(da Lerici In di maggio 2025)

Nell’Europa democratica, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, abbiamo goduto di ottant’anni di pace. Per quindici secoli, dallo sfascio dell’Impero Romano, il piccolo continente culla della civiltà occidentale è stato travagliato da continui conflitti. Poi la nascita dell’idea di un’Europa unita, non più per il predominio di Roma (o Berlino) sugli altri popoli, ma per alleanza libera e consapevole delle nazioni che la compongono nel rispetto della loro dignità e sovranità.
Il 30 aprile 1945 Adolf Hitler, ormai certo dell’im-minente cattura, sceglie di suicidarsi piuttosto che cadere nelle mani del nemico.
Mercoledì 7 maggio 1945 il generale tedesco Alfred Jodl firma la resa incondizionata della Germania agli Alleati.
Giovedì 8 maggio il primo ministro del Regno Unito Winston Churchill dà l’an-nuncio ufficiale della fine della guerra nel Vecchio Continente. Perché a un giorno di distanza? Perché tutte le nazioni coinvolte nelle operazioni militari potessero essere avvertite contemporaneamente. Alle ore 15 di questo storico giorno da un capo all’altro d’Europa suonano le campane a festa.
È per questo motivo che il V-Day, il Giorno della Vittoria, viene celebrato l’8 maggio in Francia, nel Regno Unito, in Slovacchia e nella Repubblica Ceca. Mentre lo si festeggia il giorno successivo in Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Russia, Ucraina e, a buon titolo, anche in Israele per ricordare la fine della Shoah.
Sino al 1990, prima cioè del crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989), lo si commemorava anche nella Repubblica Democratica Tedesca.
Come mai allora la Liberazione in Italia viene festeggiata prima, il 25 aprile? Questa data venne scelta dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), perché la sede del comando partigiano era a Milano e quel giorno proprio da questa città partì l’appello all’insurrezione armata, quando ancora erano vivi Benito Mussolini (giustiziato a Giulino tre giorni dopo) e, appunto, Hitler suicida il 30.
Al giorno d’oggi il 9 maggio ricorre la Giornata dell’Europa, che celebra la pace e l’unità nel Vecchio Continente. Il motivo della scelta di questa data per tale ricorrenza è doppio: il primo -com’è ovvio- è il V-Day ma il secondo, non certo meno importante, è il discorso tenuto a Parigi dal ministro degli esteri francese Robert Schuman alle ore 18 del 9 maggio 1950.
La proposta del ministro poggiava su un’osservazione che può apparire persino troppo semplicistica in se stessa ma che contiene in realtà delle implicazioni di pensiero rivoluzionarie. Cosa c’è alla base delle guerre? La molla economica. I conflitti nascono dal desiderio, percepito come bisogno di fronte a un ipotetico pericolo, di supremazia di una persona su un’altra o su un intero gruppo, di un popolo su un altro o più altri insieme (imperialismo).
È ancora la legge della giungla, del più forte che vuole sbranare il più debole per assicurarsi di essere sempre lui il più potente, quello che tiene il coltello dalla parte del manico. Come nella poesia di Salvatore Quasimodo “Uomo del mio tempo” (edita nel 1946): “Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo”, versi purtroppo ancora drammaticamente attuali sui quali dovremmo ancora meditare a lungo.
L’analisi di Schuman, fatta con la collaborazione di Jean Monnet (altro padre fondatore dell’Unione Europea), è molto realistica: il conflitto tra Francia e Germania ai loro confini aveva come base storica il controllo e lo sfruttamento dei bacini carboniferi. Strasburgo (dove il 25 aprile 1792 era stata composta “La Marsigliese” e oggi ha sede il parlamento europeo) era stata alternativamente tedesca e francese.
Nel 1950 l’Europa è ancora stremata dalla guerra e tutte le sue nazioni hanno bisogno solo di lavorare in pace per risollevarsi dal baratro economico. Possono farlo solo creando un’allean-za economica e unendo gli sforzi per la produzione del carbone e dell’acciaio. Dice Schuman che, in un tale contesto, un conflitto tra Francia e Germania diventa «non solo impensabile, ma materialmente impossibile». Nasce così la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) nonna dell’attuale Unione Europea. Il traguardo ideale sono gli Stati Uniti d’Europa, come afferma sempre Schuman: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». La CECA quindi parte da sei Paesi fondatori: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi con la prospettiva di allargarsi ad altri e il suo trattato costitutivo viene sottoscritto a Parigi il 18 aprile 1951.
A ben considerare c’è anche un filo rosso che lega il 1° maggio, festa dei lavoratori, al 9 passando per l’impegno alla ricostruzione, non solo materiale ma anche della democrazia, alla edificazione della pace e alla difesa della libertà.
Per quest’ultima, sempre a maggio il 3, si celebra la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa: possiamo considerarla la prima espressione in assoluto della libertà, perché dove non c’è libertà di dire quello che si pensa e poter farlo pubblicamente vuol dire che sono già venute meno tutte le altre garanzie del diritto a vivere.
E purtroppo ancora oggi, nel terzo millennio, abbiamo dittature che reprimono la libertà di pensiero, Paesi in cui si va in galera, si viene arrestati e torturati per aver manifestato, espresso a voce o per iscritto il proprio motivato dissenso.
Altra data significativa, ma non certo da festeggiare, del mese di maggio è il 24: centodieci anni fa, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava nel primo conflitto mondiale con la sua dichiarazione di guerra all’Impero Austro-Ungarico. Una vittoria di Pirro per gli oltre seicentomila morti da parte italiana, che raggiungono il milione se si conteggiano anche i militari deceduti negli anni successivi per le ferite o le malattie contratte durante le ostilità.
La storia senz’altro insegna, ma siamo noi che continuiamo a non imparare.
M. Luisa Eguez