, sono passati troppi anni. Rammento invece gli anni delle elementari. Iniziai in anticipo per perdere poi quell’anno al liceo.
Sino alla terza elementare frequentai la scuola di Lerici mentre la quarta la feci a San Terenzo per finire l’ultimo anno presso villa Gregoretti. Ricordo con affetto la maestra Zolesi.
Mio padre partecipò alla prima guerra mondiale, questo gli diede una certa notorietà e, con il ruolo di Assessore, fece costruire la scuola a Pugliola.
D.: Che ricordi ha dei suoi nonni?
R.: Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere i miei nonni.
D.: Cosa ricorda della sua adolescenza?
R.: Ho frequentato il Liceo Classico alla Spezia, in quegli anni lo scientifico non c’era. Ricordo un episodio in particolare:
Il professore Currà aveva una gobba molto pronunciata, una mattina ero proprio dietro di lui sulle scale e, inavvertitamente, egli inciampò e cadde. Sì girò e mi vide ridere. Da quel giorno divenni il suo capro espiatorio e non ci fu volta che mancò di interrogarmi di greco. Una vera punizione che durò tutto l’anno scolastico. A lui devo però un grande merito, gli ultimi dieci minuti delle lezioni li dedicava alla lettura del grande drammaturgo e poeta William Shakespeare; ci fece conoscere Amleto e l’Otello. Fu allora che mi innamorai del teatro e dell’opera.
D.: Come ha vissuto il periodo della guerra?
R.: Mio padre, poco prima dell’inizio della guerra, mi fece andare a lavorare a San Bartolomeo. Misi insieme un po’ di danaro e con il mio grande amico Bruno Bini riuscimmo a fare un viaggio a Torino e Milano per conoscere queste città in previsione dell’imminente guerra.
Presa la maturità mio padre mi fece sedere accanto a lui e mi regalò cento lire, una somma folle per l’epoca! Mi fece fumare una sigaretta a tavola e mi consegnò le chiavi di casa per poi dirmi “Alle 11 di sera a casa” battendo con il dito l’imperativo dell’obbligo da rispettare.
Nacqui pochi mesi prima della Marcia su Roma, non eravamo in condizioni di capire cosa fosse la libertà di parola, la democrazia. Ricordo che lo studente più bravo del liceo morì come partigiano.
D.: Cosa ricorda del dopoguerra?
R.: Avevo vinto il concorso in Accademia, il giorno dell’armistizio ci trasferirono a Venezia. Ci fecero occupare un albergo e quella mattina, insieme a tutti i ragazzi del mio corso, andammo a Messa in suffragio per un nostro amico purtroppo deceduto; una volta rientrati ci dissero di radunare ogni cosa, coperte, vestiti, divisa e ci trasferirono a Brindisi per finire il terzo anno di Accademia. Fu requisito il transatlantico Saturnia, trasformato in nave ospedale.
L’Accademia quell’anno finì in anticipo con un corso accelerato, proprio a causa di quel particolare periodo storico. Feci ridere tutti quando risposi alla domanda di destinazione, non con la richiesta di una specifica nave, ma chiedendo bensì la destinazione più distante possibile dall’Italia.
Mi imbarcarono sull’incrociatore Duca degli Abruzzi dove erano presenti tre Luigi: Luigi degli Abruzzi a cui era intitolato l’incrociatore della Regia Marina, l’Ammiraglio Luigi Biancheri che ne era il comandante, e infine il sottoscritto, Luigi Romani.
Una mattina ero a pulire a poppa e l’Ammiraglio passando mi vide, non esitando nel farmi i complimenti. Era un uomo, permettetemi il termine, un po’ pazzoide, andava a caccia di un coccodrillo analogamente a Capitan Uncino. Si avvicinò e mi chiese ‘Tu non vieni?”. Risposi che ero di guardia e non potevo abbandonare la mia postazione, lui non ne volle sapere e chiese al Tenente di Vascello un permesso per portarmi con lui. Unico presupposto: doveva essere lui il primo a sparare ma sbagliò il tiro e fui pure ripreso perché mi azzardai a sparare alle sue spalle!
D.: Luigi e la musica, una grande passione!
R.: Sì la mia più grande passione! Ho ascoltato nella mia vita più di settecento opere, mi sono poi avvicinato alle sinfonie e quartetti, la musica strumentale.
D.: È soddisfatto della sua vita? C’è qualcosa che vuole ancora realizzare?
R.: Ho raggiunto il grado massimo a cui potevo ambire nella mia carriera.
Ho realizzato tutto con grande soddisfazione.
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Entrare nella casa dell’Ammiraglio Luigi Romani è come fare un tuffo nel passato, la storia ti avvolge. Un tesoro di memorie vissute da protagonista. Sulle pareti foto di personaggi illustri che con l’Ammiraglio si davano del “tu”. Riconosco Carlo Maria Giuliani, celebre direttore d’orchestra, il virtuoso violinista Renato de Barbieri, con loro era nata una profonda stima, mi racconta.
I ricordi di quando fu ufficiale superiore addetto al Sottosegretario di Stato della Marina Mercantile con l’on. amm. Luigi Durand de la Penne, che fu decorato della medaglia d’oro al valor militare durante la seconda guerra mondiale. Nomi altisonanti di personaggi illustri che hanno scritto pagine importanti di storia della nostra Nazione. L’intensa passione per la musica si estrapola in ogni angolo: spartiti scritti a mano, piccoli ritratti a tempera di Wagner, un bel dipinto che ritrae Giuseppe Verdi, posto in bella mostra a fianco dei ricordi più cari.
Emozionante intravedere un luccichio di commozione nei suoi occhi sfogliando l’album sbiadito di famiglia con i volti dei genitori, della sorella e degli amici più cari. Foto in bianco e nero custodite con cura e amore, ingiallite dall’inesorabile passare del tempo. Ogni immagine rispolvera emozioni lontane di una vita vissuta con il vento in poppa. Mi congedo con un mantra che mi continua a risuonare in testa senza possibilità di negoziazione: MARE DICTA.
Buon secolo, Ammiraglio!
Marigola il 28 marzo 2022 nella cerimonia dei suoi 100 anni organizzata dalla Capitaneria di Porto
(da Lerici in di marzo 2022)
(La precedente intervista all’ammiraglio Luigi Romani da parte del laboratorio di giornalismo dell’Istituto Comprensivo di Lerici)
L’Ammiraglio Romani: una vita tra il mare e la musica
Luigi Romani (classe 1922, in foto assieme alle ragazze della redazione di Lerici) è un lericino che ha onorato il suo paese natale e l’Italia nella Marina Italiana.
Congedatosi dal servizio nel 1987 per raggiunti limiti d’età, ha potuto finalmente stabilirsi nella sua casa-museo di Romito dove la redazione di Lerici lo ha raggiunto per intervistarlo. In questi ultimi anni l’ammiraglio Romani è così riuscito a dedicarsi con maggiore frequenza alle sue passioni di sempre: la musica, l’arte, la letteratura e la storia locale. È stato anche per un paio d’anni presidente della Società dei Concerti della Spezia e collaboratore dell’Università della Terza Età lericina. Dal ’92 presiede inoltre l’Accademia di Marina dei Cavalieri di Santo Stefano, con sede a Pisa.
Alice, Gaia e Vittoria gli hanno rivolto le seguenti domande.
D. Dopo la licenza liceale, in piena guerra, cosa l’ha spinta a scegliere di entrare nell’Accademia Navale?
R. La passione per il mare che mi ha preso da quando ho aperto gli occhi su questo meraviglioso Golfo. E più andavo avanti negli anni e più scoprivo le tante cose che il mare avrebbe potuto offrirmi, perché lo sognavo attraverso i libri e le notizie che mi giungevano dai naviganti che allora erano molto più numerosi di oggi. Prima della guerra avevamo le più belle navi da passeggeri, e le più confortevoli, e ho avuto l’invidiabile privilegio di visitarne parecchie grazie ai parenti imbarcati quando arrivavano a Genova.
Inoltre, nel cantiere di Muggiano si costruivano navi da guerra, come oggi, e da Canarbino ho assistito a più di un varo che per noi ragazzi, che avevamo molte meno distrazioni dei coetanei di oggi, erano avvenimenti eccezionali.
Anche mio padre lavorava in Marina come segretario della Direzione del Munizionamento che aveva sede a San Bartolomeo. Ho potuto così conoscere alcuni ufficiali. Inoltre, in quegli anni, il nostro Golfo era uno sfolgorio di solini azzurri (n.d.r. il bavero azzurro listato di bianco dell’uniforme dei marinai). Tutti motivi che mi spingevano a entrare in Marina e non era facile superare il concorso. Comunque riuscii ad affrontare con successo le varie prove dopo la maturità, ed eravamo già in guerra…
D. Perché, tra i corpi della Marina, ha scelto di fare la sua carriera nelle Capitanerie di Porto?
R. Non è stata una scelta, ma una necessità, volendo rimanere in Marina. Infatti ho iniziato la carriera sul Regio Incrociatore “Duca degli Abruzzi”, che avevo visto scendere in mare da uno scalo del Muggiano, nel 1937. Dopo la guerra ho effettuato dragaggio effettivo nel mare di Livorno e ho insegnato materie professionali ai corsi dei sottufficiali a bordo delle navi-scuola “Ves-pucci” e “Colombo”. Ma la sopravvenuta miopia mi catapultò, dopo regolare concorso, con lo stesso grado che avevo sul Vascello, nel Corpo delle Capitanerie di Porto. Ho avuto così la soddisfazione di comandare i vicini porti di Viareggio, La Spezia e Genova.
Ho lavorato a stretto contatto con numerosi ammiragli e ho avuto l’onore di collaborare con l’onorevole e ammiraglio Durand de La Penne medaglia d’oro al valor militare per aver affondato una corazzata nemica quando era sottosegretario alla Marina Mercantile. Infine ho espletato, per oltre quattro anni, il comando generale delle Capitanerie contribuendo alla nascita della Guardia Costiera. Proprio nel nuovo Corpo, mi si è aperto il mondo perché ho potuto appagare il mio desiderio di conoscere, oltre a quelle che avevo visto quando ero ufficiale di vascello, nuove e diverse terre.
Già da ragazzo, col desiderio di conoscere ciò che era intorno a me, ero andato in bicicletta a Lucca e a Pisa e come premio per essere stato ammesso a frequentare il liceo, i miei genitori mi accompagnarono a Firenze.
Come accompagnatore di laureati vincitori del concorso per ufficiali di porto e quale commissario governativo per l’emigrazione, ho effettuato tredici viaggi negli Oceani, esclusi i Mari Glaciali, e ho visto, arrivando in porto, spettacoli indimenticabili come il Golfo di Napoli in un’alba estiva, le baie di Rio de Janeiro e di Sydney e i minareti di Istanbul, ormai neppure lonta-namente immaginabili arrivando nelle stesse località in aereo.
Ma tengo a precisare che non ho riscontrato alcuno Stato che potesse offrire tanti pregi territoriali, climatici e soprattutto artistici, come l’Italia. Fra le tante meraviglie, includendovi qualche crociera, ho attraversato i più importanti canali artificiali: Suez, Panama, Corinto e Kiel; esperienze avvincenti.
D. Quando Lei era ancora in servizio, c’era già qualche presagio della fuga verso l’Europa degli africani?
R Non ricordo avvisaglie di questo genere, ma non posso dimenticare il missile di Gheddafi su Lampedusa dove, dopo il clamoroso episodio, confluì una marea di autorità, mentre io c’ero già stato, come a Pantelleria, e avrei continuato a fare per tutte le Capitanerie e molti uffici dipendenti.
D Dopo il suo collocamento a riposo si è dedicato a tenere conferenze su argomenti storici e musicali. Era già una sua passione da sempre o una scelta più tardiva?
R. Erano già passioni giovanili. Da ragazzo mi ero infatuato per la Rivoluzione Francese al punto di comprare più di un libro sull’argomento. Analogamente, l’interesse per la musica mi spinse ad acquistare un dizionario musicale in fascicoli settimanali, risparmiando su quanto mi dava mia madre per pranzare in città, in modo parco, quando avevo ginnastica nel pomeriggio. Quanto alla musica dal vivo, vidi la prima opera a quindici anni e una decina di anni dopo scoprii, col maggiore entusiasmo, la musica sinfonica. Con le assidue frequentazioni in venti anni di destinazione a Roma, penso di aver battuto molti record come ore di ascolto …
D. Ci può raccontare qualcosa della sua esperienza nella redazione della rivista “Golfo dei poeti”?
R. Non ero redattore del periodico anche perché, fra il 1971 e il 1999, durante gli anni della pubblicazione, rimasi a lungo lontano da Lerici, sede del Circolo culturale “G. Petriccioli”, fondato dal Cav. di Gran Croce dottor Angelo Lupi e del quale il “giornali-no” (come lo chiamavamo per il limitato numero di pagine, ma non per la diffusione) era l’emanazione. Per anni pochi volenterosi e, ricordo uno per tutti, il professor Piero Colotto, da un lato animatore e dall’altro esecutore materiale del periodico nella tipografia Losi, hanno trattato gli argomenti più disparati nei quali era stato dato risalto alla storia di Lerici e delle frazioni, rievocando episodi storici, personaggi di spicco, usi e costumi perduti nel tempo, e utilizzando spesso il dialetto.
Esauriti gli argomenti più avvincenti e ciò che riguardava le persone che avevano avuto un certo carisma nella storia e nella cronaca lericina, c’eravamo ridotti soltanto alle notizie correnti che, fra l’altro, pervenivano ai lettori in ritardo. Così, dopo ventotto anni, noi pochi collaboratori superstiti decidemmo, all’unanimità, di cessare le pubblicazioni, con la delusione e il rammarico di tanti lettori.
D. Ha qualche consiglio da darci?
Cercate di interessarvi di tante cose perché la vita è ricca di molte cose. Non bisogna fossilizzarsi su interessi futili. Soprattutto impegnatevi. Qual-siasi cosa facciate, fatelo col massimo impegno e interesse, non nel senso esclusivo dei quattrini, ma nel senso di capire quello che fate.
Quando finalmente andrete in pensione non impigritevi. Se c’è una cosa deleteria nella vita è quella di dire: “Finalmente non faccio più nulla”. Sbagliatissimo! Bisogna sempre interessarsi a qualcosa. Non strafare ma comportarsi secondo quello che permette l’età.
Intervista della redazione di Lerici del laboratorio di giornalismo